Era nell’aria e per molti versi era inevitabile. La competizione di poteri tra regioni e stato centrale si è impennata con le dichiarazioni del presidente del Veneto, Zaia, forte del plebiscito che lo ha rieletto e del progetto bipartisan sull’autonomia differenziata.
In una intervista al Corriere della Sera sulle nuove misure che il governo si appresta a varare per la prevenzione dei contagi da coronavirus, il messaggio inviato al governo Conte è chiaro: “Lo dico costruttivamente: il governo ha ancora spazio per camminare a fianco delle Regioni. Non perda questa occasione”. Ed ancora: “E’ anacronistico pensare a provvedimenti rigidi come i binari di un treno. Questo dirigismo è il segno manifesto di una sfiducia nelle Regioni. Spero sia un errore e che ci ripensino perché sarebbe grave se ci trovassimo ancora a questo punto”. Infine ha calato l’asso di bastoni sulla rivendicazione, strategica, dei poteri conferiti alle regioni: “Io non nego che serva una visione nazionale del problema pandemia. Però, ricordo che in tema di sanità le Regioni hanno una competenza quasi esclusiva. C’è ancora bisogno di ricordarlo?”.
Dobbiamo ammettere che la pandemia di Covid 19, rivelando proprio i danni della mancata centralizzazione sia delle misure d’emergenza che di quello di contenimento, ha paradossalmente ringalluzzito la spinta regionalista e, nei fatti, secessionista, che è insita nel progetto di autonomia differenziata, la quale vorrebbe addirittura aumentare i poteri decisionali delle regioni e le materie su cui esercitarli.
Uno dei problemi è che su questo progetto – avventurista come lo fu nel 2001 la modifica del titolo V della Costituzione voluta dal centro-sinistra – convergono anche i presidenti del o vicini al Pd.
Un altro segnale da cogliere è la crescita di peso concertativo e decisionale che è venuto assumendo un istituto come la Conferenza Stato-Regioni che in moltissimi casi bypassa la concertazione istituzionale prevista.
A rendere il tutto più competitivo e disgregante, adesso c’è anche la corsa ad accaparrarsi i fondi europei del Recovery Fund dove le regioni – ma anche le città metropolitane a sentire il sindaco renziano di Firenze, Nardella – vogliono avere più peso in capitolo sulla spartizione dei finanziamenti. E per farlo usano esattamente gli argomenti utilizzati da Zaia: “noi stiamo sui territori e noi decidiamo le priorità. Lo Stato si adegui”.
Non è superfluo rammentare come questo modello disgregante di governance, abbia radice, origine e ispiratori nei gruppi di potere dominanti nell’Unione Europea – in particolare quelli tedeschi – proprio per la sua natura di apparato di governabilità multilivello. Si ha la netta impressione che la gestione dei soldi del Recovery Fund tenderà ad accentuare questo processo.
Le ultime elezioni regionali, hanno dimostrato come si stia assistendo ad uno sganciamento crescente delle singole personalità dai contesti dei partiti di appartenenza, con una sorta di caudillismo all’italiana.
De Luca, Zaia, Toti, Bonaccini, Giani e lo stesso Emiliano, non si sentono parte di un progetto politico generale – sia esso il Pd o Lega o Forza Italia – ma “governatori” dei territori che amministrano.
I risultanti sono devastanti da ogni punto di vista, soprattutto in presenza di emergenze sanitarie e tendenzialmente sociali, in cui ogni “caudillo” pensa di poter decidere sulla base del proprio consenso elettorale.
Nei mesi del lockdown abbiamo sottolineato più e più volte i danni del regionalismo nell’aver provocato il collasso della sanità pubblica ancora prima della pandemia di Covid 19. Abbiamo ritenuto che fosse l’occasione per una necessaria resa dei conti contro i gruppi di potere che hanno approfittato a man bassa proprio delle maggiori competenze regionali per fare montagne di soldi a discapito degli interessi collettivi.
Appare evidente che oggi una offensiva politica contro il regionalismo e l’autonomia differenziata, per rivendicare la centralità del pubblico e l’omogeneità degli interventi in modo ugualitario in tutto il paese si impone. Un ulteriore pericolo di disgregazione incombe e non aiuterà sicuramente la ricomposizione delle lotte e degli interessi popolari nel conflitto di classe.
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Anna De Matteis
Fin dalle prime posizioni prese durante i primi giorni della diffusione del Covid, mi accorsi dell’aggressione verbale verso qualsiasi decisione presa dal governo con un’arroganza e ina prepotenza che mi disgusto’. Ben presto le azioni prese dai presidenti di regione ( lasciamo da parte la parola ” governatore” della quale si sono impadroniti d’ autorità, ma che non risponde al ruolo.che ricoprono) hanno messo in evidenza incapacità fallimentare riguardo il campo della sanità. Questo è maggiormente accaduto nelle regioni a trazione leghista e per primo sarà guardare con attenzione tutti i disastri accaduti in Lombardia. I complimenti devono essere indirizzati solamente a tutto il personale sanitario che, col loro grande senso del dovere e umano, hanno dato il meglio di sé, nonostante i disastri che avremmo avuto se avessero.seguito.norme suggerite.da persone che di sanità nulla sanno. Difatti non si saprà mai quanti siano stati i decessi di persone colpite da malanni gravi.che non hanno potuto accedere ai pronto soccorso, né al medico di base o ai medici delle asl. La medicina del territorio è stata fel tutto fallimentare. E sarà opportuno che Conte accenti al governo.linee guida di tutta la sanità. Anche perché alcune decisioni locali non rispettano l’uguaglianza tra i vari malati specie se di altra nazionalità. Aspetto vergognoso e discriminante.