40 anni non sono un particolare secondario. Il codice penale italiano non prevede una simile pena, anche se l’ergastolo viene equiparato proprio a questa cifra per poter effettuare i calcoli delle riduzioni di pena secondo la “legge Gozzini”.
Di fatto, la pena massima effettiva prevista in quella legge è intorno ai 26 anni, pur con le variazioni relative ai “curriculum carcerari” dei singoli.
Nella follia manettara degli ultimi anni, la fantasia macabra dei legislatori da strapazzo ha partorito la novità dell'”ergastolo ostativo”. Secondo cui determinate categorie di condannati alla pena massima vengono esclusi da ogni possibile attenuazione della pena prevista appunto dalla “Gozzini”.
Mario Moretti, principale esponente delle Brigate Rosse, non rientra in quella classificazione e da tempo è in semilibertà. Una condizione certo migliore del “carcere duro” – gli “speciali” ora chiamati “41 bis” – ma sicuramente peggiore della libertà: di giorno si esce (con obblighi e limiti indicati in una sorta di “piano terapeutico” steso dal magistrato di sorveglianza) e la sera si rientra.
C’è una evidente contraddizione in questa condizione dopo un periodo così lungo. La “pericolosità sociale” del prigioniero Moretti è considerata evidentemente nulla, visto che può uscire tutti i giorni. Ma al tempo stesso gli si nega la normale libertà effettiva, comunque limitata da banali considerazioni relative all’età (75 anni).
La lunghissima prigionia di Mario – quasi un record assoluto, ormai, nel panorama italiano – è però in contraddizione totale con tutta la “dietrologia” sul “caso Moro”. Secondo quella narrazione infame, infatti, tutti i cosiddetti “misteri” sarebbero legati alla sua persona.
C’è da dire, e viene quasi da sorridere, che questa produzione di “sospetti” (per definizione “impressioni senza prove”) prosegue e cambia forma continuamente. Per esempio, la “dietrologia” di matrice Pci (poi Pds, poi Ds, poi Pd o come si chiama adesso) ha sempre evocato la Cia. Ossia una delle “agenzie” dei servizi segreti Usa.
Ma ora un falsissimo Walter Veltroni – uno che è riuscito a dire “non sono mai stato comunista” pur essendo stato segretario della Fgci -, dialogando il socialista Gennaro Acquaviva, accoglie con favore anche il sospetto che invece si possa evocare il Kgb (ossia in servizio segreto sovietico, scomparso con l’Urss nel 1991). La facilità con cui si può passare da un’ipotesi a quella opposta è la vera cifra della serietà dei “dietrologi” e dello “statuto storiografico” di quella oscena “disciplina”.
La domanda, dopo 40 anni di prigionia, è posta con chiarezza disarmante da uno storico cronista della “giudiziaria milanese”, Frank Cimini. Uno che ha seguito da vicinissimo tutta la storia di “mani pulite” e che conosce a menadito fatti, vizi, furberie, scorrettezze, “doppiopesismo” e altri difetti di ogni anfratto della Procura più incensata d’Italia.
Una Procura che ha sempre seguito un proprio – e diverso – “codice penale”, che prevede poteri infiniti per gli inquirenti e nessun peso alle “garanzie” (a cominciare dagli avvocati). Ma che al tempo stesso, nonostante abbia costruito la propria saga sulla capacità di “indagare i potenti”, ha storicamente dimostrato molti pesi e molte misure rispetto ai vari potenti.
La domanda è quella del titolo dell’articolo di Frank Cimini: Se davvero dietro le Br c’erano i servizi, perché Moretti sta ancora in galera? Delle due l’una, ma tutte e due non possono essere.
Non ha nessun senso, infatti, tenere un “sospetto collaboratore” dello Stato in carcere per tutta la vita (dai 35 ai 75 anni, fatevi un po’ di immaginazione…). Paradossalmente, sarebbe uno spot per sconsigliare qualsiasi “collaborazione”.
Specie guardando a come sono stati trattati collaboratori veri come Giannettini, Ventura, Digilio, Delfo Zorzi e tutti gli altri fascisti o agenti dei servizi coinvolti nella strage di Piazza Fontana (al massimo qualche settimana in “albergo”, il più delle volte accompagnati all’estero dai “servizi” stessi).
Ma anche guardando a come sono stati trattati fascisti meno “protetti” – come Fioravanti, cavallini Mambro, condannati per la strage della stazione di Bologna, oltre che per numerosi omicidi insensati (quello di Roberto Scialabba, per esempio) e azioni semplicemente infami (l’assalto a Radio Città Futura, allora “di movimento”, e il ferimento di diverse compagne femministe che stavano conducendo una trasmissione).
Dunque, banalmente, quel “sospetto” è un’infamia, una falsità, un elemento “narrativo” inventato da chi doveva tenere insieme “strategia riformatrice” e “volontà di restare nella Nato”, “alternativa alla Democrazia Cristiana” e collaborazione subordinata con la Dc (la storia del Pd, non a caso, prosegue questo schema addirittura nello stesso partito), “retorica socialista” e concreta collaborazione neoliberista.
La lunga prigionia di Moretti ne è la dimostrazione inconfutabile. E ogni giorno che passa in carcere diventa ancora più inconfutabile.
La sua liberazione immediata metterebbe fine anche al più grande imbroglio “narrativo” giocato sulle menti del popolo di questo disgraziato Paese, costringendo i “dietrologi” a cercarsi un altro mestiere. E forse anche per questo non viene decisa…
*****
Mario Moretti fu arrestato il 4 aprile del 1981. Quindi sono 40 anni precisi precisi che dorme in galera da molto tempo semilibero ma comunque detenuto notturno.
L’anniversario di quelle manette è l’ennesima occasione che il festival della dietrologia non si lascia scappare.
Basta sentire le parole che Gennaro Acquaviva all’epoca del sequestro Moro capo della segreteria di Bettino Craxi ha consegnato in questi giorni a Walter Veltroni che sul Corriere della Sera ci prova sempre a rievocare “i misteri”.
«Non so chi, non so come, ma sono certo che le Brigate Rosse sono state manovrate presentemente dal Kgb. L’infiltrazione sovietica nell’area della protesta violenta era evidente. Nel gruppo romano non lo so non credo, ma nelle Br in genere penso di sì. Bisognerebbe chiedere a Moretti».
Eccoci, un esponente del partito della trattativa insieme a un erede del partito della fermezza per ribadire quello di cui negli atti processuali non si trova traccia. Ma a Mario Moretti tutti o quasi continuano a chiedere la verità quella che lui ha sempre detto a cominciare con il libro intervista a Rossana Rossanda e Carla Mosca che gli chiedevano in che modo lui reagisse al sospetto di ambiguità e trasversalità.
«Ah, con molta serenità e molta tranquillità nel senso che io mi rendo conto che attraverso questa accusa si vuole colpire l’idea dell’autenticità delle Brigate Rosse. La tesi che siano state manovrate dall’esterno è una tesi cara a chi non può sopportare l’idea che in questo paese si siano svolti dei fatti, delle iniziative, si siano giocati dei progetti politici esterni ai giochi di palazzo. Queste illazioni non meritano alcuna considerazione» è la posizione di Moretti che finora nessuno è stato in grado di scalfire concretamente.
Anche se la dietrologia non vuole demordere. Ci sono carriere politiche e giornalistiche costruite sui falsi misteri del caso Moro. Sempre in questi giorni il figlio del capo della scorta di Moro, Domenico Ricci, intervistato da Adnkronos è tornato a intimare a Moretti di “dire la verità”.
Non resta che stare ai fatti. Nel caso Moretti avesse intrallazzato con servizi segreti e potenze straniere non dormirebbe ancora dopo 40 anni in una cella del carcere di Opera.
Il paese anche dopo così tanto tempo rifiuta di fare i conti con quello che fu un fenomeno squisitamente politico perché evidentemente ha paura della propria storia. Al punto da non voler prendere atto che Moretti condannato a sei ergastoli ha pagato per le sue responsabilità e dovrebbe dopo quarant’anni essere scarcerato. Avrebbe pieno diritto alla liberazione condizionata che lui non chiede perché non vuole evidentemente relazionarsi con chi in pratica con la dietrologia gli nega identità politica. Sentirsi rivolgere sempre lo stesso sospetto per uno che sta dentro dal 1981 è se possibile peggio dei sei ergastoli che gli hanno dato i giudici.
In libreria da pochi giorni c’è un saggio “Brigate Rosse: un diario politico” curato dalla ricercatrice Silvia De Bernardinis. Un rendiconto critico e autocritico della storia delle Br a opera di alcuni dirigenti e militanti. Ribadisce il saggio, che dietro le Br c’erano solo le Br.
* da Il Riformista
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa
Marco
❤️
alfvanred
✊