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Roma. L’emergenza Covid-19 nelle case occupate, ma funziona l’autorganizzazione

A marzo la notizia di alcuni contagi e della conseguente chiusura con militari e forze dell’ordine del Selam Palace, abitato da centinaia di rifugiati e non solo, ha allarmato il resto della città che vive in strutture occupate o insediamenti informali.

Immediatamente si è avviato un processo di comprensione del rischio e la gestione di eventuali criticità sanitarie, anche con il contributo di organizzazioni come Medici senza Frontiere e realtà territoriali impegnate nel mutuo aiuto solidale.

Il passaggio decisivo è stato garantito dal concetto dicomunità che, seppur tra molte contraddizioni dovute all’incrocio di diverse provenienze e culture, ha consentito di affrontare e spesso risolvere problemi di diversa natura. Nel farlo, i e le abitanti delle occupazioni si sono fatti forza anche dell’esperienza di autorganizzazione accumulata per gestire dal basso le conseguenze dell’infame Articolo 5 del Piano Casa Renzi-Lupi che, vale sempre la pena ricordarlo, impedisce anche l’accesso al medico di base e al welfare territoriale.

Tale esperienza ha consentito di approntare rapidamente strumenti come la formazione sulla salute, una consapevolezza via via sempre, più forte sulla natura del virus e sui rischi ad esso connesso. A tali aspetti socio-sanitari si sono inevitabilmente aggiunte le dinamiche legate all’impossibilità di lasciare l’occupazione per andare a lavorare perché molte e molti vivono di impieghi a nero o molto precari, e senza un adeguato supporto al reddito da parte delle istituzioni impegnate a dispensare misure una tantum e bonus insufficienti,  inefficaci e pure con gravi ritardi e condizionalità.

Infine, un altro punto critico ha riguardato la socialità dei più piccoli e il distanziamento sociale prodotto dalla didattica a distanza, nonché gli obblighi del lavoro dicura che ancora una volta sono ricaduti sulle spalle delle donne e dei soggetti più precari.

Ora la situazione è diversa ed anche nelle occupazioni si sono registrati casi di Covid-19. Come per tutti l’estate si è vissuta in maniera meno attenta di come ci si era mossi nel periodo marzo/aprile, dove nessun contagio si era registrato. A settembre si è tornati a scuola e al lavoro, spesso su autobus e metro sovraffollati, e con ogni probabilità sono proprio questi i luoghi del rischio maggiore dai quali non si riesce a sottrarsi.

Le varie situazioni di contagio che hanno interessato le occupazioni abitative sono state gestite in maniera esemplare, dentro un rapporto con le Asl complicato ma alla fine positivo, che ha confermato ulteriormente quanto sia fondamentale una sanità che sia territoriale, pubblica e umanizzata. Anche laddove è emersa in qualche responsabile sanitario la tentazione di militarizzare la gestione dei tamponi, essa è stata sopravanzata dalla notevole capacità organizzativa dimostrata dagli occupanti, forti dell’esperienza maturata nel lockdown di primavera. Ora la situazione è sotto controllo in tutti gli stabili occupati e sono ben altre le preoccupazioni.

In molti a marzo hanno perso il lavoro e faticosamente lo avevano ritrovato, spesso irregolare e con entrate molto basse, alcuni hanno avuto il fermo del reddito di cittadinanza o non hanno avuto accesso nemmeno a misure tampone come i buoni spesa perché non a posto con la residenza a causa dell’articolo 5 della legge Renzi-Lupi del 2014, soprattutto comunitari.

Proprio i buoni spesa, decisamente insufficienti, se verranno reiterati e distribuiti come in primavera serviranno a molto poco se non si uscirà da un’emergenza che poteva e doveva essere gestita in modo meno approssimativo di come si sta facendo.

Di fronte a questo è ancora la comunità che supplisce, mettendo a valore le conoscenze non come valore di scambio economico, ma come uso collettivo. Tale accumulo di forze agisce su più fronti e consente di non deprimersi, che continua nella quotidianità a reagire alla pandemia e alla pochezza di chi ci governa. di chi rilascia interviste, come il neo prefetto Piantedosi, dove si continuano a minacciare sgomberi anche dentro una crisi economica e sanitaria come l’attuale.

In ogni occupazione si fanno i conti con questa miscela di cose, si è protagonisti delle mobilitazioni di questi giorni, e si mette insieme il pranzo con la cena con dignità e molta energia, si fanno studiare i ragazzi e le ragazze, si lavora per migliorare e mettere in sicurezza i luoghi dove si vive. Ogni giorno manutenzione e socialità si intrecciano non disdegnando di aprirsi alla città che può toccare con mano una realtà piena di contraddizioni ma pulsante, viva e senza paura.

Ogni lunedì ci si incontra dentro l’occupazione abitativa di viale del Caravaggio, in cima al timing degli sgomberi romani, e si fa il punto, si decidono iniziative e ci si confronta su come si sta affrontando questo difficile momento. Arrivano consigli e idee che poi servono per superare piccole e grandi difficoltà. Guardando dall’esterno questo mondo si rimane sorpresi dalla vitalità e dalla voglia di mettersi in gioco dimostrata, mentre in molti anche più garantiti pensano a chiudersi e a rintanarsi piuttosto che rompere dinamiche di contenimento che appare sempre più sociale che sanitario.

Se disturbare il manovratore è da sempre nel Dna di una composizione sociale meticcia e combattiva, ora il tutto avviene con una maturità maggiore e con la forza di aver sperimentato una convivenza tra diversi in un momento davvero difficile e che questo può essere messo a disposizione della città e del paese. Fondamentale l’incontro con le nuove generazioni che stanno vivendo questi giorni tra disorientamento e trascuratezza. Ci si può aiutare mettendo a disposizione i passaggi di autodeterminazione prodotti, connetterli con lo sviluppo dei percorsi di organizzazione giovanile e studentesca, in modo da procedere insieme in un processo di riappropriazione di diritti e di saperi, oggi mortificati e compromessi.

*Bocchi Precari Metropolitani

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