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Trenta anni fa l’Italia firmava il Trattato di Maastricht. L’inizio della fine

Sono passati trenta anni dalla firma del Trattato Istitutivo dell’Unione Europea più noto il Trattato di Maastricht che decretava la nascita della Ue e i parametri economici necessari per aderirvi.

La parte formale del Trattato portava dodici firme di capi di Stato europei e ben sei erano di Re, Regine e un Granduca (quello del Lussemburgo). Pochi ci fanno caso ma in Europa ci sono ancora ben cinque monarchie. Per l’Italia la firma era quella di Cossiga, allora ancora Presidente della Repubblica.

La parte politica/attuativa del Trattato era stata invece firmata dal ministro dell’Economia Guido Carli (ultraliberista e sostenitore del “vincolo esterno”) e dal ministro degli Esteri De Michelis.

Cinque giorni prima della firma del Trattato, il 2 febbraio, Cossiga aveva sciolto le Camere e si sarebbe andati ad elezioni anticipate ad aprile.

Il 17 febbraio veniva arrestato a Milano il faccendiere Mario Chiesa e iniziava l’inchiesta definita come “Tangentopoli” e che avrebbe liquidato l’intera classe politica della Prima Repubblica, facendo posto ai politici della Seconda Repubblica, assai più servili e incompetenti e che adesso stanno cedendo il passo ai pagliacci della Terza Repubblica.

Dal cilindro del dopo elezioni dell’aprile 1992, sbucò fuori Giuliano Amato e in autunno venne varata la prima Legge Finanziaria “lacrime e sangue”, e lo fur proprio all’insegna del rispetto dei parametri di Maastricht (rapporto deficit/Pil al 3%, rapporto debito/PIL al 60%).

Il Trattato di Maastricht ha segnato un enorme salto di qualità all’Unione Europea, da Comunità solo economica a Unione anche monetaria e politica.

Già lì venivano fissati alcuni paletti (i “parametri”) senza alcun riferimento all’economia concreta. Per esempio quello del tutto arbitrario del 3% come limite del rapporto tra deficit pubblico annuale e Pil; oppure il 60% di percentuale-obiettivo per il rapporto tra debito pubblico complessivo e Pil.

Persino Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff, autori della bibbia ideologica che ha giustificato “teoricamente” un mostro ossimorico come l’”austerità espansiva”, si erano fermati all’80%, sostenendo che una percentuale superiore si traduceva il rallentamento economico.

Mentivano sapendo di mentire, tanto che un semplice dottorando in economia (Thomas Herndon) riuscì a dimostrare in modo inconfutabile che la “teoria” stava in piedi solo a patto di scartare tutti i dati empirici che risultavano in contrasto.

In nome di parametri fantasiosi e casuali e della lotta contro l’inflazione, dogmi indiscussi del Trattato di Maastricht, in Italia venne avviata una spaventosa ondata di privatizzazione dell’industria, delle banche, dei servizi strategici.

Venne abolita la scala mobile e bloccati i salari. Furono introdotte due imposte sulle abitazioni (l’Ici strutturale e l’Isi straordinaria), vennero prelevati forzosamente soldi dai conti correnti dei cittadini. Il tutto per rastrellare soldi e tagli da gettare nella fornace del pagamento del debito pubblico.

Il debito pubblico italiano all’epoca del Trattato di Maastricht era del 105,5% e l’inflazione era al 5,4%.

Nonostante l’austerity imposta dall’Unione Europea, con anni di tagli alla spesa pubblica e ai salari, con licenziamenti e privatizzazioni, dopo trenta anni l’Italia si ritrova un debito pubblico al 134,8% pre-pandemia (2019) salito al 154,8% nel 2021, e adesso anche una inflazione al 5%.

Le misure adottate in base al Trattato di Maastricht sprofondarono l’Italia in una recessione per 18 mesi consecutivi tra il 1992 e il 1993, il Pil crollò a -23%, ben peggio che con la pandemia di Covid. Per avere un termine di raffronto va sottolineato che nel 2020, secondo l’Istat, il Pil è crollato  “solo” del -8,9%.

Tra il 1992 e il 1993 prese corpo la “concertazione” tra governo, Confindustria e CgilCislUil; una prassi istituzionalizzata – anche se ovviamente non scritta nel Trattato di Maastricht – che in questi decenni ha cementificato lo scambio tra conferimento di un “ruolo politico” ai sindacati “complici” e il sostanziale blocco della crescita salariale al di sotto dei tassi di inflazione (tramite il meccanismo truffaldino dell’”inflazione programmata”, sempre inferiore a quella reale).

Insomma la ricetta si è dimostrata completamente sballata rispetto agli obiettivi dichiarati. Complici partiti e governi di centro-sinistra, centro-destra e pure della destra vera e propria.

Ma nei trenta anni dall’entrata in vigore del Trattato di Maastricht la società e il paese hanno pagato un costo sociale enorme e, alla luce dei fatti, senza risultati. Al contrario, dal 1992 l’Italia è entrata in una fase di regressione sociale complessiva dalla quale non è mai uscita e di cui l’Unione Europea porta gran parte delle responsabilità. Ed ora è nelle mani di Mario Draghi, uno dei principali artefici e responsabili di questa regressione.

Quando in questi dieci anni abbiamo dato battaglia per chiedere la disdetta dei Trattati europei da parte dell’Italia, proprio a cominciare dal Trattato di Maastricht, o almeno la possibilità di pronunciarsi su essi tramite un referendum, abbiamo trovato più ostacoli e resistenze che sostegni.

Ma i fatti hanno la testa dura ed hanno dimostrato la piena validità di quella battaglia non vinta. E siccome abbiamo la testa dura come i fatti, intendiamo tornare alla carica.

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6 Commenti


  • giorgino

    Uscire da certi trattati europei ? D’accordo, ma bisogna anche dire che se ne deve uscire da sinistra, ovvero accentuando una gestione almeno in qualche misura “socializzata” dell’economia.

    Altrimenti, si fa il gioco di quelle piccole imprese, incapaci di economie di scala, che in ogni caso possono e vogliono sopravvivere unicamente sfruttando sempre più bestialmente il lavoro, il non detto di Salvini quando questi era contro l’Europa.

    Sarà piu scomodo, ma il punto vero è sempre la lotta di classe


    • Redazione Contropiano

      Tu commenti spesso, ma non sembra che tu legga con un minimo di attenzione i nostri articoli. Ti pare che qui si “sottovaluti” la lotta di classe e “si faccia il gioco delle piccole imprese”?


  • giorgino

    Cari compagni, a me può anche sembra il meglio circa voi, ma l’impostazione di per se presente nell’articolo, come in altri, la potrebbe condividere anche un sovranista, un proprietario di 4 appartamenti dati in fitto che teme la rivalutazione del catasto che è nell’agenda di Draghi, un piccolo imprenditore leghista, i quali credono di poter tornare all’epoca delle svalutazioni competitive . .
    La scala mobile non compensava se non in minima parte la perdita di potere d’acquisto conseguente alle svalutazioni competitive e/o stampaggio di moneta, d’altra parte simili rentier o piccoli imprenditori erano esentati rispetto alle tasse dal pentapartito (ricordate il vergognoso Orlando della confcommercio? ). . A queste condizioni di gestione economica democristiana, il debito pubblico diveniva un problema reale, e cosi il il suo finanziamento, che già negli anni 70 necessitava di investitori stranieri, esso a maggior ragione risultava problematico dal momento che gli Stati Uniti si erano dati alla rendita finanziaria a partire almeno dal 71 (quando Nixon aboli la convertibilità dollari oro, inizio crisi irrisolta del capitale). .
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    Rentier e piccoli capitali in queste condizioni ci sguazzavano, la classe operaia no, e se poteva stare meglio di adesso, era perché ancora lottava.
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    Certo, se si fosse precisato che uscire dai trattati implichi quanto meno la nazionalizzazione del sistema bancario, ed una condizionalità di classe alle imprese ( anche piccole) in cambio dei finanziamenti, ovvero salari, ecologia, economie di scala per accorpamento con riduzione di orario di lavoro, allora sicuramente ciò sarebbe stato un ostacolo più corposo a che rentier e piccoli imprenditori di stampo leghista possano condividere la vostra impostazione. .
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    Forse, più che il consenso di costoro, che comunque viene perso per strada (magari nel momento finale e decisivo della lotta), è da valutare che un cambiamento in Italia rispetto a certi trattati (da sinistra, come anche voi dite) , potrebbe e dovrebbe essere finalizzato a stimolare analoghi cambiamenti anche in altri paesi europei. O il loro cambiamento a stimolare il nostro. .
    Altrimenti, saremmo soli rispetto al boicottaggio imperialista che la fuoriuscita da sinistra comporta (per la brexit il problema non c’è perchè non è stata una fuoriuscita da sinistra). – Ecco che per stimolo reciproco , ed analogamente, una ripresa di classe in Italia non è incompatibile con una ripresa di classe anche in Francia o in Germania, non è da intendere come ostacolo il livello salariale maggiore dell’operaio tedesco, anche li e ormai realtà il progressivo immiserimento (i borghesi ci deridevano per questa idea ormai ovunque verità palmare). .

    Un coordinamento sindacale europeo dal basso è quindi possibile, anche per contribuire alla rottura della gabbia Ue, ed in prospettiva pure per ostacolare i boicottaggi della borghesia imperialista rispetto al disfacimento della sua costruzione ordoliberista – Ue, che qui e li dovesse iniziare . Non avete mai parlato ad es delle straordinarie lotte dei ferrovieri tedeschi , iniziate da quelli dell’est (il sindacato ormai intercategoriale Gdl fondato da Weselesky) e trapassate alla grande anche ad ovest. Nulla impedirebbe uno sciopero europeo dei ferrovieri.
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    Difficilmente pubblicherete il mio commento, a volte pubblicate commenti davvero insulsi, dovreste riconoscermi il diritto di tribuna proprio in quanto vi commento spesso, commentare e segno di stima


    • Redazione Roma

      Compagno Giorgino, la tua analisi è abbastanza diffusa quanto desueta. Questa idea che la lotta di classe è un assunto che non deve tenere conto delle modificazioni degli apparati di comando del capitale, che i padroni sono padroni e che processi come quelli della costruzione dell’Unione Europea siano dettagli insignificanti ai fini della lotta di classe, è un errore teorico e strategico contro cui abbiamo combattuto – argomentando ampiamente – in questi anni. Inutile poi avere la coda di paglia. Se i commenti danno un contributo alla discussione verranno sempre pubblicati, ma se diventano un disco incantato vengono meno alla loro validità e utilità collettiva.


  • giorgino

    Mi sarei aspettato un riferimento di merito, se permettete è troppo comodo rimandare a momenti altri. Io credo che circa il livello in oggetto, non sia questione di strategia che tenga conto degli apparati di comando, se mai è questione di alleanze, questione scabrosa. Magari esistesse una analisi adeguata degli apparati di comando ( e della strategie adeguate), i quali solo esteriormente possono essere il livello politico dei trattati europei, ma sono da individuare nei meccanismi del capitale fittizio ( nella sua specifica conformazione odierna) , una astrazione che nella forma attuale mai è esistita in passato, e che però è quanto mai reale. Ma, oggettivamente, la carenza non è solo vostra, è di tutto il movimento “di classe”,. Sono persona e compagno educato, e non mi distacco dal merito. Alla prossima, e saluti comunisti


    • Redazione Roma

      Caro Giorgino, se fai una ricerca sul giornale troverai decine di articoli, documenti, interventi che argomentano nel merito. Dividiamoci il lavoro, sii bravo

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