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Reddito o rivolta

Il Governo Conte è corso ai ripari varando una nuova mini manovra da 4,7 miliardi per i Comuni, per provare a rispondere alle urgenti richieste di sostegno economico che arrivano dal paese. Ma anche se i numeri lascerebbero pensare ad un intervento importante, in realtà siamo in presenza di pallidi palliativi finalizzati quasi esclusivamente a gettare fumo negli occhi dell’opinione pubblica.

Intanto, è bene saperlo, si tratta per lo più di un’anticipazione del 66% del fondo di solidarietà comunale che comunque ogni anno lo Stato centrale destina ai Comuni. Dell’intera somma, quindi, soltanto i 400 milioni annunciati nella conferenza stampa di ieri sera da Conte, sono risorse aggiuntive. Questi soldi, ci dicono, potranno essere spesi per sostenere buoni spesa una tantum per famiglia di 300/400 euro.

Bene, sono risorse che vengono stanziate per chi è in difficoltà e siamo contenti che questo avvenga. Quando vennero approvate le norme che istituivano il Reddito di cittadinanza e Quota 100 l’USB espresse una serie di considerazioni critiche, ma non trascurò di sottolineare che comunque si trattava di importanti spostamenti di risorse verso quella parte di popolazione che negli ultimi decenni si era abituata soltanto a misure punitive e che finalmente riceveva un piccolo risarcimento.

Misure insufficienti, da ampliare e destinare a platee molto più vaste, ma comunque in controtendenza rispetto alla storia recente del nostro paese.

Questa volta però la sproporzione tra le necessità e ciò che viene messo in campo è clamorosa. Un provvedimento che ha più l’obiettivo di decentrare il conflitto, spingendo le persone in difficoltà a rivolgersi ai propri Comuni e alle inevitabili lungaggini burocratiche che comporterà il procedimento, che ad affrontare realmente il problema. Come si può pensare che 400 milioni di euro costituiscano una risposta seria alla condizione di milioni di persone in estrema difficoltà?

E‘ significativo che il governo abbia sentito l’esigenza di intervenire solo dopo che gli organi di sicurezza hanno segnalato seri rischi per l’ordine pubblico. Sanno che la situazione è drammatica e decidono di intervenire solo in modo simbolico, fidando sull’effetto annuncio piuttosto che sulla concretezza. Ad impedirgli di prendere misure più risolute c’è, come sempre, l’UE ma anche la scelta della nostra classe politica di difendere innanzitutto sempre e comunque gli interessi delle classi proprietarie e dei rentier.

Eppure non sono mancati in questi giorni interventi da parte di vari esponenti dell’area di governo che proponevano misure ben più significative. Dal presidente dell’INPS, che ha avanzato l’ipotesi di un reddito di cittadinanza incondizionato al Ministro per il Mezzogiorno Provenzano che ha proposto di reintrodurre una forte progressività fiscale fino alla vice Ministra per l’economia Castelli che ha segnalato la necessità di sostenere anche chi lavorava al nero. Questo vuol dire che è diffusa la convinzione che servono interventi molto più rilevanti.

Si tratta in sostanza di restituire alla cittadinanza tanta parte delle risorse del paese che in questi anni sono servite ad incrementare a dismisura i grandi patrimoni privati. E non con misure di corta gittata, poche settimane o qualche mese, perché gli effetti di questa crisi dureranno nel tempo e già si vanno a sommare ad una fortissima disuguaglianza sociale che abbiamo accumulato negli anni.

Rendere universale il reddito di cittadinanza rivolgendolo agli individui e non più alle famiglie, introdurre una tassa sui grandi patrimoni, bloccare il pagamento degli affitti e delle utenze, distribuire in fretta liquidità a milioni di persone oggi senza più strumenti di sopravvivenza. Ed impedire che le persone continuino ad indebitarsi per pagare affitti, utenze, rate di finanziamenti. Questo serve, e serve adesso.

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