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Una telefonata da Bruxelles ti cambia la vita

Nonostante l’oggettiva “potenza” dell’autocandidatura di Mario Draghi al Quirinale, ciò che resta della classe politica rappresentante la “borghesia italiana” – stracciona, furbesca, fascista nel midollo, nazionalista da stadio ma serva quando serve – vede in questo passaggio istituzionale obbligato l’occasione per tirare sul prezzo della propria subordinazione.

Il fatto che Draghi sia sostanzialmente “solo”, insostituibile ma senza vice altrettanto pesanti, rende la situazione oggettivamente complicata come il famoso nodo di Gordio.

Se va al Quirinale, da dove governerebbe di fatto per sette anni in nome del Recovery Fund e delle “necessarie riforme” pretese dalla UE, si scopre la casella di Palazzo Chigi. Ma fare il premier per un solo anno, con una maggioranza da inventare (saltato Draghi, ognun per sé) e con la prospettiva di dover passare gli ultimi sei mesi sotto schiaffo per le esigenze della campagna elettorale, non è un obiettivo appetibile per nessuno dei parvenu che si credono leader.

E quindi vorrebbero una garanzia sullo scioglimento anticipato delle Camere – anche in contrasto con la platea dei peones che non rientreranno mai più in Parlamento e che vorrebbero arrivare almeno a settembre, in modo da maturare il diritto alla pensione più soddisfacente d’Italia (cosa che Draghi ha già promesso, candidandosi).

Se invece restasse a Palazzo Chigi, diventerebbe contendibile il Quirinale. Ovviamente senza i superpoteri attribuibili a SuperMario. Ma è una soluzione intollerabile per quella “borghesia europea” (compresa la ristretta frazione con passaporto italiano), perché tra sei mesi – come chiunque altro – dovrebbe smettere di imporre certe scelte a scatola chiusa (la prima “legge di stabilità” neanche esaminata dalla Commissione Bilancio, per mancanza di tempo, porta la sua firma).

Soprattutto, la seconda investitura da premier richiederebbe tempo, tentativi falliti di creare una maggioranza e infine un’altra “coalizione di salvezza nazionale” con tutti i partiti dentro. Nel frattempo salterebbero le tappe già fissate di realizzazione di certe “riforme” da cui dipendono le prossime rate del Recovery Fund, ed anche alcuni passaggi europei fondamentali (esercito comune, interventi in Africa, ecc).

Oltretutto un presidente di centrodestra, tirato fuori dal mazzo degli impresentabili di cui corre il nome in questi giorni, non assicurerebbe che questo “piano B” vada in porto. Per mancanza di volontà, cupidigia di potere, stupidità, assenza di carisma… Ogni motivo sarebbe possibile, ma pericoloso.

Sembra quasi incredibile, ma una parte di quella “borghesia italiana” sembra non aver ancora compreso di aver perso da tempo qualsiasi ruolo “egemonico”. E dire che da quasi 30 anni, ogni volta che ha provato a fare di testa sua (con Berlusconi, in genere) ha dovuto poi chinare la testa davanti al superiore potere di quella “continentale”, e chiedere scusa per essere riammessa al gioco.

Ma “è nella sua natura”, come per lo scorpione della favola.

Anche a sinistra molti faticano a vedere la nuova realtà istituzionale in cui viviamo, che possiamo riassumere sinteticamente così: il potere politico reale non è più domiciliato a Palazzo Chigi, ma tra Bruxelles, Francoforte e Berlino. Da Roma si gestisce l’Italia come fa un qualsiasi “governatore” con la sua Regione o un sindaco con il suo Comune: entro i rigidi binari definiti dalla “legge di stabilità” (che, secondo le regole di Six Pack e Two Pack, viene scritta di concerto con la Commissione Europea e infine approvata da quest’ultima).

Se questo è il quadro istituzionale reale, allora anche la vicenda del Quirinale va vista in un’altra luce.

Siccome non tutti vedono convincente il nostro parere, stavolta ci facciamo aiutare da Mattia Feltri, direttore dell’Huffington Post in versione italiana, che ha pubblicato un editoriale dal titolo che voleva essere davvero “persuasivo” con quella parte di borghesia italiota che immagina di poter mandare sul Colle qualcun altro: “Se l’Italia congeda Draghi, preparate l’elmetto”. Un po’ terroristico, vero?

Nell’argomentare questo autentico diktat Feltri rivela un po’ troppe dinamiche interne ai poteri continentali, che magari qualcuno – lassù – avrebbe preferito tenere più “riservate”. Ma la situazione deve essergli apparsa grave, pericolosa, e allora c’è andato giù piatto.

Seguiamolo. Parte ricostruendo la caduta di Giuseppe Conte, senza nemmeno un voto di sfiducia parlamentare, pilotata direttamente da Mattarella (forzando un bel po’ sui poteri che la Costituzione gli attribuisce).

In pratica, i 200 e passa miliardi di prestiti decisi per aiutare l’Italia a superare lo shock della pandemia non potevano né dovevano essere gestiti da un governo “obbediente”, sì, ma comunque percorso da “progetti di riforma nebulosi o particolarmente dozzinali, e appetiti da crapula dei partiti per il banchetto dei loro elettori”.

Il Recovery – per Feltri e l’Unione Europea – “talvolta malinteso dalle nostre leadership e dai nostri commentatori (anche “di sinistra”, aggiungiamo noi), non è semplicemente un piano di soccorso di stampo pandemico, ma l’occasione per finanziare riforme che soprattutto l’Italia manca da qualche decennio, e in particolare da quando negli anni Novanta ci attardammo sulla rivoluzione digitale”.

Dunque occorreva blindare la fase di costruzione delle coordinate del Pnrr con qualcuno che sapeva già cosa fare, che non aveva bisogno di imbeccate e rimbrotti continui, di indicazioni passo passo, anche perché aveva contribuito in prima persona a definire le coordinate di quei piani europei. Insomma: Draghi.

Bastarono un paio di telefonate dalle parti di Bruxelles perché ci fosse certificata l’ampia diffusione dei sentimenti squadernati dalla Boersen Zeitung, e per definire il crepuscolo di Conte: il fallimento dell’operazione comunitaria, con un inaudito principio di debito comune, avrebbe significato non soltanto il collasso italiano ma dell’intero disegno europeo.

Se si può cambiare governo in Italia con “un paio di telefonate dalle parti di Bruxelles” è evidente che parlare di “regime democratico parlamentare” è una presa per i fondelli. E un problema istituzionale che chi vuole “cambiare il mondo” dovrebbe identificare con chiarezza il prima possibile, senza illusioni infantili.

Si vota, certo, e si può persino eleggere qualche parlamentare. Persino entrare in un governo (chiedete a Rifondazione), ma non per fare “qualcosa di sinistra”. A meno di non avere una strategia di rottura e la forza per realizzarla…

L’esigenza di “non far collassare l’intero disegno europeo” a causa del fallimento nell’Italia nel “fare la sua parte” è ancora lì. Il Pnrr è approvato, 51 “riforme” sono state fatte passare, ma ora bisogna scrivere i “decreti attuativi” per tradurle in fatti. Nonché rispettare altre 477 “condizionalità” che accompagnano a scadenza fissa le tappe successive del recovery Fund.

Dunque la presa su Quirinale (per la lunghezza del settennato) e Palazzo Chigi (per il ruolo operativo, benché da subordinati) non può essere mollata proprio ora che “il lavoro” è appena stato avviato. Per questo “all’Europa” serve Draghi alla presidenza della repubblica (con la minuscola, a questo punto).

Ora immaginatevi che questo paese fra un mese rinunci a eleggere Draghi al Quirinale, che magari subito dopo o al massimo nel giro di un anno lo congedi da Palazzo Chigi, che lo dichiari dunque un ingombro, lo dichiari inutile al mondo. Immaginatevi la bella immagine che daremmo di noi, della nostra consapevolezza, della nostra credibilità agli altri paesi europei, ai cattivissimi mercati, e saranno anche cattivissimi, ma detengono il nostro debito e quindi parte della nostra sovranità (gliel’abbiamo ceduta, non l’hanno rubata). Immaginiamocela un’Italia così. Non so voi, ma io indosserei l’elmetto.

E’ una battuta, certamente, perché i meccanismi sono sicuramente più complessi. Ma torna utile farla: anche a Feltri, forse, è arrivata qualche telefonata. “Fai capire a quegli imbecilli che qui si fa sul serio; o fanno quello che diciamo noi o vi ammazziamo a forza di spread, blocco del Recovery e tutto quel che già sapete”. E il nodo di Gordio viene ancora una volta sciolto con un colpo di spada…

Sarebbe il caso di cominciare a pensare “la politica” a partire dalla realtà, non credete?

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

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2 Commenti


  • DANILO DI MAMBRO

    “Nessun vento è favorevole per il marinaio che non sa a quale porto vuol approdare”, allora, proprio allo scopo di ridare una bussola ad una politica che pare l’abbia persa, nel mio piccolo propongo alcune idee per un dibattito su una riforma fiscale.
    “Si tolgano i lacci e i pesi inutili a chi produce reddito e a chi fa circolare il denaro e si tassino i patrimoni!
    Quindi:
    1) Non più tasse sui redditi, né tasse prelevate alla fonte e al consumo, ma tassazione con una unica aliquota dei patrimoni comunque costituiti e stop! Tutti si darebbero da fare per guadagnare in piena libertà senza bisogno di occultare alcunché in fase di produzione del reddito. Basta contabilità obbligatorie, ricevute e fatture obbligatorie, controlli, contenziosi col fisco, ecc.. Ognuno ha il proprio cassetto fiscale con gli elementi che compongono il proprio patrimonio e quello è tutto.
    2) Istituzione di un reddito dallo Stato diretto a tutti, poveri e ricchi. Un reddito egualitario che avrebbe come scopo la diminuzione della povertà ma modulato al fine di non far rinunciare i disoccupati alla ricerca del lavoro.
    3) Istituzione di una pensione di anzianità commisurata alle tasse pagate, con un minimo garantito per tutti per tutelare chi non ha pagato tasse o ne ha pagate in misura insufficiente.
    Non esisterebbero la produzione illegale, il lavoro illegale e gli evasori. Saremmo tutti liberi di guadagnare come ci pare col solo vincolo di esercitare attività non proibite dalla legge. Non ci sarebbero più né controlli fiscali sulla produzione del reddito né contenziosi. L’unica evasione da ricercare da parte delle autorità competenti sarebbe l’occultamento dei patrimoni cosa che appare poco complicata, considerando che l’utilizzo dei prestanome sarebbe inutile perché il bene è comunque tassato a chiunque appartenga. Inoltre, non dovendosi pagare le tasse sui redditi, i contributi previdenziali e tutti gli altri oneri attualmente connessi al rapporto di lavoro, a disposizione di aziende e lavoratori ci sarebbe una quantità cospicua di denaro che circolerebbe velocemente e darebbe continuo impulso all’economia.”


  • Giovanni

    Siamo messi peggio della Grecia ma possiamo star tranquill, la nuova troika( Bce-Mes – Pnrr) ci instillera’ l’ ossigeno minimo per protrarre nel tempo le condizioni di default gia’ in corso ma verniciato di roboanti proclami di ripresa e bla, bla, bla….

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