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Arruolamenti moderni: il Corriere al posto del distretto militare

Ieri mattina, qui da noi, il cielo era molto nuvoloso e sembrava volesse piovere. Allora, come ormai sanno i lettori di Contropiano, ho comprato il Corriere della Sera. Soldi sprecati: prima di tutto, perché, tempo un paio d’ore, è uscito il sole; poi perché, con quella sorta di sovracoperta giallo-blu, è impossibile usare la carta sul bagnato.

Ho provato comunque a sfogliare il (con rispetto parlando) giornale; ma è stato un martirio e ne sono uscito con un interrogativo e una conferma: il dubbio riguarda la questione se, certe ambasciate, rendano conto o meno ai propri cittadini su come investano i fondi pubblici per finanziare gradita carta stampata.

La conferma, invece, era scritta, nero su giallo, nella quarta di sovracoperta: «Abbiamo dimostrato che siamo come voi. Mostrateci che siete al nostro fianco, che non ci abbandonate»; firmato Vladimir Zelenskij.

Quanto al fatto che le leadership ucraine, dall’«indipendenza» (dall’URSS, ovviamente) in poi, a partire da quel Leonid Kravčuk che nel 1991, insieme a Boris Eltsin e Stanislav Šuškevič, firmò nella “Belovežskaja puša” la criminale spartizione dell’URSS; passando poi per i vari Kučma, Juščenko (con la premier bombardiera Julija Timošenko), i golpisti Turčinov e Porošenko, e ora il “martire” Zelenskij, siano «come noi», cioè corrotti, ghiotti di intascarsi gli “aiuti” occidentali e scialacquarseli in ville e castelli in giro per il mondo.

Non siamo noi a dirlo, ma sono i loro stessi padrini americani, che dal 2014 non fanno che ripetere ai monelli di Kiev il ritornello delle «riforme contro la corruzione» necessarie per «avanzare sulla strada della democrazia».

E in quel «siamo come voi», mettiamoci pure quel Viktor Janukovič che, quanto a corruzione, nepotismo, affari sporchi in famiglia, spianò con le proprie mani il terreno alle proteste del 2013, in cui sguazzarono molto agevolmente nazionalisti e neo-nazisti, che erano già lì, pronti e addestrati da anni, per gli obiettivi cui Washington e Bruxelles li avevano destinati, e non aspettavano altro che il momento opportuno. Quel Viktor Janukovič rovesciato dal golpe filo-nazista del febbraio 2014 e fuggito molto indecorosamente in Russia.

Tra parentesi, questo è uno dei “rimproveri” che una parte della sinistra muove a Vladimir Putin: il fatto cioè di non aver agito otto anni fa, come sarebbe stato opportuno.. Vale a dire, invece di aspettare il 2022 a entrare direttamente in Ucraina, essendosi limitato, all’epoca, a prelevare Janukovič e portarlo a Mosca, avrebbe dovuto portare le truppe oltre la frontiera, salvare la pelle al fuggiasco e insediarlo a Kharkov, lasciando ai nazionalisti il controllo dell’Ucraina occidentale che, tra l’altro, racchiude le aeree da cui, da sempre, proviene il grosso del nazionalismo ucraino.

Si sarebbero risparmiati al Donbass migliaia e migliaia di morti, ammazzati dalle artiglierie “regolari” ucraine e torturati e massacrati dalle squadracce naziste.

Otto anni fa, non ci sarebbe praticamente stato spargimento di sangue; si sarebbe trattato di salvare un Presidente legittimamente eletto (parentesi: lui sì, legittimamente eletto; parlare oggi di legittimità nei confronti di chi, pur avendo raccolto il 73%, con un’affluenza del 61%, è in perfetta continuità, formale e soprattutto politica, coi golpisti del 2014, pare quantomeno azzardato).

E, dunque, anche formalmente, nessuno (o molto meno di oggi) avrebbe potuto urlare alla «democrazia schiacciata dai carri armati», nessuno (o pochi) avrebbe invocato «un aiuto subito all’Ucraina», e difficilmente, persino al Corriere, si sarebbero preoccupati di “spiegare” ai lettori il «Perché siamo tutti – cioè loro – Ucraina».

Ma, cosa principale, per stessa ammissione di diversi ufficiali ucraini, all’epoca nessun militare avrebbe preso le armi contro un intervento russo: sarebbero stati tutti, se non proprio “entusiasti”, quantomeno neutrali.

Oggi, dopo otto anni di repulisti nelle forze armate, di lavaggio dei cervelli a ogni livello; di colonie estive organizzate dai nazisti di “Azov” per addestrare i bambini all’uso delle armi; dopo che il grosso dei battaglioni nazionalisti e neo-nazisti è stato intruppato nei ranghi dell’esercito e della Guardia nazionale, la situazione è ben diversa.

Oggi, per dire, succede comunque anche questo. Un amico moscovita mi racconta di aver ricevuto un messaggio da un vecchio conoscente di Kiev. Dopo che si erano allontanati in malo modo nel 2014, con l’ucraino tutto preso dal “majdan”, ora questo gli scrive: «ma dove è in questo momento il nostro ex presidente? Questi patrioti (espressione volgare) che dicono di amare la madre Ucraina? Chi è stato a condurci a questo? (altra espressione…). Aiutateci almeno voi!! Avete la possibilità di mostrare quello di cui siete capaci!».

E succede anche – questa l’ho saputa da un’amica di quelle parti – che il figlio di un suo conoscente, miliardario, “costretto”, poveraccio, a studiare in un college inglese, faccia amicizia col figlio di un altro povero cristo, però di Mariupol (a proposito: sono informati i telespettatori italiani del fatto che i nazisti di “Azov” non permettono ai civili di lasciare la città attraverso i due corridoi lasciati aperti dalle forze russe per l’evacuazione?), anche lui “rinchiuso” nel college e i due pargoli decidano di evitare in ogni modo l’argomento bellico, per non rompere i rapporti.

Questa sì che farebbe presa sul Corriere!

Ma non ha senso andarlo a raccontare al Corriere, pieno zeppo di foto, non tanto strappalacrime, quanto sapientemente orientate per muovere il lettore a sentirsi parte – anche finanziariamente: gareggiando in sottoscrizioni – di una crociata a “difesa della libertà”.

Quella calpestata dalla “più feroce delle tirannie” e, dunque, pronto a qualsiasi sacrificio che, nell’immediato, riguarda le proprie tasche, le proprie buste-paga, la propria libertà a dissentire, manifestare e, tra qualche giorno, chissà, potrebbe significare il disco verde, dichiarato per l’occasione “costituzionalmente legittimo”, a partire volontario.

Per mostrare a Zelenskij di essere «al suo fianco» nella legione straniera di cui si vanta e in cui potrebbero ambire a un posto di caporali i Veltroni della joebideniana «alleanza delle democrazie» e i Lerner dei blasfemi accostamenti tra il socialista Salvador Allende e il pro-nazista Vladimir Zelenskij.

Devo confessarlo: solo in questi giorni ho scoperto di essere masochista; l’ho scoperto grazie al Corriere e ai suoi “numeri unici” con le sovracoperte giallo-blu, che in questo periodo sembrano aver preso il posto dei vecchi distretti militari.

Per fortuna, se, accartocciando quelle pagine belliciste, mi domando ad alta voce come sia possibile una tale uniformità di (di nuovo: con rispetto parlando) “informazione”, che si propone ben altri e infernali obiettivi, che non quello di fermare «l”invasione di un paese sovrano» e che alimenta zelantemente le più becere isterie reazionarie; per fortuna, dicevo, ho la risposta a quella domanda.

E mi arriva direttamente a casa, fornita dall’anziano genitore che, con quattro parole, constata secco: «si tratta della Russia». Una Russia che il quasi centenario genitore, che scuoteva la testa quando per caso accadeva di vedere Veltroni alla TV (gli ho risparmiato la chicca del «stavolta ha risposto in tutto il mondo un movimento di persone che non ha praticato ideologismi d’antan», sfoderato da Uolter ad arricchimento del Corriere) sa ben distinguere tra sovietica e borghese, tra staliniana e putiniana.

E che ricorda bene cosa avesse detto e fatto “l’uomo del disgelo”, padrino d’annata della Russia odierna; una Russia che, pur essendo sempre stata lo spauracchio di certi giornalacci, quasi cento anni fa veniva quantomeno raccontata senza alcun accento da crociata da quel convinto fascista di Salvatore Aponte, corrispondente da Mosca del Corriere tra il 1926 e il 1929.

Certo, all’epoca, dieci e più anni prima del Drang nach Osten, le mire coloniali mussoliniane guardavano ancora sostanzialmente a sud e “l’informazione” si adeguava. Oggi, quando il PD inasta le baionette e si pone alla testa degli appetiti imperialisti nostrani, mascherati da «valori occidentali» e non confinati a una sola latitudine, ancora una volta il Corriere si adegua.

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