L’affluenza per i 5 referendum sulla giustizia si è fermata al 20,95 per cento ben lontano dal quorum richiesto (50 per cento + 1). Secondo il sito del Viminale questi sono i dati definitivi sull’affluenza (7.903 Comuni su 7.903) riferiti alle 23 di ieri sera.
L’ultimo referendum abrogativo, quello contro le trivellazioni, era stato ad aprile 2016 ed ebbe una affluenza del 23,54% alle 19, e si era poi attestato al 33% alla chiusura delle urne.
Completamente diversi invece i risultati del referendum costituzionale voluto da Renzi a dicembre 2016. Lì, nonostante non fosse necessario il raggiungimento del quorum, l’affluenza era stata alta (68,48 per cento) dimostrando che la chiamata ai seggi è stata fin dall’inizio un referendum di fatto pro o contro l’esecutivo, era stato capace di mobilitare tutta la popolazione. Il No alla riforma controcostituzionale di Renzi vinse con il 59,5 per cento dei voti contro il 40,4%.
Il silenzio elettorale ieri era stato rotto da Berlusconi (sostenitore del Si al referendum) che era tornato ad attaccare i magistrati e la “giustizia politicizzata” con toni duri, parlando fuori dal seggio dove ha votato nel centro di Milano. Oggetto della rabbia del leader di Forza Italia sul tema della giustizia sono i fatti di Palermo dove, a pochi giorni dal voto, sono stati arrestati due candidati, uno di Fratelli d’Italia e uno di Forza Italia, con l’accusa di scambio elettorale politico mafioso. “Questi arresti di candidati un giorno o due prima delle elezioni, potevano anche aspettare due giorni dopo – ha osservato Berlusconi -. Questa è sempre la storia della giustizia politicizzata che non è morta”. Insomma il Cavaliere è tornato a insistere sui suoi soliti cavalli di battaglia dando la cifra del significato con cui la destra ha cercato di strumentalizzare i referendum sulla giustizia promossi da nove consigli regionali di centro-destra e non una raccolta di firme nelle strade.
Il “garantismo di scopo” della destra era fin troppo evidente, così come la velleità di sottoporre a referendum quesiti su una materia complessa come la giustizia in cui convivevano questioni serie e richieste strumentali.
Elezioni comunali
Più alta è stata invece l’affluenza nelle città dove c’erano in contemporanea le elezioni comunali che è stata del 54,72%, ma anche qui si registra un calo rispetto a quelle precedenti. Una conferma che l’astensionismo si va ormando consolidando anche nel caso di quelle “elezioni di prossimità” che storicamente vedevano una partecipazione più alta.
Oggi alle 14 inizia lo spoglio delle schede per le elezioni comunali. Gli exit poll danno Genova, Palermo e L’Aquila al centrodestra. Al ballottaggio vanno invece Parma, Verona e Catanzaro con il centrosinistra in testa nelle prime due città. Sulle assenze di un centinaio di presidenti di seggio a Palermo, la Procura sta valutando i reati di interruzione di pubblico servizio e rifiuto di atti d’ufficio.
Sempre a Palermo l’attacco di gruppo hacker al sito del Comune, ha riversato decine e decine di file contenenti dati sensibili. “E’ stata pubblicata la prima parte delle informazioni gentilmente condivise con voi dai rappresentanti di questa società. Ce ne saranno altre domani”, ha scritto il gruppo hacker Vice Society nella giornata di ieri, annunciando la pubblicazione di altre informazioni.
Secondo l’Ansa nella lunga lista rilasciata dagli hacker c’è un po’ di tutto: relazioni su riscossioni di imposte e tasse, lavorazioni degli stipendi, accrediti al servizio di tesoreria del Comune di multe pagate dai cittadini con nomi e cognomi, ingiunzioni di pagamento, anche in questo caso, con i riferimenti anagrafici dei coinvolti, documenti d’identità di dipendenti Sispi, elenchi del personale coi numeri di telefono segnati accanto. Ma ci sono ancora note interne del comando della polizia municipale, verbali su riunioni di servizio, schede di valutazione di ausiliari dell’Amat e anche l’elenco telefonico del comando della polizia municipale. Su Twitter c’è chi ha pubblicato alcuni screenshot coi nomi dei file sottratti dalla rete di Palazzo delle Aquile.
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Enea Bontempi
La delegittimazione di massa della rappresentanza politica e la ristrutturazione in senso autoritario dello Stato borghese sono due facce della stessa medaglia: due facce della crisi della formazione socio-economica italiana che vanno continuamente osservate, organicamente inserite nel contesto internazionale e congiuntamente analizzate, poiché costituiscono il problema fondamentale che il movimento comunista è chiamato oggi a risolvere. Così, se per un verso l’astensione testimonia il distacco o, più realisticamente, la nausea della maggioranza delle masse nei confronti di quelle maleodoranti stalle di Augìa, che costituiscono, ai vari livelli, il parlamentarismo imperialista, per un altro verso va posta a tema la modificazione che, nella fase attuale dell’imperialismo, è maturata nel sistema della rappresentanza politica.
E però osservare unicamente la crescente distanza tra le masse e le istituzioni politiche potrebbe indurre a sopravvalutare il fenomeno in misura tale da spingere ad ipotizzare persino il delinearsi di una situazione preinsurrezionale, mentre cogliere unicamente l’aspetto della ridefinizione dei modelli del potere capitalistico significherebbe ignorare l’esperienza che le masse, spontaneamente, hanno fatto e, in conseguenza di ciò, le indicazione che una soggettività politica all’altezza dei tempi e della congiuntura deve ricavarne per orientare una prassi cosciente. Si tratta allora di cogliere la dialettica circolare che è propria del fenomeno, senza limitare lo sguardo ad una sola delle due facce.
Fondamentale è quindi la comprensione della causa che ha determinato l’astensione, di cui questa tornata elettorale ha mostrato una dimensione così vistosa. Una dimensione che sta costringendo sia il ceto politico che quello giornalistico, a differenza di altre elezioni in cui il fenomeno era stato ignorato o minimizzato, ad interrogarsi, con una certa ansia ed una crescente preoccupazione, su quale sia, per l’appunto, la causa di un’astensione così imponente da restringere a tal punto la base sociale della rappresentatività delle future amministrazioni. Orbene, mi sembra difficile negare che tale causa si identifichi con il passaggio, avvenuto dopo il 1989, dal regime socialdemocratico dei partiti di massa, partiti ‘pesanti’, al regime liberaldemocratico dei partiti di opinione, partiti ‘leggeri’. Tralasciando in questa sede la disàmina dei molteplici aspetti ed elementi che un simile passaggio comporta, è possibile individuare la causa, che ora ci interessa, nel mutamento radicale delle relazioni industriali costruite dal movimento operaio nel corso del Novecento e in particolare nel secondo dopoguerra. La conseguenza, fortemente avvertibile in un Paese come l’Italia, che di quelle relazioni aveva rappresentato un esempio paradigmatico, è stata allora il venir meno di quel contropotere proletario, rappresentato in qualche misura dalle organizzazioni politiche e sindacali del movimento operaio, la cui presenza obbligava le classi dominanti a non prescindere dagli umori delle masse e ad agire al fine di impedirne i sempre possibili esiti rivoluzionari. I frutti di quello che è stato definito il “compromesso keynesiano” furono indubbiamente significativi: basti pensare alla costituzionalizzazione del lavoro operaio e alla concessione di un numero non irrilevante di diritti sociali.
D’altra parte, è evidente che il sistema dei partiti di massa traeva la sua legittimazione politica dal sostegno di settori importanti delle masse subalterne, le quali a loro volta ottenevano le conseguenti garanzie di ordine economico e sociale. Questo sistema di carattere neocorporativo non esiste più, in quanto la sempre più aspra competizione interimperialista sul mercato mondiale, quindi il vincolo esterno, i corrispettivi flussi migratori e l’assottigliamento dei privilegi dell’aristocrazia operaia, classica ‘frazione-cuscinetto’ tra il proletariato e la borghesia, stanno togliendo al capitalismo italiano le basi e i margini della intermediazione sociale e, nel contempo, accorciano i tempi di una grande rottura sociale. Ma che cosa spinge in questa direzione? Per capire quali siano i fattori che spingono verso questo esito occorre scendere dal cielo della politica sulla terra dei rapporti sociali di produzione.