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Ritirato il piano sanitario lombardo: ravvedimento o furberia?

Colpo di scena, mercoledì 3 giugno alla commissione sanità della Regione Lombardia: la maggioranza ha ritirato dal voto il piano sanitario regionale già pronto da novembre. La motivazione addotta dal presidente della commissione, il leghista Emanuele Monti, è molto generica, si riferisce al “nuovo contesto” creato dall’emergenza Covid-19, che non poteva evidentemente essere prevista quando il piano fu scritto.

In effetti, il Piano sanitario regionale, che avrebbe dovuto costituire l’ossatura della sanità lombarda per i prossimi anni portava all’estremo la linea seguita negli ultimi anni dalla Regione: priorità all’ospedalizzazione, accentramento dell’assistenza nelle “eccellenze”, delega al privato delle prestazioni remunerative, smantellamento delle strutture territoriali, di prossimità e di prevenzione.

La stessa linea di politica sanitaria che ha portato al crollo del sistema lombardo in occasione dell’attuale epidemia.

Un fallimento di cui si sta occupando anche la Magistratura, in relazione alla strage nelle RSA, ma anche alla questione della riapertura dell’ospedale di Alzano Lombardo e alla mancata istituzione delle zone rosse nella bergamasca. Rispetto a quest’ultimo problema, la coppia Fontana-Gallera sostiene che l’istituzione delle “zone rosse” sarebbe di esclusiva competenza governativa, ma ciò contrasta sia con l’art. 32 comma 3 della legge 833/78 sia con il D.L. n. 6 del 23/2/2020.

Peraltro, più semplicemente, il fatto che le altre Regioni abbiano istituito in tutta Italia ben 117 zone rosse dimostra che anche la Lombardia avrebbe potuto farlo.

Purtroppo, anche l’esperienza degli ultimi giorni conferma che non è in corso un reale “ravvedimento” della giunta regionale, poiché nell’attuale fase sarebbe fondamentale fare test e tamponi e svolgere il tracciamento dei contagi e il controllo dei contatti in particolare sui luoghi di lavoro. Tutte attività di cui non si ha notizia, mentre i test sierologici e i tamponi per i cittadini sono invece disponibili solo in strutture private e a pagamento di parecchie decine se non centinaia di euro.

Una politica demenziale che porta alla triste constatazione che i dati diffusi dalla Protezione civile, al 5 maggio, attribuiscono alla Lombardia l’80% dei nuovi contagi in tutta Italia, con un rapido aumento di oltre il 400% dal giorno precedente: da 84 a 402.

Cosa può significare, dunque, il ritiro del piano sanitario regionale? Escluso che esista un vero ripensamento della giunta – Fontana dichiara sempre che “non ha sbagliato nulla” – si possono fare due ipotesi.

La prima è che nella giunta sia in atto un regolamento di conti tra la Lega e Forza Italia, incentrato sulla posizione di Gallera, assessore al welfare e autore del piano sanitario della Lombardia. In effetti, abbiamo già riferito di voci insistenti che vorrebbero in gestazione un rimpasto della giunta di cui Gallera, già sorvegliato speciale di Salvini, potrebbe fare le spese. In pratica si tratterebbe di offrire la testa di Gallera per salvare la giunta, il “sistema Lombardia” e la rendita di posizione della Lega, derivante dall’importanza di tale regione sul piano nazionale.

Esiste però una seconda ipotesi, più inquietante. Il piano sanitario della Lombardia era, in realtà, un’applicazione della legge regionale n. 23/2015 che riformò la sanità lombarda. Tale legge è in fase di sperimentazione sino ad agosto 2020 quando, presumibilmente, si dovrà aprire un confronto, anche con il governo, che potrebbe mettere in discussione non solo la sua coerenza con la legge 833/78, istitutiva del Sistema sanitario nazionale, ma anche la sua compatibilità con la Costituzione.

Ritirare il piano regionale, quindi, potrebbe essere un tentativo di fermare i giochi per il tempo necessario a riscriverlo, lasciando fuori dalla pericolosa discussione la legge 23/2015 che né è l’ispiratrice e a cui la destra lombarda non vuole rinunciare.

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