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Vent’anni dopo, la ferita aperta di Genova

A Genova in questi giorni si susseguono dibattiti e incontri su quei drammatici momenti di 20 anni fa, con la repressione ingiustificabile del dissenso verso le decisioni imperialiste che i grandi della Terra erano venuti a prendere a Genova, città blindata e teatro di scontri tra forze dell’ordine e manifestanti, fino all’esplosione della violenza più brutale, nella spedizione punitiva alla scuola Diaz, dove poliziotti e carabinieri si sono trasformati in veri e propri killer, continuando poi il “lavoro” alla caserma di Bolzaneto, mentre l’allora vice presidente del consiglio, il leader della destra Gianfranco Fini, dirigeva le operazioni dagli uffici della Questura.

Ma l’uccisione di Carlo Giuliani, un ragazzo spaventato ucciso da un altro ragazzo in divisa, più spaventato di lui ma non per questo autorizzato a sparare ad altezza d’uomo, fa esplodere la contraddizione di qualunque ricostruzione di parte.  V

enerdì scorso Giuliano Giuliani, il papà di Carlo, ricordando il sacrificio del figlio ha detto all’AdnKronos che sarebbe lungo l’elenco dei responsabili dell’omicidio di Carlo e Placanica andrebbe collocato all’ultimo posto.

Al primo ci sono quelli che comandavano quel reparto, i due carabinieri ufficiali, che poi hanno fatto una carriera spettacolosa, e il vicequestore che per la polizia ‘associava’ il reparto. Perché la domanda ovvia è questa: se la camionetta viene assaltata, per usare una parolona, da cinque, sei, sette ragazzi, è possibile che a nessuno di quelli che comandavano sia venuto in mente di dire ai cento carabinieri che stavano a 10 o 15 metri di distanza, ‘andiamo a difenderla’? E allora i primi responsabili dell’omicidio di Carlo sono proprio coloro che comandavano quel reparto”.

Per il padre del manifestante morto “é una stupidaggine” che i fatti della Diaz e di Bolzaneto e la morte di Carlo Giuliani abbiano causato una rimozione del ricordo delle violenze dei manifestanti.

La città è stata messa a ferro e fuoco da gruppetti di due o tre persone alla volta, i cosiddetti Black Bloc, che vengono lasciati liberi di farlo. Ci sono le telefonate, non soltanto della polizia e dei carabinieri, ma di moltissimi cittadini che denunciano questa cosa e che allarmati e anche un po’ arrabbiati indicano dove si trovano i violenti, ma poliziotti e carabinieri, a poca distanza, non intervengono.

L’ordine era di lasciarli fare perché così aumentava nella popolazione, molto ingenua e in qualche caso persino stupida, la convinzione che quelli fossero i violenti che avevano organizzato le manifestazioni. E a nessuno è venuto in mente di dire che un indegno reparto attaccò senza nessuna ragione il corteo delle Tute bianche, che era autorizzato e non aveva fatto assolutamente nulla di illecito. Un chilometro prima che arrivasse a Brignole venne assaltato, e lì cominciarono i disastri che portarono all’assassinio di Carlo”.

All’analisi di Giuliani replica Luciano Vasapollo, della Segreteria della Rete dei comunisti e vicepresidente dell’Associazione Rotondi che promuove questo giornale online, anche lui a Genova per ricordare i 20 anni del G8 con i portuali: “non ha senso – spiega – dare la responsabilità maggiore della morte di Carlo ai black bloc, quattro utili idioti che non possono essere usati per coprire le infamie delle violenze di uno Stato servo degli Stati Uniti e che è lo stesso, nella versione centro destra, di quello che ha fatto le stesse cose sei mesi prima a Napoli, quando il governo era di centro sinistra e bombardava Belgrado, o di quello che l’anno scorso ha applicato la stessa infame violenza contro i detenuti in carcere che protestavano a Santa Maria Capua Vetere e non solo”.

Per Vasapollo dunque “l’informazione su queste violenze di oggi come su quelle di ieri non è completa ed è condizionata da un vittimismo imperante di una sinistra compatibile con il sistema, mentre quanti stanno con gli ultimi e gli sfruttati di ieri e di oggi, come la Rete dei comunisti, ma anche un giornale come FarodiRoma, e il sindacato USB, sanno bene che i colpevoli si chiamano stato imperialista piegato agli interessi degli Usa, della Ue e delle multinazionali, insieme con l’elemento internazionale e di asservimento, e quei poteri che vediamo in questo momento all’attacco di Cuba, ma ramificati anche qui da noi come dimostrano i mercenari assoldati per manifestare davanti alle sedi diplomatiche dell’Avana in Italia. 

Chiediamoci – ragiona il professor Vasapollo – dove sono finiti i signorini utili idioti dei Black bloc (tutti figli della buona borghesia dei loro paesi) o i dirigenti della sinistra italiana, compresi molti ex Verdi e ex Rifondazione comunista o molti leader dei centri sociali a partire da quelli del nord est? Tutti da incendiari a pompieri. Mentre ‘regge’  chi come FarodiRoma, Rete dei comunisti e USB è radicato profondamente nei valori del riscatto degli ultimi”.

Secondo l’economista, “la resa di tante generazioni di compagni” e  “la sete di vendetta” che si manifesta ad esempio nella richiesta di estradizione (“giuridicamente e moralmente ingiustificabile”) di ex brigatisti o militanti comunisti rifugiati da ormai mezzo secolo a Parigi, dove hanno condotto vite irreprensibili, sono alla fine manifestazioni dello stesso modo deviante di accostarsi alla storia politica del secolo scorso e dei primi anni di questo.

La logica è quella, conclude Vasapollo, di Portella della Ginestra, quando si sparava sui braccianti in sciopero, e di un “terrorismo di Stato” che ha prodotto lo stragismo nero e poi tanti pentiti che circolano senza problemi nel nostro Paese, pur non avendo in effetti fatto luce sui loro mandanti.

In un altro contesto, l’immensa sala del Ducale dove vent’anni fa i grandi del mondo (i presidenti Bush, Putin, Chirac, i primi ministri Schroeder, Chrétien, Koizumi, Blair, Berlusconi e, per la Commissione Ue, Prodi e Verhofstadt) sorridevano mentre fuori scoppiava l’inferno, ed oggi siedono 200 ragazzi e cinque relatori, padre Alex Zanotelli, che è in videoconferenza, esprime un desiderio non diverso da quello di Vasapollo: “vorrei davvero che fosse fatta finalmente giustizia su Genova. Non è mai stata fatta, ancora”.

Interviene Vittorio Agnoletto, l’ex portavoce del Social Forum: “Credo che qualsiasi persona in buona fede possa riconoscere che noi, allora, avevamo ragione – afferma -. Siamo tornati a Genova per dire “voi, il 12% che possedete l’85% della ricchezza del mondo siete la malattia.

Noi, 7 mld 800 mln di persone siamo la cura: la cura del pianeta, delle specie, di ogni singolo uomo e donna. Allora lanciavamo un allarme: dicevamo ‘attenzione perché il mondo sta correndo verso il disastro’. abbiamo avuto tsunami e alluvioni e migliaia di morti. Allora dicevamo: un altro mondo è necessario. Oggi siamo obbligati a dire un altro mondo è urgentemente necessario”.

Quel movimento di allora – aggiunge don Luigi Ciotti, fondatore e presidente di Libera – ha bisogno di esserci ancora oggi. E’ necessario. Non possiamo tacere, non possiamo stare inerti. Dobbiamo far sentire la nostra voce, costi quel che costi. Senza generalizzazione, sempre in una dimensione di non violenza ma di grande progetto e proposta”.

* da Il Faro di Roma

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