Hanno la faccia come il culo. Espressione cruda, tipica del “Il Male” nei suoi anni migliori. Ma adeguata alle circostanze.
La gestione del nuovo “Ponte Piano”, che ancora non ha sostituito il crollato Ponte Morandi (43 morti!), va nuovamente ad Autostrade per l’Italia, gallina dalle uova d’oro di Atlantia, proprietà della famiglia Benetton.
Come se nulla fosse mai successo…
L’incredibile notizia è stata confermata dalla ministra delle Infrastrutture, Paolo De Micheli, del Pd (è bene sottolinearlo, per chi ancora classifica questa banda come “sinistra”).
La quale naturalmente ha cercato di stemperare la reazione scandalizzata – autentica in molti, recitata in altrettanti – assicurando che “La gestione va al concessionario, che oggi è Aspi, ma sulla vicenda c’è ancora l’ipotesi di revoca”.
La ministra, in pratica, vuol far credere che si tratti di una “scelta obbligata” fin quando tutta la Genova–Ventimiglia resterà in gestione ai Benetton.
Balle. Il regime delle concessioni autostradali – una follia tutta italiana – è fatto in modo tale da consentire che singoli tratti vengano gestiti da società diverse, senza per questo prevedere interruzioni (caselli per il pedaggio) tra un tratto e l’altro. Dunque la gestione del nuovo ponte poteva tranquillamente essere affidata all’Anas (società pubblica, ossia statale) senza aprire nessuna “gara” e, soprattutto, senza affidarla a chi aveva lasciato crollare la struttura preesistente.
Tanto più che in questi giorni tutta la tratta autostradale ligure è sostanzialmente bloccata da una lunga serie di cantieri di “verifica” della condizione di ponti e gallerie. Più d’uno ha sospettato che questa improvvisa “ansia di verifica” dei Benetton fosse una forma di pressione diretta sul governo, tramite il disagio degli automobilisti e il quasi blocco del porto di Genova (da cui stanno fuggendo le società cinesi di trasporto merci).
Fatto sta che la tempistica sembra confermarlo, con la società che da stamattina sta cercando di smantellare almeno parte dei cantieri per ripristinare una circolazione accettabile.
Due altre notizie rendono quella principale assolutamente intollerabile. Nel “dl Rilancio”, infatti, è comparso all’improvviso un emendamento all’art. 202 che proroga di due anni – fino al 2046 – la concessione statale su Aeroporti di Roma (Fiumicino e Ciampino, AdR). Motivazione: recupero danni per il lockdown. Naturalmente AdR è gestita dai Benetton.
La seconda è però decisamente più grave.
Il nuovo presidente dell’Anac (autorità anti-corruzione), Francesco Merloni, ha presentato infatti una relazione al Parlamento in cui si riferisce, tra l’altro, quale sia stata la spesa per la manutenzione di Ponte Morandi dal 2007 al momento del crollo: 440.000 euro. Appena 35mila euro l’anno.
Con quella cifra, diciamolo chiaro, non si riesce neanche a coprire neanche la spesa per la vernice antiruggine da stendere sui tondini di ferro emergenti dal calcestruzzo. Quindi si può dire senza tema di smentita che Autostrade ha lasciato marcire Ponte Morandi per pura fame di profitto. Dobbiamo infatti calcolare che quella cifra (33.000 euro) Aspi le incassa forse con il normale traffico sul ponte di un paio d’ore…
Ma la relazione dell’Anac dice molto di più.
Sul viadotto poi crollato era stato effettuato “l’accertamento, già negli anni ’90, di un evidente stato di ammaloramento della struttura. Infatti, a fronte di un forte stato di degrado, gli interventi di tipo strutturale sono stati effettuati solo fino al 1994, quindi, da parte del precedente concessionario, Iri“. Ossia dall’ente pubblico, che viene ancora dipinto come “meno efficiente” del privato…
Di lì in poi, niente…
Non basta. Nonostante l’Anac sia un organismo quasi-giudiziario, dotato di poteri praticamente equivalenti, “Abbiamo avuto una interlocuzione molto faticosa. Questo è un problema: non siamo abituati come Autorità ad avere questo tipo di resistenze dalle amministrazioni. In vicende di questo genere la tempestività dello scambio di informazioni è essenziale. E quindi dobbiamo segnalare come criticità il fatto che anche in un’occasione così drammatica, non ci sia stata quella collaborazione piena da parte della società“.
“È dunque evidente che Autostrade per l’Italia S.p.A. ha mostrato, in generale, una scarsa o nulla propensione alla condivisione di informazioni con soggetti deputati al controllo o, comunque, a garantire un presidio di trasparenza nell’interesse ed a tutela di tutta la collettività“.
Di fatto, Autostrade si è datata a lungo da fare per nascondere documenti e informazioni.
La “riservatezza” dei Benetton, però, è solo l’aspetto “difensivo” di un potere oscuro. Quello vero, “offensivo”, è invece la sua rete di appoggi politici, che hanno consentito alla società – teoricamente sub judice e a rischio di revoca della concessione – di ottenere provvedimenti a favore inseriti con appositi emendamenti nel recentissimo “decreto sblocca-cantieri”.
La ragione di tanta potenza sta nel suo essere parte di un “oligopolio”, frutto di una spartizione di un bene pubblico – le austostrade, con la minuscola, sono state costruite con soldi pubblici e restano di proprietà statale – da parte di un ristrettissimo numero di “gestori”.
I quali evitano accuratamente di farsi “concorrenza” – per esempio offrendosi per gestire altre tratte al posto dei loro “colleghi” – e si concentrano soprattutto sull’ottenimento, ogni anno, anche con inflazione zero, cospicui aumenti delle tariffe. Che lo Stato, ossia “la politica”, autorizza sempre senza fiatare.
Non ci sono parole che non siano già state spese. Questa gentaglia deve semplicemente essere spazzata via, con tutti i loro complici.
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Ivano
Le scelte politiche dipendono da chi finanzia le campagne elettorali. La famiglia Benetton, mi risulta che ha finanziato centro-destra e centro-sinistra.
E qui la chiave