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Se tre indizi fanno una prova, la Fase 2 sarà un problema

Tre indizi fanno una prova: lo diceva Agatha Christie, e per il nostro bene forse dobbiamo sperare che non avesse ragione. Perchè altrimenti i tre spunti offerti ieri dalla stampa dovrebbero farci venire il dubbio che la Fase 2, che il 18 maggio entrerà definitivamente nella sua piena operatività, dovrà essere gestita con molta più attenzione di quanto la maggior parte degli italiani immagini.

La prima notizia è quella che riporta i dati della Protezione Civile: contagi in calo, decessi in calo, terapie intensive che si svuotano. Ottimo, la situazione si sta normalizzando. Ma i dati vanno letti in modo neutro, anche se tutti noi vorremmo poter dire che non ci sono problemi e che tutto andrà bene.

Perché se è vero che i numeri sono in calo costante e progressivo, è anche vero che il virus c’è ancora, e contagia. I tamponi, sempre molto pochi per poter restituire una immagine chiara di quello che avviene, riportano una bassa percentuale di positivi: che però  ci sono. E la metà di essi è in Lombardia, che rimane una regione a rischio elevato.

Seconda notizia: il governo e le regioni stanno trovando un faticoso accordo per gestire le riaperture delle attività che ancora sono chiuse. Tutto dovrebbe ripartire il 18 maggio, compresi parrucchieri ed estetisti, che fino ad una decina di giorni fa erano indicati come luoghi a fortissimo rischio.

Fatto salvo – ovviamente – il diritto di tutti a poter riprendere a lavorare, ci si immagina che scelte del genere siano ponderate e valutate in modo approfondito e responsabile.

Ma c’è un particolare che, onestamente, inquieta: nel decreto che dovrebbe arrivare di qui a qualche giorno dovrebbe essere prevista una autonomia importante per le regioni, che sulla base della situazione valuteranno insieme al governo eventuali restrizioni o “allargamenti”.

Parliamo di quelle regioni che hanno mostrato pienamente la loro incapacità a gestire la pandemia, che non hanno avuto alcun scrupolo a mandare (con la complicità del governo) a lavorare decine di migliaia di persone anche in piena zona rossa.

E poi il terzo indizio: l’allarme lanciato ieri da Federfarma. Mancano drammaticamente mascherine, guanti e disinfettanti. Ovvero gli strumenti di base per difendersi e tutelare la propria salute. Oggi su questo è arrivata la risposta di Arcuri, il commissario all’emergenza: “Ci sono 55 milioni di mascherine nei magazzini”.

Ma provate ad andare in farmacia, sopratutto nelle grandi città (luoghi più soggetti a possibili contagi): noi lo abbiamo fatto, e la risposta più comune è stata che le mascherine chirurgiche, quelle che dovrebbero costare al massimo 50 centesimi IVA esclusa, sono praticamente introvabili. Come i guanti in lattice.

Insomma, mettendo in relazione tra loro tre notizie, tra l’altro ampiamente diffuse dalla stampa, la situazione che ci è apparsa chiarissima è questa: con il virus ancora in giro, sopratutto al nord Italia, il 18 si riapre praticamente tutto affidando la gestione alle regioni, che hanno mostrato ampiamente, in molti casi, la loro incapacità ad affrontare sopratutto dal punto di vista sanitario la pandemia.

E riapriamo senza la certezza di avere mascherine, guanti e disinfettanti per tutti: parliamo del cosiddetti DPI (Dispositivi di Protezione Individuale) di base, quelli che sono indispensabili per interagire con il prossimo. Abbiamo solo quelli, per difenderci, insieme al distanziamento sociale (ed i parchi a Roma nel week end mostrano come sia difficile, spesso, da rispettare) ed al lockdown.

Insomma, non siamo molto tranquilli, ecco. E temiamo di avere più di qualche ragione per non esserlo.

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