Sullo sciopero generale proclamato da Cgil e Uil per il 16 dicembre arriva anche la tagliola del “garante per gli scioperi”. In una lunga e puntigliosa nota, questo organismo inventato per limitare al massimo il diritto di sciopero – che secondo la Costituzione è un diritto individuale, anche quando esercitato mediante organizzazioni collettive – elenca ragioni e comparti per cui è “sconsigliato” lo sciopero.
In pratica, si nominano tutte le mobilitazioni settoriali e locali previste da qui a Natale – dal trasporto pubblico locale a quello ferroviario, aereo e marittimo, passando per la scuola, i ministeri, gli istituti di vigilanza e i multiservizi – invocando la clausola della “rarefazione oggettiva”.
Un caso particolare è quello delle Poste e del ciclo dei rifiuti (igiene urbana), per cui viene invece evocata la necessità di mantenere attivi questi servizi pubblici, nel primo caso – addirittura – perché andrebbe garantito il versamento dell’Imu.
I due sindacati hanno risposto confermando lo svolgimento della mobilitazione e, ovviamente, accettando le limitazioni posti dall’”autorità”. Chiederanno a categorie e territori che avevano proclamato scioperi settoriali di convergere sulla data del 16 (in modo da eliminare il problema della “rarefazione”), ma rinunceranno a fermare poste e rifiuti. La scuola sciopera oggi, e dunque non potrà comunque replicare il 16.
Di fatto – tenendo conto che già erano stati esclusi i trasporti pubblici e la sanità – sarà uno sciopero molto depotenziato, limitato ai settori “chiusi” (fabbriche, uffici, ecc), che non possono dare l’impressione di un Paese che “si ferma”, moltiplicando così l’effetto politico.
E’ la prima volta, a nostra memoria, che “il garante” interviene così pesantemente contro uno sciopero generale indetto dai sindacati “complici”. Fin qui, infatti, si era scatenato quasi soltanto nei confronti delle numerose iniziative del sindacalismo di base.
Del resto questa “autorità”, formalmente “indipendente”, agisce da sempre come un braccio armato governativo. Ma fin qui CgilCislUil non avevano trovato nulla da obiettare, ritenendo utili i suoi interventi per limitare la concorrenza dei sindacati di base. Un corrispettivo “legale”, insomma, della limitazione “contrattata” dei diritti sindacali sui luoghi di lavoro (tentando di ottenerli in esclusiva per le sole sigle “più rappresentative”, ossia se stessi).
Ora tocca a loro e anche questo è un segno politico di questi tempi. Quando, per motivi contingenti, anche i sindacati “concertativi” sono costretti a proclamare uno sciopero, il governo risponde su più piani: con la carota del “dialogo” (segnali di fumo alzati dai “pontieri”, per arrivare ad una revoca della mobilitazione), e con il bastone della “commissione di garanzia”.
Intorno a Cgil e Uil, ufficialmente, si è fatto il deserto politico. La destra più reazionaria spara ad alzo zero, ad esempio con Salvini, che ha dismesso in un attimo il travestimento da “difensore di lavoratori e pensionati”.
Nel cosiddetto “centrosinistra” è tutto un bisbigliare sottovoce, univocamente diretto a disinnescare la mobilitazione. Gli unici sostegni arrivano dai piccoli partiti di sinistra, dentro e fuori del Parlamento, che naturalmente sperano in una dinamizzazione della dialettica sindacale per allargare il proprio spazio politico, anche in ottica elettorale (si voterà comunque per un nuovo Parlamento all’inizio del 2023).
Dal punto di vista numerico, organizzazioni sindacali con milioni di iscritti (dichiarati, ma…) avrebbero tutta la forza necessaria ad esercitare una pressione sociale indipendente. Ma qui bisogna fare i conti con la realtà, non con le ipotesi o le speranze.
Cgil e Uil hanno alle spalle almeno 30 anni di subordinazione totale al padronato e Confindustria (dagli accordi del ‘92 che cancellarono la scala mobile, dopo i quali Bruno Trentin si dimise da segretario della Cgil), in fiancheggiamento continuo dei partiti politici di riferimento e della loro alternanza al governo (il Pd, per la Cgil, il centrodestra ex democristiano per la Cisl, e questo ne spiega anche l’atteggiamento odierno).
Dunque, in assenza di una conflittualità sociale forte da dover gestire, appare decisamente eccessivo attendersi una “rottura” con un strategia di così lunga durata.
In secondo luogo, ma forse più importante ancora, uno sciopero generale sui temi della “legge di stabilità” e le relative “riforme” è lo sciopero politico per eccellenza. Lo è perché oggettivamente contro il governo e le politiche che sta mettendo in atto. E lo confermano i temi evocati dai due segretari: «c’è bisogno di affermare la giustizia che, modificando il fisco, significa tutelare lavoratori e pensionati che pagano il 90% del gettito Irpef mentre invece le risorse sono state date anche ai redditi più alti, senza toccare le rendite e l’evasione fiscale. Ci dicono che la manovra è espansiva e c’è la ripresa. È assolutamente vero: ma per chi? Non per i più deboli».
E poi «la precarietà con l’80% di nuovi contratti precari e il decreto delocalizzazioni sparito da luglio e gli interventi sulle pensioni e il tavolo promesso e non avviato per cambiare la Fornero», nonché «le poche risorse per il fondo nazionale sulla non autosufficienza e la riforma degli ammortizzatori». Praticamente tutta la manovra andrebbe riscritta con un’altra logica e priorità opposte.
Ma lo stesso segretario della Cgil, Maurizio Landini, ha voluto precisare nei giorni scorsi, presentando alla stampa la dichiarazione di sciopero, che: «Volevamo un confronto vero prima di prendere delle decisioni ma siamo stati sempre e solo informati a giochi fatti ed è grave che il presidente del consiglio sia stato messo in minoranza proprio quando ha tentato di congelare per un solo anno i benefici per i redditi sopra i 75 mila euro e dare un segnale minimo di solidarietà».
“Il nemico”, insomma, non sarebbe il capo del governo che decide quali politiche fare senza neanche avvertire i propri ministri (figuriamoci il Parlamento e i sindacati), ma “una parte” della maggioranza che lo sostiene e che – solo in questo caso particolare – lo avrebbe “messo in minoranza”.
Un discorso che non sta in piedi, è evidente. Uno sciopero generale è uno sciopero “oggettivamente politico” e il suo avversario è il governo in quanto tale. Oppure è solo una minaccia agitata per ottenere qualcosa la prossima volta.
Perché sanno tutti – anche le segreterie di Cgil e Uil – che la manovra è ormai chiusa e non sono previsti cambiamenti che non siano indicati da Bruxelles (difficile, visto che Draghi è il garante della linea della Troika).
Dunque, sia che lo sciopero si faccia sia che venga revocato all’ultimo momento, si tratta di una mobilitazione che nasce fortemente depotenziata. Per motivi oggettivi (la mannaia del “garante” e la generale sfiducia dei lavoratori nei confronti dei vertici sindacali), ma anche e forse soprattutto per motivi “soggettivi”: questi due sindacati dichiarano apertamente che non vogliono confliggere con il governo nel mentre stesso muovono un (mezzo) passo che significa, in teoria, l’opposto.
Con “strateghi” così, la sconfitta è assicurata.
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