Il sito dell’Inps è andato in tilt nel primo giorno di invio delle richieste per il bonus babysitting e per l’indennità Covid 19 da 600 euro per i lavoratori autonomi. Il sito è stato preso d’assalto dall’una di questa notte in poi provocando un notevole intasamento. Non sono bastate, infatti, le rassicurazioni del ministero del Lavoro e dello stesso Inps che hanno smentito il click day ed escluso la valutazione delle domande in ordine cronologico.
Ma mentre il sito istituzionale dell’Inps, chiamato da solo a far fronte ad una enormità di richieste fatica a reggere l’impatto, nelle aree metropolitane del Meridione, i Comuni stanno cercando di attivare la distribuzione di buoni spesa alimentare per i nuclei familiari in serissime difficoltà dovute alle restrizioni per la pandemia di coronavirus.
A Palermo le domande per accedere ai buoni spesa alimentare del Comune stanno viaggiando al ritmo di quattro richieste al minuto. E’ un vero e proprio boom di richieste di cibo nell’area metropolitana del Sud diventata il termometro dello stato di bisogno crescente che contiene in sé un forte potenziale di tensione sociale.
Ad un certo punto è stato necessario stoppare momentaneamente le iscrizioni alla piattaforma online per la richiesta di assistenza alimentare attivata dal Comune. In poco tempo erano stati raggiunti gli 11 mila iscritti e il numero continua a crescere al ritmo di oltre 4 al minuto.
Il Comune di Napoli ha deciso di erogare alle famiglie in difficoltà a causa dell’emergenza Coronavirus dei buoni spesa dal valore di 300 euro per nucleo familiare. A questa cifra vanno poi aggiunti 20 euro per chi ha figli di età inferiore ai 12 mesi. Le risorse del fondo sono costituite da risorse comunali, pari a 1 milione di euro, cui si aggiungono i 7 milioni e 500mila euro stanziati dalla Protezione civile e risorse da donazioni di privati. Ai titoli di spesa però sono state applicate delle restrizioni, pertanto non tutti potranno ottenerlo.
Possono infatti accedere al buono spesa alimentare i cittadini residenti nel Comune di Napoli, anche con residenza di prossimità, ma senza reddito o che a causa della crisi lo hanno perso. Non possono invece accedere al buono spesa coloro che percepiscono sostegni pubblici, incluso il reddito di cittadinanza.
Molto più macchinosa appare invece la soluzione messa in campo a Bari, dove l’amministrazione comunale ha predisposto il sistema informatico “Bari ascolta”, ossia una piattaforma che permetterà agli assistenti sociali di effettuare una sorta di censimento di tutti cittadini che vivono un momento di difficoltà e che hanno necessità di accedere agli aiuti che il Comune di Bari intende erogare attraverso contributi per l’acquisto di beni alimentari e di prima necessità. Lo farà sotto forma di voucher per la spesa, di kit preconfezionati o di bonus da spendere sempre per l’acquisto di alimenti o beni di prima necessità su una piattaforma on line indicata dagli operatori alle famiglie prese in carico.
Gli assistenti sociali dovranno così creare una sorta di banca dati utile a monitorare costantemente la situazione delle dei nuclei familiari baresi in difficoltà e a verificare le condizioni di accesso delle famiglie o del singolo cittadino in difficoltà, le modalità di sostegno più congrue alla situazione e eventuali ulteriori contributi pubblici percepiti. Solo dopo questa sorta di censimento si potranno valutare le differenti forme di sostegno: un buono spesa determinato nella misura di 100 euro al mese per ogni componente fino ad un massimo di 400 euro al mese. Non sono previsti punto di consegna ed i buoni potranno essere consegnati a domicilio dai volontari “attivati” dal servizio sociale comunale, o ritirati da singoli beneficiari esclusivamente previo appuntamento concordato con l’assistente sociale dedicato o erogati sotto forma di “spesa on line”, con l’ attivazione di log-in e password con cui il cittadino beneficiario potrà effettuare l’ordine su apposite piattaforme di e-commerce nei limiti del budget assegnato al nucleo familiare.
Ma se ci si preoccupa sulla fame dell’oggi, qualcuno indica maggiori preoccupazioni sulla fame di domani con una possibile esplosione dell’aumento dei prezzi alimentari se questa dinamica verrà lasciata ancora una volta ai criteri del libero mercato.
Oggi l’aumento dei prezzi di grano, riso, soia ancora non preoccupa più di tanto ma domani potrebbe diventare drammatico. “Oggi non c’è un vero e proprio allarme sulle derrate alimentari perché il rimbalzo è stato forte, il grano ad esempio è aumentato del 12% la settimana scorsa, però venivamo da 10 anni di cali. Il problema è che tali aumenti sono un indizio di una inversione di tendenza nel breve” afferma Gianclaudio Torlizzi, fondatore di T-Commodity, società di consulenza sulle materie prime, in una intervista all’agenzia Agi, “Rischiamo che il potere di acquisto dei consumatori, già compromesso dalla perdita del lavoro e dalla riduzione dell’attività, venga ulteriormente minato. Bisogna stare attenti perché tutte le rivolte sociali sono sempre partite dal pane”.
“Ci sono persone a cui questa crisi ha tolto il pane di bocca. Se non interveniamo ci saranno rivolte” afferma in una intervista su Il Sole 24 Ore Giovanni Dosi, ordinario di economia alla Scuola superiore Sant’Anna di Pisa, chiamato insieme ad altri esperti dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte per una task force multidisciplinare.
Nei giorni scorsi, in un rapporto inviato alla Presidenza del Consiglio, i servizi di intelligence avevano parlato senza mezzi termini di un “potenziale pericolo di rivolte e ribellioni, spontanee o organizzate”.
In questi anni si è fatta solo e molta retorica sull’aumento della povertà assoluta nel nostro paese, ma si è coscientemente nascosta sotto il tappeto l’estensione della povertà relativa (che riguarda anche persone con un lavoro ma a bassa o bassissima retribuzione) preferendo evidenziare la povertà assoluta. La prima è più gestibile attraverso i circuiti caritatevoli o il terzo settore, la seconda chiama in causa invece responsabilità politiche, istituzionali e sindacali.
Ma soprattutto chiama in causa le responsabilità di chi ha fatto scelte che hanno acutizzato spaventosamente le disuguaglianze sociali, sul piano delle basse retribuzioni del lavoro ed inclusi gli effetti della crescente povertà anche sul piano sanitario. E sono gli stessi – come Renzi e la sua banda – che da due anni sparano a pallettoni contro l’unico provvedimento in controtendenza come il reddito di cittadinanza o hanno stoppato misure come l’introduzione del salario minimo.
L’emergenza coronavirus ha solo accentuato, per molti aspetti oltre il limite di guardia per il potere costituito, questa contraddizione. E la polvere messa sotto il tappeto per anni rischia di diventare valanga.
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