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Quanto durerà

Virus, medicinali, vaccino

E’ la domanda cui nessuno sa rispondere, perché non c’è alcuna possibilità di dirlo con una qualche certezza. Chi vuole sapere addirittura “una data certa” – Confindustria, che freme – in realtà vuole imporre una scelta criminale.

E’ comunque necessario non nascondersi la verità: una pandemia di queste dimensioni si può rallentare ma non eliminare con il “distanziamento sociale” e l’adozione in massa di “mezzi di protezione individuale”, ossia le misure varate finora da tutti i governi occidentali. La sua “sconfitta” arriverà solo con la scoperta di medicinali specifici e la messa a punto di un vaccino.

A questo obbiettivo stiano lavorando le migliori teste scientifiche di tutto il mondo, e quindi i risultati potranno arrivare anche prima dei due anni che normalmente costituiscono il lasso di tempo necessario a studiare un virus, sperimentare le soluzioni, “fabbricare” il vaccino, testarlo secondo le procedure individuate da decenni (su animali e su esseri umani).

Dopo di che c’è il tempo indispensabile a produrre quei medicinali (per curare i contagiati) e quel vaccino (per proteggere i non contagiati) in miliardi di dosi che andranno poi somministrate a tutti gli esseri umani in qualche modo raggiungibili. E’ la quantità minima necessaria a immunizzare gran parte della popolazione del pianeta e potersi dunque avvicinare in tranquillità – relativa – ad ogni altro essere umano.

Diciamo insomma che per molti mesi, se non un paio di anni, avremo il coronavirus come scimmia sulla spalla. Di tutti.

Le epidemie sono infatti assolutamente imparziali, possono colpire chiunque, di qualunque classe sociale e con qualsiasi livello di costituzione fisica. Lo abbiamo visto con Boris Johnson e il principe Carlo d‘Inghilterra, con Zingaretti e molti altri “vip”, atleti di rango compresi. Ovvio, potere e ricchezza assicurano cure molto migliori, ma non l’immunità.

Soprattutto, la circolazione del virus non si esaurisce fin quando non incontra una popolazione immune. A livello mondiale.

Tempi lunghi, dunque, ben al di là di quel che abbiamo tutti immaginato fin qui. Lo cominciano ad ammettere anche i boss della politica internazionale, come Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Europea, che ha invitato a non prenotare vacanze per l’estate e ha “suggerito” che gli anziani restino isolati almeno fino a Natale…

Gravità dell’epidemia, diffusione, errori

Queste ammissioni nascondono – o provano a farlo – gli immensi errori commessi dai Paesi dell’Occidente neoliberista nell’affrontamento dell’epidemia. Prima è stata vista come un “caso locale cinese”, poi come “poco più di un’influenza”, quindi come un problema sempre più serio ma per cui non valeva la pena di “fermare il Paese” (ognuno il proprio). Infine il panico o quasi, ma secondo una intollerabile logica bipolare: tutti chiusi in casa, ma la produzione deve  continuare.

Stiamo parlando degli errori commessi a livello politico, naturalmente, visto che nessuno di noi può vantare serie competenze virologiche o epidemiologiche. Errori politici che sono dipesi – in modo ormai accertato – dalla tradizionale dipendenza servile della classe politica rispetto al “mondo delle imprese”. In tutto l’Occidente, non certo soltanto in Italia.

E siccome le imprese non hanno mai avuto nessuna intenzione di chiudere i luoghi di produzione – stanno facendo ogni giorno un fracasso infernale per riaprire al più presto anche quel poco che è stato fermato – i governi hanno ritardato al massimo l’adozione di misure su questo fronte. Limitandosi a calcare invece la mano sui “comportamenti del tempo libero”, il che consente anche la sperimentazione di forme di controllo sociale adottabili in un futuro non remoto.

Il virus, ovviamente, se ne fotte di queste distinzioni. Non sta lì a questionare se entra nel corpo di un imprenditore o di un lavoratore dipendente (privato o pubblico, regolarmente assunto o in nero, ecc), mentre questi sta lavorando oppure fa una passeggiata o un bagno in mare.

Così abbiamo una schizofrenia totale tra scene di caccia all’uomo contro un runner o un ciclista solitario, e gli occhi ben chiusi davanti a metropolitane, treni pendolari, autobus strapieni nelle ore di entrata e uscita dal lavoro.

Il governo assicura che “le misure di distanziamento stanno avendo effetto”. E ci mancherebbe pure… Ciò nonostante la “curva” che quotidianamente segnala contagiati, ricoverati, morti, ecc, fatica a scendere verso livelli somiglianti ad una “uscita dal tunnel”.

Perché? Se rendessero nota anche la professione dei contagiati – oltre età, sesso, comune di residenza – si potrebbe ragionare scientificamente su una base più certa. E scopriremmo magari che tanti dei “nuovi contagiati” sono con molta probabilità lavoratori (oltre che anziani rinchiusi nelle case di riposo in cui sono stati scaricati i “contagiati leggeri”, come in Lombardia e Piemonte) e i loro familiari.

Chiaro che se a questi milioni di persone costrette quotidianamente a spostarsi, ammassarsi sui mezzi di trasporto pubblici e/o privati, e poi negli spogliatoi e nelle mense e sulle linee, si aggiungessero altri milioni di persone che si spostano a piacere in ogni luogo o negozio, avremmo centinaia di migliaia di contagiati in più. E dunque anche un collasso definitivo del sistema sanitario pubblico (indebolito da decenni di tagli), molti più decessi e così via.

Ma, se non si è fermata la produzione neanche nei focolai conclamati, giocoforza la “curva” resta sempre alta, perché il virus può “lavorare” su quei milioni di corpi in circolazione e su quelli che incontrano quando tornano a casa.

Viene detto: “abbiamo preso esempio dalla Cina e dalla Corea”.

Falso.

A Wuhan e in qualche altra provincia cinese è stato chiuso tutto. Ogni attività produttiva è cessata, ed anche ogni libera circolazione dei cittadini. I generi alimentari, per chi non poteva andare al supermercato, venivano distribuiti dall’esercito o dai comitati popolari. I contagiati, anche se in quarantena a casa, venivano monitorati via app quotidianamente dal servizio sanitario. Certo, anche lì sono stati usati metodi molto invasivi (controllo degli spostamenti tramite smartphone, ecc), ma almeno non come alternativa tra “il Pil o la vita”. In altre parole: nell’interesse generale di tutta la popolazione, non per la salvaguardia dei profitti aziendali (privati o pubblica, non cambia nulla).

La provincia di Wuhan è una zona industriale molto importante, in pratica è la “Detroit cinese”, perché lì sono concentrate quasi tutte le fabbriche automobilistiche, oltre ad altri comparti produttivi. Dunque il governo cinese, dichiarando la “zona rossa impenetrabile”, ha rinunciato a produrre una certa quota di Pil pur di sconfiggere l’epidemia in tempi rapidi.

Con un vantaggio notevole, rispetto all’Italia e altri Paesi occidentali: ha bloccato totalmente una provincia (peraltro molto estesa e con 60 milioni di abitanti) mentre il resto della Cina, pur se con molta circospezione e misure di distanziamento, continuava a produrre nella zone a basso rischio di contagio.

Una strategia drastica, che ha avuto per unico obbiettivo lo sradicamento dei focolai di virus, ma che ha non paradossalmente avuto effetti positivi anche sul Pil: le importazioni cinesi a marzo – dato di stamattina – hanno avuto un calo annuale di appena lo 0,9%. Considerando il crollo del prezzo del petrolio e di tutte le materie prime significa che le altre merci hanno retto se non sono addirittura aumentate. Quell’economia insomma ha pagato un prezzo tutto sommato lieve, nel complesso ha retto.

Neanche la Cina è però al riparo dai “contagi di ritorno”, come ci viene strillato ogni giorno dai Tg di Giovanna Botteri. Per il buon motivo che fin quando non ci saranno medicinali specifici e un vaccino nessun Paese può sviluppare una vera “immunità di gregge” (95% di vaccinati), molto diversa da quella immaginata da Boris Johnson o Trump (i sopravvissuti all’epidemia e alla strage). La differenza dovrebbe esser lampante…

Il Pil o la vita

In Italia e in tutto l’Occidente si è invece cercato di “contemperare” le esigenze di confinamento dell’epidemia con la continuità delle attività produttive in tutto il Paese. Si è insomma cercato di salvaguardare il massimo del Pil anche mettendo in conto un maggior numero di morti. La di risposta di Anthony Fauci a quel criminale di Trump è un atto di accusa che non contempla alcuna difesa possibile…

L’esempio italiano, che molti altri hanno poi seguito, è particolarmente tragico.

Dapprima si è agito in modo logico, quasi “cinese”, isolando davvero Codogno, Casalpusterlengo, Vo Euganeo e altri piccoli comuni dove erano stati scoperti dei focolai di infezione.

Poi – l’8 marzo – quando bisognava dichiarare una “zona rossa” altrettanto impenetrabile in Val Seriana (Nembro, Alzano Lombardo, ecc) e altre aree di Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, ecco che Confindustria (in special modo Assolombarda, che ha già prenotato la direzione del “sindacato dei padroni” con il suo capo, Carlo Bonomi) si è messa di traverso, spalleggiata dalle giunte Regionali leghiste e non, pretendendo “libertà di lavorare”.

Risultato: invece che alcune “zone rosse” in più, è stata prima dichiarata una risibile “zona arancione” comprendente tutta la Lombardia e altre 14 province del Nord (praticamente incontrollabili “ai confini”). Estesa pochi giorni dopo a tutta Italia. Non ci vuole una laurea in virologia per capire che se tutto il territorio è “zona rossa” (o del colore che preferite), allora non c’è nessuna “zona rossa”.

Di lì in poi il disastro era inevitabile. Nessun contenimento “territoriale” del virus, ma balzani tentativi di limitarne la diffusione reprimendo i comportamenti individuali in tutta Italia. Anche lì dove il virus non si era manifestato (e dove si dirigevano residenti lumbard in fuga, visto che non c’era alcun confine).

Il risultato, anche sul piano del crollo del Pil, era scontato. Se tutto il Paese viene parzialmente bloccato – non solo alcune aree, com’era avvenuto in Cina e in Corea (a Daewoo) – si azzera l’attività economica in tutta una serie di settori (in primis “l’economia del tempo libero”, che in Italia ricopre un ruolo rilevante: ristorazione, bar, pub, turismo, concerti, stadi, sport, teatri, cinema).

Per limitare le (inevitabili) perdite di alcuni territori è stata sconvolta tutta l’economia “nazionale”.

La cosa peggiore è che ormai il danno è stato fatto. Il Paese è per larghe aree infetto, contenere il virus più difficile, quasi impossibile senza tener ferma la maggior parte della popolazione. E quindi anche della produzione.

Danni economici e ripresa produttiva. Ma con quali criteri?

Questa situazione condiziona naturalmente anche la tanto agognata “ripresa”. Sia chiaro: un Paese non può rinunciare a produrre almeno quello che è indispensabile per la sopravvivenza della popolazione e della stessa capacità produttiva.

Ma come si procede? Per “aperture progressive” di una serie di attività contemporaneamente in tutto il territorio nazionale, come sembra orientamento unitario di governo e “opposizione” di destra (al di là degli insulti reciproci o dei dispettucci leghisti contro i librai)?

Oppure per aperture in quei territori in cui il virus appare inesistente o comunque sotto controllo (pochi contagiati, ben individuati e in quarantena)?

Ci sembra chiarissimo che nel primo caso si darà via libera al virus “trattenuto in casa” (parliamo degli asintomatici), concedendo uno spazio immenso alla temutissima “seconda ondata”. Nell’altro, invece, si potrebbe sviluppare una produzione, anche molto ben controllata nei punti di potenziale “contagio” (trasporto merci, ecc).

Insomma: o si riapre privilegiando la salute, riducendo al massimo i rischi, oppure mettendo le quote di Pil davanti a tutto, a costo di far riesplodere il contagio di massa (ancora peraltro abbastanza grande di suo…). Nel primo caso c’è comunque un ragionevole rischio, nel secondo la certezza di un prezzo altissimo in vite umane.

Scorrendo le mappe della stessa Protezione Civile, si nota facilmente che numerose aree del territorio nazionale – e persino molti Comuni della stessa Lombardia! – sono completamente prive di contagiati. Lì, già ora, non ha alcun senso mandare gli elicotteri a fermare i runner o i ballerini sul terrazzo di casa… Al contrario potrebbero riaprire persino i bar!

E’ chiaro che queste aree a contagio zero sono anche quelle con scarsa industrializzazione, meno interconnesse con il mercato globale (rallentatissimo anche quello, comunque…). Ma far partire almeno queste aree allevierebbe le perdite, preparerebbe davvero dei modelli di ripartenza affidabili, non escogitati per soddisfare le fregole di questa o quella multinazionale…

No. Siamo invece inchiodati agli interessi delle grandi imprese, in primo luogo, che naturalmente hanno gli stabilimenti principali nelle aree più dense di contagio – basti ricordare che in Val Seriana non è stata ancora oggi dichiarata alcuna “zona rossa”, nonostante migliaia di morti, mentre nel relativamente tranquillo Lazio ce ne sono ben quattro – e quindi premono per riaperture immediate, senza limiti territoriali, come se la bergamasca o il bresciano fossero epidemiologicamente uguali al Molise o alla Sardegna.

Anche in questo caso la previsione è facile, scontata: il virus troverà autostrade e le percorrerà con un biturbo.

E dovremo poi ricominciare un nuovo ciclo di chiusure, quarantene, controlli… Con buona pace del Pil di Italia, Germania, Francia, Spagna, Gran Bretagna, Usa, ecc. Ossia dei Paesi troppo “moderni” per preoccuparsi di una febbricciola, poco più di un’influenza…

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

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3 Commenti


  • AC

    All’Autorità competente

    Ricorso a verbale di violazione alle limitazioni personali a seguito di pandemia da Covid-19

    In merito alla sanzione subita, ne chiedo l’archiviazione in quanto tale limitazione della libertà personale
    viola la Costituzione e non è giustificata dai numeri dei decessi; è una pandemia indotta e gonfiata:
    sono stati registrati svariati brevetti di virus modificati, è stata programmata una campagna televisiva
    ossessiva, sono stati esclusi dal dibattito pubblico ricercatori e medici che l’hanno messa in discussione,
    tutto al fine di far accettare volentieri alla società le vaccinazioni di massa poichè comportano rischi per
    la salute.

    Fonti di prova ufficiali:
    • Costituzione italiana;
    • Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT), mortalità in Italia;
    • Istituto Superiore della Sanità (ISS), analisi decessi Covid-19;
    • Ufficio Patenti Europeo (EPO), brevetto EP1694829B1;
    • Organizzazione Mondiale Sanità (WHO), promotori privati di vaccini livello mondiale: Bill & Melinda Gates Foundation.
    • Legge n. 210/1992

    https://telegra.ph/Ricorso-a-verbale-di-violazione-alle-limitazioni-personali-a-seguito-di-pandemia-da-Covid-19-04-09


  • prowall

    Ho redatto alcune indicazioni di strategia operativa. Due mesi fa. Tra l’altro era possibile isolare il nord Italia. Fisicamente. Non comprendo perché. Il Paese avrebbe potuto avere secondo me mollti meno stress. Le entrate fiscali non si sarebbero ridotte come adesso. Ed altri possibili effetti collaterali positivi


  • andrea’65

    un vaccino digitale da impiantare come un Tatuaggio senza il quale niente cinema stadio concerto museo e scordati qialsiasi viaggio, ben prestoa rriverà per la globale felicità, marchio Microsoft, alla faccia dei profeti apocalittici, tutta l’Umanità il tatoo ID sul polso avrà.

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