La tre giorni di lotta e di manifestazioni del 24-25-26 settembre ha segnato un punto importante della ripresa di iniziativa popolare sul tema della scuola, che ha coinvolto non solo i lavoratori del settore, con un riuscito sciopero dei sindacati di base, ma anche gli studenti, scesi in piazza massicciamente nella seconda di tali giornate e infine i genitori delle scuole d’infanzia e primarie.
I temi della mobilitazione sono stati rilanciati in tutte le piazze, a testimoniare che nessuno di quanti sono coinvolti a diverso titolo nella ripresa dell’anno scolastico accettano una scuola dimezzata, fatta di orari ridotti, di didattica a distanza trasformata in normalità, d’impoverimento dell’offerta formativa.
Il Ministero ha usato per tutta l’estate la propaganda sui nuovi banchi e sulle mascherine come arma di distrazione di massa, coprendo le sue enormi responsabilità che riguardano soprattutto la non assunzione di personale docente e non docente adeguata a ridurre il numero degli alunni per classe e, conseguentemente, il reperimento degli spazi necessari per farli lavorare serenamente.
L’attuale situazione delle scuole è estremamente preoccupante. Conseguenza delle solite fandonie sulla famigerata “autonomia” degli istituti, ciascun dirigente ha dovuto arrangiarsi a inventare soluzioni che nella quasi totalità dei casi sono insoddisfacenti. Inoltre, molte scuole hanno dovuto smobilitare, per ricavare spazi più ampi a contenere le classi, che sono numerose quanto in tutti gli anni passati, i laboratori d’informatica, di teatro, di musica, d’arte, di chimica o di fisica, con il risultato di riportare la didattica all’epoca della maestrina dalla penna rossa.
Causa principale di questa situazione è l’ostinazione della Ministra Azzolina e non voler immettere direttamente in ruolo le migliaia di docenti precari che ne avrebbero diritto, avendo già lavorato per anni nella scuola. La vicenda si protrae da mesi, a giugno la Ministra si era impuntata, al punto di rischiare un crisi di governo, sulla convocazione di un concorso “meritocratico” per tali docenti che, tra l’altro, avrebbero solo in parte colmato i vuoti d’organico provocati dalla politica della lesina attuata sulla scuola dai governi degli ultimi decenni.
Ora la Ministra ha convocato il concorso riservato per i precari, che si dovrà tenere tra il 22 ottobre e il 9 novembre. Una scelta irresponsabile, a fronte di quanto sta succedendo nel paese e in particolare nella scuola. I contagi sono in aumento mentre le scuole non riescono a lavorare in sicurezza, come è testimoniato dalle continue quarantene, chiusure causa virus, interruzioni e riprese.
In questo contesto la Ministra convoca un concorso fortemente a rischio per gli spostamenti che provocherà, per il reperimento di spazi adeguati e infine per la probabile difficoltà a trovare i commissari. Non solo, ma la Ministra indice anche un concorso ordinario che si terrà tra pochi mesi con la partecipazione prevista di 500.000 aspiranti, che dovranno usare mezzi pubblici, soggiornare in alberghi o presso amici o parenti, affrontare le prove in aule di cui non si possono immaginare le condizioni di sicurezza.
In una tale situazione appare peraltro risibile la proposta della responsabile scuola del PD, Camilla Sgambato, che ha chiesto che il concorso riservato ai precari sia posticipato al periodo natalizio. Su quali evidenze si basi Camilla Sgambato per sostenere che la situazione sanitaria a dicembre sarà migliore di quella di ottobre non è dato sapere.
Ciò che invece è evidente è che l’unica reale soluzione al problema di tali precari è la loro immediata immissione in ruolo, a cui hanno largamente maturato il diritto. L’accanimento “meritocratico” della ministra Azzolina contro i precari è un pezzo da antologia, perché non tiene conto dei diritti maturati dai lavoratori e nemmeno della situazione contingente.
Un comportamento assai strano per una ministra che vorrebbe avere un passato di “sindacalista” (ma di quale sindacato?).
In questa complicata situazione, è necessario che il movimento che si è espresso nelle giornate di lotta della scorsa settimana non solo continui la mobilitazione, ma persegua chiaramente i suoi obiettivi.
Anzitutto, la risoluzione del problema del precariato, ma anche il reinserimento della scuola in una rete di servizi pubblici sul territorio, in particolare con la sanità. Infine, in ordine d’esposizione ma non d’importanza, il ripristino di una didattica in presenza di qualità, con un rapporto alunni/docenti migliorato, con la costruzione di una pedagogia basata non sulle aule ma sui laboratori, con uno sviluppo delle attività d’inclusione dei disabili e dei giovani immigrati.
Tutto questo significa promuovere un grande piano di investimenti nella scuola pubblica, con una netta separazione tra pubblico e privato. Analogamente a quanto avvenuto nella sanità, la scuola ha subìto le conseguenze dell’ideologia della sussidiarietà. Come è stato, negli anni novanta, istituito un sistema sanitario nazionale che integra pubblico e privato, a tutto vantaggio di quest’ultimo, così è avvenuto nella scuola, con l’istituzione del “sistema educativo nazionale”, voluto dai governi di centro sinistra alla fine degli anni novanta, che ha introdotto la sussidiarietà anche nel sistema dell’istruzione offrendo enormi finanziamenti alle scuole paritarie, in grande prevalenza clericali.
Un piano di rifinanziamento della scuola pubblica deve necessariamente passare anche attraverso una riflessione su quanto avvenuto in passato. Ci riferiamo, in particolare, a tutti i tagli di spesa avvenuti dalla gestione Gelmini in poi, passando tuttavia anche e soprattutto al governo Monti, installato in Italia su pressione dell’Unione Europea e agli esecutivi che gli sono succeduti.
Infatti, gran parte dei tagli di bilancio attuati nel settore della scuola e dell’università sono stati attuati per rispondere alle politiche di austerità dell’UE. Appare quindi illusorio, oggi, rivendicare che il 20% del Recovery Fund sia destinato alla scuola. Questo perché tale fondo è dato all’Italia non come una gentile regalìa, ma è sottoposto alla valutazione di “riforme contestuali” che non hanno certo il loro obiettivo nello sviluppo di una formazione scolastica democratica.
Se si consultano i documenti prodotti dalla Unione Europea negli ultimi decenni, si legge facilmente come i suoi progetti nell’istruzione siano indirizzati non verso la formazione del cittadino, bensì verso l’acquisizione delle famigerate “competenze”, vale a dire la preparazione di mano d’opera di basso livello, sottomessa e pronta ai progetti di “flessibilità” dei lavoratori.
Chiedere quindi a chi per decenni ha promosso la distruzione della scuola pubblica, formativa e critica, di rifinanziarla, non è credibile. Peraltro, nei progetti che il governo Conte andrà a presentare all’UE per ottenere il Recovery Fund, hanno risalto le “grandi opere”, come il TAV o un ipotetico tunnel sotto lo stretto di Messina, non certo la scuola.
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa