Nel pubblicare questa importante intervista a Wolfgang Streeck, sociologo ed economista tedesco, direttore emerito dell’Istituto Max Planck per lo studio delle società, a Colonia, abbiamo mantenuto la brevissima prefazione della redazione di Commonware, rivista “militante” online, culturalmente appartenente alla piccola galassia che comunemente viene definita “negriana”, anche se non ci sfugge la proliferazione indipendente di visioni e concezioni che certo non possono essere ascritte al solo “Toni”.
La nostra scelta – oltre che un dovere editoriale per riconoscere il merito del reperimento e della traduzione – è motivata anche dal contenuto politico e teorico. Difficile infatti trovare una sintesi più efficace di quanto un pensiero che vuol essere “antagonista” possa essere condizionato e piegato dal linguaggio dell’establishment. Che non è ovviamente mai “neutro” o modaiolo, ma performante.
I redattori di Commonware si sforzano di distinguere tra la “pertinenza dell’analisi” di Streeck – in tema di Unione Europea e imperialismo tedesco – e cosiddetto “sovranismo di sinistra” rintracciato nella sua posizione intellettuale/politica.
Come se l’analisi di una realtà fosse davvero separabile dal tipo di posizione che si prende nei suoi confronti.
Il concetto che destabilizza da anni, “a sinistra”, qualsiasi ragionamento politico è proprio “sovranismo”. Ce ne siamo occupati diverse volte, cercando di mostrare come la sovranità non sia altro che il sinonimo di assenza di sottomissione ad ogni altro potere. Ossia la prima prerogativa di qualsiasi potere, consistente nella libertà di decidere e far rispettare le proprie decisioni nella platea di riferimento.
Nella Storia umana, il sovrano è stato individuato nei capi tribù, poi nei monarchi (sorvoliamo per comodità sulle autodefinizioni transeunti, come faraone, imperatore, “cesare”, zar, ecc), in alcuni casi alle oligarchie (gruppi di potere ristretti, capaci di eleggere un capo temporaneo e revocabile), quindi – in età moderna – nel popolo.
In versione liberale o socialista, la democrazia è da oltre due secoli il sistema politico in cui la sovranità appartiene al popolo (articolo 1 della Costituzione nata dalla Resistenza).
Questa idea moderna della sovranità è stata messa in discussione, soprattutto dopo la caduta del Muro e poi dell’Unione Sovietica (di tutto il cosiddetto “socialismo reale”), a favore di una visione “pragmatica” mai del tutto esplicitata – se non in studi-programmi altamente problematici, come il famoso Crisi della democrazia della Commissione Trilaterale, negli anni ‘70 – per cui la sovranità degli Stati va “superata”.
A favore di chi o cosa non è detto, se non a mezza bocca.
Proprio Streeck, nell’intervista, è particolarmente chiaro.
“Il globalismo di oggi, che dichiara la sovranità nazionale superata, persino pericolosa e immorale, è essenzialmente un tentativo di escludere la politica democratica dal governo dell’economia, trasformando l’economia in un ‘mercato libero’ su scala globale.”
La sovranità, secondo questa analisi, sta insomma passando “ai mercati”, che per loro natura hanno poco a che vedere sia con la “democrazia” (la governance di qualsiasi azienda somiglia più al fascismo che a qualsiasi altra cosa), sia con gli interessi dei popoli e finanche con i singoli esseri umani.
Un passaggio comunque a geometria variabile, visto che pochi Stati egemoni – Usa, rispetto a buona parte del mondo, e Germania rispetto al Vecchio Continente – mantengono molte delle prerogative sovrane che invece pretendono siano “cedute” da tutti gli altri Stati meno forti.
Tornando a Streeck – e ai tabù di Commonware – l’imbroglio ideologico-linguistico intorno al cosiddetto “sovranismo” viene svelato con pochi, esemplari passaggi, comprensibili a chiunque non sia ottenebrato da una cattiva ideologia.
L’intervistatrice ungherese pone infatti la domanda giusta: “perché il principio di sovranità può coesistere con il valore tradizionale di sinistra della solidarietà internazionale?”
Cui Streeck risponde: “la ’tradizionale solidarietà internazionale di sinistra’, […] significava […] soprattutto solidarietà transnazionale tra le classi, non solidarietà senza classi tra gli stati.”
Detto in altre parole, il multinazionalismo dei mercati è l’opposto dell’internazionalismo proletario o dei lavoratori.
E infatti: “I lavoratori organizzati in un paese dovevano sostenere i lavoratori organizzati in altri paesi nella loro lotta contro lo sfruttamento capitalista, ad esempio attraverso scioperi di solidarietà o rifiutando di impegnarsi in una competizione salariale con i lavoratori di altri paesi. Perché questo debba richiedere l’abolizione della sovranità nazionale a livello statale, mi sfugge.”
Per chiudere infine con la più classica posizione: “’Lavoratori di tutti il mondo unitevi’ significa lottare per la democrazia nel proprio paese aiutando nel miglior modo possibile gli altri che fanno lo stesso nel loro paese. La solidarietà e l’internazionalismo sono importanti, ma se sono investiti nei mercati internazionali e nelle organizzazioni imperiali, tutto ciò che ottieni è il neoliberismo e il dominio imperiale; devono essere radicati nella politica nazionale e da lì lottare, altrimenti non andranno molto lontano.”
Semplice e chiaro, no? Ma a Commonware non piace. E viene il sospetto che l’intervista sia stata tradotta e pubblicata solo perché, nel descrivere la personalità e la politica di Angela Merkel, Streeck ipotizza che la sua evidente assenza di scrupoli e coerenza “potrebbe avere a che fare con la sua formazione nella DDR, totalmente apolitica, lontana sia dalla democrazia cristiana che dalla socialdemocrazia”.
In effetti, nel pantheon negriano, il “socialismo reale” è sempre stato il primo nemico, più del capitalismo stesso.
*****
In questa intervista, apparsa originariamente in ungherese poi in inglese e qui presentata in italiano, Wolfgang Streeck, autore di “Tempo guadagnato”, analizza alla luce della costruzione asimmetrica dell’Ue a trazione tedesca, la risposta europea alla crisi pandemica. Nomina e pone quindi un problema spesso eluso dagli esponenti, anche critici, dell’europeismo, che non esita a chiamare imperialismo tedesco.
Pur non condividendo le conclusioni, che esprimono una posizione che nel dibattito italiano viene rubricata sotto l’etichetta di “sovranismo di sinistra”, bisogna apprezzare la pertinenza dell’analisi che descrive efficacemente lo spazio politico con cui le lotte devono fare i conti.
Infine, altrettanto apprezzabile è il suo ritratto di Angela Merkel, prossima a lasciare, dopo 16 anni, il governo della Germania e la guida della Cdu.
Commonware
*****
Per molti ungheresi la Germania è un modello socioeconomico e politico a cui aspirare. Nell’attuale struttura dell’Unione europea, tuttavia, il modello tedesco potrebbe essere tradotto nel contesto della periferia europea?
In generale, si dovrebbe guardare con molto sospetto all’idea che alcuni modelli nazionali possano essere trapiantati in altri paesi. Ogni paese deve trovare la propria strada per la pace e la prosperità. Ciò vale in special modo per questo caso particolare.
La Germania, altamente industrializzata e dipendente dalle esportazioni, può essere ed è il polo di crescita e prosperità dell’UE perché la sua moneta, l’euro, è fortemente sottovalutata, poiché non è solo la valuta della Germania, ma anche dell’intera zona euro.
Mentre la Germania ha un enorme surplus di esportazioni, la zona euro nel suo complesso ha una bilancia commerciale uniforme. Questa è una situazione ideale per un’economia nazionale la cui prosperità dipende dalle esportazioni e quindi da un tasso di cambio favorevole.
Considera anche che l’Unione Monetaria Europea rende i mercati degli altri paesi membri effettivamente prigionieri dell’economia tedesca: per quanto alto possa essere il surplus delle esportazioni tedesche con, diciamo, l’Italia, l’Italia non può svalutare rispetto alla valuta tedesca poiché quest’ultima è anche la valuta italiana, precludendo questa possibilità di incremento della competitività all’economia italiana e alle sue imprese.
Inoltre, esiste da tempo una divisione crescente nell’Unione Europea tra un centro – la Germania e, in parte, la Francia – e una periferia che include i paesi del Mediterraneo e dell’Europa orientale e centrale, anche i Balcani orientali e, di fatto anche i Balcani occidentali.
La convergenza economica in un mercato internazionale libero è quasi impossibile; qui ci sono al lavoro consistenti forze di dipendenza dal percorso (path dependance nel testo originale, ndt). Né la convergenza può essere realizzata con “fondi strutturali” o “aiuti allo sviluppo” o come si chiameranno; non solo non sarà mai abbastanza, ma sovvenzionerà principalmente le strutture sociali esistenti piuttosto che cambiarle.
In ogni caso, la stabilità di un impero dipende dal successo delle élite centrali nella gestione delle élite periferiche e dalla garanzia che le élite filo-imperiali mantengano il potere nei paesi periferici. È di questo che si occupa e si occuperà una buona parte della politica dell’impero dell’Ue negli anni futuri, non solo nel sud ma anche nell’est (dove l’Ungheria sembra essere in grado di giocare con l’opzione di un riavvicinamento con la Russia o addirittura con la Cina, un peccato contro il quale la Polonia è immune).
Sono in corso negoziati nell’Unione europea su un prestito che finanzierebbe la spinta economica per contrastare la crisi del COVID19. La maggior parte della copertura mediatica interessa la Polonia e l’Ungheria che bloccano i negoziati, mentre il ruolo della Germania nel processo è spesso trascurato. La Germania in precedenza si era opposta alla mutualizzazione del debito a livello europeo: perché inizialmente si è opposta alla mutualizzazione del debito e cosa è cambiato?
La mutualizzazione del debito tra paesi fiscalmente sovrani è impossibile, e tutti lo sanno. Nessun paese può permettere ad altri paesi di indebitarsi se alla fine rischia di dover pagare il conto. Come minimo, la mutualizzazione del debito richiederebbe un meccanismo centrale autorevole che assegni ai paesi partecipanti diritti differenziali per contrarre i debiti e controllarne l’utilizzo. Nessun paese la vuole seriamente o crede che sia fattibile.
La politica tedesca, tuttavia, è flessibile, soprattutto sotto la Merkel. Nel 2020 c’era una reale possibilità che, senza una sorta di trasferimento finanziario, l’Italia avrebbe lasciato l’Unione economica e monetaria (Uem) e mettendo fine all’euro.
L’euro, tuttavia, è la miniera d’oro tedesca, e difenderlo è diventato il principale interesse nazionale della Germania, come definito dalla Merkel e dal blocco sociale dominante che ha forgiato, che include socialdemocratici e sindacati.
Quindi si doveva trovare un modo per cedere alle pressioni italiane (e francesi) con una sorta di “unione di trasferimento”, come talvolta viene chiamata. Il Corona Recovery Fund [semplicemente il Recovery Fund, ndt] serve a mantenere i governi “pro Ue” al potere in Italia, Spagna e, a più lungo termine, Francia – è un prezzo che vale la pena pagare dal punto di vista tedesco.
Nota che non sono previsti affatto fondi; è tutto un debito, e non c’è ancora una decisione su come sarà risanato a partire da oggi fino ai prossimi sette anni – molto probabilmente, se me lo chiedi, con più debito. Nota anche che ogni paese ottiene qualcosa, Recovery o no, anche Germania e Francia.
Si noti inoltre che i paesi sono responsabili solo per la parte corrispondente alla loro quota nel normale bilancio dell’UE, non per l’intero fondo, e i parlamenti nazionali di ogni paese devono approvare il fondo (e la quota nazionale in esso). Tutto ciò è lontano da quello che avrebbero dovuto essere i cosiddetti eurobond.
Nel tuo ultimo libro, Critical Encounters, descrivi Angela Merkel come “una politica postmoderna con un disprezzo machiavellico sia per le cause che per le persone”. Potresti approfondire?
Questa può sembrare una eccessiva personalizzazione, cosa che non va bene. I politici, nella loro dimensione individuale, devono essere visti all’interno di un contesto politico. Negli anni ‘90, dopo l’unificazione, la Merkel è stata la risposta perfetta del suo partito, l’Unione cristiano-democratica, al declino del conservatorismo tedesco (occidentale) del dopoguerra insieme alla disintegrazione dell’ambiente sociale cattolico e protestante, alla fine dell’anticomunismo come punto di incontro politico e alla necessità, avvertita tra i tedeschi nel corso della spinta alla “globalizzazione” degli anni ’90,di difendere la propria “competitività” nei mercati globali.
Il predecessore della Merkel, Kohl, aveva perso le elezioni del 1998 perché gli elettori lo consideravano obsoleto, antiquato, l’uomo di ieri, rispetto al “modernizzatore” Gerhard Schröder.
La Merkel, essendo cresciuta nella Germania dell’Est, non doveva nulla a nessuna delle fazioni del suo partito; così a pochi mesi dall’inizio del primo mandato di Schröder lei, a sangue freddo, ha potuto estromettere Kohl come leader del partito e Schäuble, il suo presumibile successore, per via di un loro coinvolgimento in uno scandalo finanziario del partito relativamente piccolo.
È all’interno di questo scenario che deve essere compreso il suo peculiare stile politico e il suo enorme successo in tanti anni. La Merkel ha presieduto un partito senza causa, ideologicamente in bancarotta, che le ha permesso, oltre che costretta, di ricorrere a politiche opportunistiche guidate dagli eventi, adatte al momento, prive di coerenza sostanziale e ideate, piuttosto che da accordi di partito, da specialisti delle pubbliche relazioni senza un background politico.
Il motivo per cui una persona come la Merkel era ed è così brava potrebbe avere a che fare con la sua formazione nella DDR, totalmente apolitica, lontana sia dalla democrazia cristiana che dalla socialdemocrazia, i poli ideologici della politica della Germania occidentale, come dal comunismo della RDT.
Quando era bambina la sua famiglia si trasferì da Amburgo nella RDT; suo padre era un ministro protestante che pare abbia simpatizzato per il regime della RDT. Lei apparentemente non lo fece mai.
Sembra che questo le abbia dato una preparazione impareggiabile per la politica postmoderna, dove la gestione delle impressioni e dei sentimenti conta molto più degli impegni ideologici, e dove gli elettori decidono sull’impulso del momento piuttosto che sulla base di quanto un governo sia riuscito a spostare la società verso un ideale, come il socialismo o il rispetto dei dieci comandamenti.
È questa storia personale, credo, più il fallimento ideologico del suo partito e, da non dimenticare, la posizione economica privilegiata della Germania all’interno della, e grazie alla, Uem che bisogna tenere in considerazione quando si valuta la Merkel.
Come leader dell’opposizione contro Schröder, la Merkel si proponeva come una versione tedesca di Margaret Thatcher, con una piattaforma elettorale neoliberista radicale. Dopo aver sconfitto per un pelo Schröder nel 2005, ha abbandonato il neoliberismo letteralmente su due piedi perché troppo rischioso dal punto di vista elettorale e ha iniziato, come Cancelliera di una Grande Coalizione, a “socialdemocratizzare” il suo partito.
Si può presumere che a questo punto avesse notato che i suoi predecessori avessero già svolto il lavoro neoliberista per lei: Kohl portando la Germania nell’Uem e Schröder con Hartz IV, entrambi utili nell’ottica di una performatività economica nazionale che le dava come Cancelliera in carica un enorme vantaggio nelle successive quattro elezioni nazionali.
Dopo aver messo alle strette l’Spd la Merkel si è poi dedicata a mettere all’angolo anche i Verdi, preparando la successiva coalizione trasformando lei stessa, a poche settimane dall’incidente di Fukushima nel 2011, da Atomkanzlerin (“Cancelliera dell’energia nucleare”) che disse agli elettori che come fisica sapeva per certo che l’energia nucleare era sicura, nella Cancelliera della “svolta energetica” antinucleare. Quando la Thatcher ha detto di se stessa “Questa signora non cambia idea”, la Merkel deve aver pensato: “che stupidaggine”.
Oppure si prenda il voto del Bundestag nel 2017, poche settimane prima delle elezioni nazionali, quando i Verdi e l’Spd hanno promosso una legge di “matrimonio per tutti” “matrimonio per tutte” [marriage for all nel testo originale] per mettere in imbarazzo la Cdu/Csu. La Merkel, in maniera tipica, ha lasciato mano libera al partito e ha osservato l’approvazione delle leggi, astenendosi dal voto senza spiegare mai pubblicamente il motivo.
Parlare della Merkel ricorda inevitabilmente al popolo ungherese la crisi dei rifugiati del 2015. I liberali la adoravano per le sue politiche sui confini aperti, i conservatori l’avevano odiata per Willkommenskultur. Alcune di queste posizioni sono giustificate?
Questo è un altro esempio del suo virtuosismo come politica post-democratica. Nella primavera del 2015, non è riuscita a convincere il suo partito ad accettare un regime di immigrazione che avrebbe fornito all’economia tedesca la manodopera urgentemente necessaria, visti i tassi di natalità tedeschi molto bassi.
Aveva anche subito un grave danno all’immagine pubblica quando in diretta televisiva dopo aver detto a una giovane rifugiata palestinese, che sarebbe dovuta tornare in Palestina perché “noi, purtroppo, non possiamo prendere tutti”, la ragazza ha iniziato a piangere. Nel successivo trambusto su Twitter la Merkel si è guadagnata il soprannome di “regina di ghiaccio”.
Poi è arrivato l’episodio della stazione ferroviaria di Budapest (nel settembre 2015, ndt) e la richiesta di Obama alla Germania, che sotto Schröder si era rifiutata di unirsi alla guerra in Iraq (contro l’opposizione della Merkel), di prendersi cura dei rifugiati per lo più siriani, per aiutare a gestire il disordine che l’intervento americano aveva causato lì.
Alcuni reportage hanno scoperto che l’ordine alla polizia di frontiera di far passare i rifugiati di Budapest in Germania era valido originariamente solo per un fine settimana. Ma quando ha visto l’entusiasmo di una parte della popolazione tedesca per essere stata celebrata a livello internazionale come modello di virtù e solidarietà, ha deciso di lasciare il confine aperto, lasciando intendere che nell’età moderna i confini non possono essere controllati, e che in ogni caso tutti avevano il diritto umano di arrivare in Germania e chiedere “asilo”.
Solo pochi giorni dopo avviava negoziati segreti con Erdogan su un accordo in base al quale la Turchia avrebbe ricevuto miliardi di euro dall’UE per impedire ai rifugiati che attraversavano il Mediterraneo di entrare in Grecia.
Quando i negoziati hanno richiesto tempo – durante i quali l’AfD ha quasi raddoppiato i suoi voti in una serie di elezioni regionali – la Merkel ha detto al suo congresso di partito all’inizio del 2016 che “un evento come il 4 settembre 2015 non deve ripetersi” e che i profughi erano davvero un obbligo europeo e non solo tedesco.
In questo modo è riuscita a presentarsi allo stesso tempo come angelo dei rifugiati e astuta donna di stato che ha fatto in modo che la Turchia proteggesse l’Europa dall’invasione delle migrazioni.
La Merkel lascerà la politica il prossimo anno. Pensi che la Germania rimarrà un paese relativamente stabile anche dopo la sua partenza, o le turbolenze politiche che prevalgono nel continente alla fine raggiungeranno anche la Germania?
La domanda è cosa intendi per “stabilità”. La Cdu rimarrà il più grande partito? È probabile. Ricorda quello che ho detto sulla Germania, che è il polo della prosperità dell’Ue. Finché l’euro rafforza l’economia tedesca, la Cdu dominerà, dal prossimo anno in poi molto probabilmente con i Verdi.
Anche se l’eliminazione dell’Spd può creare un’illusione di cambiamento, le politiche saranno in linea di massima le stesse, forse con un po’ più di protezione del clima e simili. Retorica a parte, i Verdi non chiederanno cambiamenti nella politica europea ed estera; sosterranno tacitamente l’aumento della spesa militare in onore di Joe Biden; e insisteranno affinché i rifugiati vengano trattati come un affare “europeo”, non tedesco, sperando di ridimensionare l’AfD.
Paesi come l’Ungheria e la Polonia possono subire più pressioni di oggi per le loro politiche familiari e di immigrazione, ma la Cdu/Csu farà del suo meglio affinché ciò non mini l’influenza tedesca nell’Europa orientale o spinga i paesi dell’Europa orientale tra le braccia di Putin.
Tutto ciò potrebbe cambiare in una grave crisi economica, per esempio causata dal declino americano o dal prossimo virus che appare sulla scena. E, naturalmente, le tensioni all’interno dell’UE non devono essere sottovalutate. Salvini potrebbe tornare, Macron potrebbe essere seguito da Le Pen ecc.
Ad un certo punto, i pagamenti di compensazione che la Germania dovrà fare agli altri paesi membri potrebbero semplicemente diventare così alti che raccogliere fondi causerà grandi conflitti interni. Poi tutte le scommesse potrebbero essere annullate, anche perché l’AfD potrebbe tornare in una versione politicamente più sofisticata.
L’egemonia tedesca nell’Unione europea era ed è in larga misura costruita su promesse che la Germania o l’UE, in gran parte gestita dalla Germania, non saranno in grado di mantenere, come ad esempio un’assegnazione di migranti a livello europeo mediante quote nazionali fisse, o trasferimenti di pagamento permanenti ai paesi del Mediterraneo.
Sei un duro critico dell’Unione europea, cosa che non è molto presente a sinistra. Secondo te, perché la sovranità dovrebbe essere un valore importante per la sinistra nel XXI secolo e perché il principio di sovranità può coesistere con il valore tradizionale di sinistra della solidarietà internazionale?
“Il principale nemico del neoliberismo è la sovranità del popolo”, come afferma Chantal Mouffe. Il globalismo di oggi, che dichiara la sovranità nazionale superata, persino pericolosa e immorale, è essenzialmente un tentativo di escludere la politica democratica dal governo dell’economia, trasformando l’economia in un “mercato libero” su scala globale.
Quel mercato infatti non è libero, ma è un impero di grandi aziende che operano a livello globale ma hanno sede a livello nazionale, quasi tutte negli Stati Uniti. Inoltre, in quell’impero non manca la “sovranità nazionale”, solo che è la sovranità degli stati egemonici, soprattutto quella gli Stati Uniti, a signoreggiare sugli stati periferici non egemonici.
La retorica anti-sovrana è la retorica dei potenti che hanno paura dei meno potenti che insistono sulla loro indipendenza e sulla volontà democratica dei loro cittadini. Ciò che i forti vogliono eliminare è la sovranità dei deboli, non la loro stessa sovranità.
Gli Stati Uniti non hanno mai inteso fondere la loro “nazione indispensabile” (Obama) in un’economia e una società mondiali de-nazionalizzate a livello globale. Il “Nuovo Ordine Mondiale” proclamato da G. H. W. Bush dopo il 1990 doveva essere un ordine, non senza stati-nazione sovrani, ma con un solo stato-nazione sovrano, gli Stati Uniti.
Quello stato, agendo come uno stato mondiale in attesa, doveva prendere il posto del cosiddetto Ordine Internazionale Liberale, che era presumibilmente multilaterale, ma in effetti era diventato sempre più unilaterale e imperiale.
Quanto all’Unione europea, sì, ne sono un “critico”, come dici tu, ma non perché sono contrario alla pace e alla cooperazione tra i paesi europei, anzi. In quanto europeo devoto, insisto sul fatto che l’Europa non è la stessa cosa dell’Unione europea, per quanto funzionari e beneficiari dell’Ue possano tentare di farcelo credere.
Sono “nazionalista “solo nel senso che sono contro l’antinazionalismo imperialista, che identifico con il governo centralizzato gerarchico, tecno-burocratico da parte di alcune nazioni su altre nazioni, caratterizzate da diverse forme storiche di accomodamento tra il capitalismo e il proprio modo di vivere.
Sono del tutto a favore di un’Unione europea o comunque si possa chiamare, ma dovrebbe essere una cooperazione di Stati-nazione democratici, una confederazione, se volete, di Stati che per essere democratici devono essere sovrani poiché senza sovranità la democrazia si esaurisce.
Preferisco decisamente una cooperazione ad un impero. Se l’Ue continuerà a svilupparsi come ha fatto dagli anni ’90 e fino alla crisi finanziaria, il risultato sarà che la Germania, con o senza la Francia, governerà il resto degli Stati membri attraverso la burocrazia di Bruxelles.
In effetti, una delle ragioni per cui sono contrario al tipo di Unione europea che si è formata negli ultimi due decenni è che la Germania sarebbe inevitabilmente egemone, nascondendosi più o meno dietro un’alleanza profondamente asimmetrica con la Francia.
Un impero europeo tedesco manca sia della legittimità storica che delle risorse necessarie per compensare i paesi periferici dipendenti dell’accettazione dell dominio tedesco. Il risultato sarebbe le perenni tensioni tra la Germania e il resto dell’Europa, così come all’interno della Germania sul prezzo da pagare per l’impero. Voglio che la Germania viva in pace con i suoi vicini, ad esempio sul modello dell’alleanza scandinava di democrazie che da tempo cooperano nel Consiglio nordico senza bisogno di uno Stato egemonico che li disciplini.
Riguardo alla “tradizionale solidarietà internazionale di sinistra“, come lei dice, ciò che significava era soprattutto solidarietà transnazionale tra le classi, non solidarietà senza classi tra gli stati.
I lavoratori organizzati in un paese dovevano sostenere i lavoratori organizzati in altri paesi nella loro lotta contro lo sfruttamento capitalista, ad esempio attraverso scioperi di solidarietà o rifiutando di impegnarsi in una competizione salariale con i lavoratori di altri paesi. Perché questo debba richiedere l’abolizione della sovranità nazionale a livello statale mi sfugge.
I paesi dovrebbero al contrario essere aiutati a esercitare la loro sovranità, ad esempio tassando i propri ceti più ricchi – ci sono molti molto ricchi proprio nei cosiddetti paesi poveri, che è in parte il motivo per cui questi paesi sono poveri. Tale aiuto dovrebbe coinvolgere la sinistra nei paesi ricchi che combatte la mobilità illimitata del capitale. I paesi poveri non dovrebbero dipendere dai sussidi paternalistici dei paesi ricchi o di organizzazioni internazionali.
La solidarietà internazionale può sostenere, ma non può sostituire, le lotte nazionali per i diritti dei lavoratori e la democrazia, né la “governance globale” garantirà la convergenza economica e democratica tra nazioni o regioni ricche e povere. La democrazia e l’uguaglianza non possono essere decretate dall’alto da una benevola burocrazia internazionale, sia essa situata a Bruxelles o a New York; deve essere combattuta dal basso e sul terreno, che può essere solo un terreno nazionale.
“Lavoratori di tutti il mondo unitevi” significa lottare per la democrazia nel proprio paese aiutando nel miglior modo possibile gli altri che fanno lo stesso nel loro paese. La solidarietà e l’internazionalismo sono importanti, ma se sono investiti nei mercati internazionali e nelle organizzazioni imperiali, tutto ciò che ottieni è il neoliberismo e il dominio imperiale; devono essere radicati nella politica nazionale e da lì lottare, altrimenti non andranno molto lontano.
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa