Nel 2021, ha sostenuto ieri l’Istat, i «poveri assoluti» (le famiglie e le persone che non possono permettersi di soddisfare i bisogni fondamentali per condurre una vita dignitosa) erano 5 milioni e 600 mila persone distribuite in 1,9 milioni famiglie.
Il dato va storicizzato. Dopo i primi dodici mesi della pandemia, dichiarata a partire da febbraio-marzo 2020, i poveri assoluti sono rimasti gli stessi, almeno statisticamente, del 2020.
In attesa dei dati del 2022 – saranno resi noti l’anno prossimo e presumibilmente registreranno un aumento della povertà a causa della nuova crisi e dell’inflazione alle stelle – il 2021 ha confermato il massimo storico raggiunto da questo tipo di povertà l’anno precedente.
Questo significa che il cosiddetto «reddito di cittadinanza», e il suo effimero gemello chiamato «reddito di emergenza» deciso dal governo «Conte 2» per evitare l’estensione della misura principale verso un reddito di base incondizionato, non sono riusciti a diminuire il tasso di povertà. Senza contare il fatto che, ieri come oggi, il «reddito di cittadinanza» non raggiunge tutti i poveri assoluti censiti ufficialmente in Italia.
Nel 2021, infatti, questa misura ha raggiunto la massima estensione con 1,8 milioni di famiglie e 3,9 milioni di percettori complessivi. Ad aprile 2022, cioè nel momento della ricaduta in un’altra crisi, i percettori sono diminuiti: 1.522.879 famiglie e 3 milioni 362.180 persone coinvolte. Importo medio: 558,17 euro (dati Inps).
La domanda è: se i poveri assoluti erano 5 milioni e 600 mila già nel 2021 perché ancora oggi sono solo poco più di 3 milioni a ricevere un sussidio che tenderà a essere sempre più ristretto, soprattutto per coloro che sono giudicati «abili al lavoro» (all’incirca 1,1 milioni)? Così ha deciso il governo Draghi nell’ultima legge di bilancio.
Tutto questo accade a causa dei «paletti» fiscali e patrimoniali (tra i quali una soglia Isee a 9.360 euro e patrimonio immobiliare non superiore a 30 mila euro, esclusa la prima casa) imposti dalla legge voluta dal governo «Conte 1» (Cinque Stelle+Lega) che ha istituito la misura nel 2019.
Senza contare che esistono anche i «poveri relativi», cioè le persone che sono escluse di fatto dalle attività e modi di vita comuni e svolgono lavori poveri e attività intermittenti. Secondo l’Istat sono l’11,1% della popolazione attiva e nel 2021 erano già aumentate dal 10,1% del 2020. Le famiglie povere relativamente erano circa 2,9 milioni (2,6 milioni nel 2020).
Riportiamo questi dati per dare un esempio della gravissima crisi sociale in cui versa questo paese e che nessuno, fino ad oggi, è riuscito a contenere. Anzi, i dati dicono che la crisi era già peggiorata tra i «poveri relativi» nel primo anno della pandemia nonostante gli «aiuti» erogati attraverso i bonus e gli incentivi occasionali e aleatori tipici dello stato sociale neoliberale e compassionevole, adottati dai due ultimi governi in Italia.
Un esempio è sufficiente per dimostrare l’inefficacia delle misure populiste adottate. Riguarda l’indennità per i lavoratori autonomi chiamata «Iscro». Secondo un rapporto della Cgil e dell’associazione Apiqa la misura festeggiata due anni fa sotto il governo «Conte 2» si è rivelata com’era ampiamente annunciato, un completo fallimento.
Nel primo anno della «sperimentazione», il 2021 appunto, le domande accolte sono state inferiori alle attese: 3.471 su 9.443. Erano state previste 43.500. Parliamo del lavoro autonomo povero devastato dalla crisi innescata dalle misure prese per contenere la diffusione della pandemia.
Avrebbe avuto bisogno, anche questa misura, di ben più ampi fondi (70,4 milioni per il 2021 a scalare fino ai 3,9 milioni per il 2024) per una platea di gran lunga più grande. Nonostante l’emergenza, un disastro politico.
È questa la realtà messa sotto il tappeto dalla violenta, quanto surreale, contesa tra chi intende mantenere il «reddito di cittadinanza» perché sarebbe servito a contenere la povertà (non è vero, dato che nel 2021 è tornata al livello del 2020) e chi vuole abolirlo per regalare le risorse alle imprese che sfruttano il lavoro povero a cominciare da quello stagionale.
Nella commedia degli equivoci si rimuove l’esigenza di un’estensione universale e incondizionata del Welfare, dunque anche del «reddito di cittadinanza».
E non va dimenticato la scandalo razzista sul quale è costruito il «reddito di cittadinanza». Lo ha denunciato Roberto Rossini dell’Alleanza contro la povertà: «I 10 anni ancora previsti per fare richiesta di accesso alla misura per gli stranieri extracomunitari sono uno scandalo». Nessuna giustizia per loro.
Nessuna giustizia per «un lavoratore su tre che ha una retribuzione lorda annua inferiore a 10 mila euro» ha ricordato la Cgil. In compenso lo Stato sociale sarà più condizionato mentre le diseguaglianze cresceranno.
Un mondo alla rovescia. Da ribaltare.
* da il manifesto
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