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I salari da fame rallentano persino le assunzioni del PNRR

Il Commissario europeo per l’economia, Paolo Gentiloni, aveva avvertito il governo nei giorni scorsi. Ponte sullo stretto di Messina e flat tax sono obiettivi secondari rispetto al PNRR, su cui non si può sbagliare.

La preoccupazione deriva dal fatto che la vicina rata da 16 miliardi sarà valutata anche sul raggiungimento di 12 obiettivi intermedi entro fine marzo, sui quali secondo Openpolis il governo è in alto mare. Il sindaco PD di Bologna, Matteo Lepore, ne ha approfittato per attaccare il centrodestra.

Quello che Lepore non ha detto, nel suo gioco delle parti tra due facce della stessa medaglia, è che uno dei motivi principali per cui l’Italia è in ritardo sul programma europeo sono anche le assunzioni PNRR, ferme al palo. È il presidente dell’ANCI, il sindaco di Bari Antonio Decaro, a dire che “i professionisti non vengono a lavorare per noi (i comuni, ndr)”.

A fine 2021 nel decreto PNRR-1 del governo Draghi sono state previste nuove posizioni da aprire nella Pubblica Amministrazione. Le stime erano di 15 mila esperti e tecnici da assumere nei comuni, ma ad ora ci sono stati meno di un quinto degli ingressi previsti.

Vero è che i fondi per pagare queste assunzioni sono arrivati con largo ritardo, ma la ragione di fondo è il fatto che questi posti sono precari e offrono livelli retributivi troppo bassi. Se ci si aggiunge che circa 4.500 Comuni che dovranno gestire dei fondi sono piccole realtà, con gli uffici tecnici sotto organico, le difficoltà sono inevitabili.

Quest’ultimo problema riguarda in generale tutti gli istituti pubblici. Ma peggiora quando parliamo di regioni, province, comuni, città metropolitane e agenzie fiscali, che hanno vissuto addirittura un’ulteriore leggerissima flessione dei propri dipendenti: -0,12%, qualche centinaio di persone.

Lasciamo da parte per ora che gli anticipi dovuti dalle autorità comunali per i progetti PNRR stresseranno ulteriormente delle casse già svuotate dai vincoli di bilancio. Il personale politico «piccolo piccolo» del nostro paese continua imperterrito con questa linea fallimentare.

Due giorni fa è scoppiato lo scandalo del bando del Ministero dell’Università per 15 esperti di elevata specializzazione, che avrebbero dovuto lavorare 18 mesi a tempo pieno… a gratis! L’avviso è stato poi tolto e in una nota si è data la colpa a un “problema tecnico”: deve essere facile scrivere “a titolo gratuito” per errore, dato che è effettivamente a costo zero nelle previsioni di spesa…

Purtroppo, un’offerta di lavoro precaria e salari che rasentano la miseria non fanno che incancrenire un circolo vizioso di domanda asfittica, minori investimenti e disoccupazione strutturale. È questo il motivo per cui migliaia di giovani sono scappati da questo paese, alla ricerca di un futuro altrove.

Con i tanti diplomati e neo-laureati che si sono trasferiti all’estero se ne è andato anche un importante segmento dei settori sociali più “innovativi”. Ma questo non è mai stato un problema per la classe dominante italiana, che ha fatto la sua fortuna sullo sfruttamento intensivo dei lavoratori invece che sull’ammodernamento della produzione.

Siamo però arrivati a un punto tale che le contraddizioni del modello italiano, ormai dilaganti anche nel pubblico, mettono a rischio lo stesso pilastro europeo del PNRR. Lo stesso Gentiloni ha ribadito che il Piano UE “deve essere un’ossessione per le nostre classi dirigenti”.

Noi italiani non possiamo prenderci la responsabilità di un fallimento dei primi eurobond a livello UE”, ha aggiunto. Ricordando che ciò che importa davvero è il salto di qualità che nella competizione globale deve affrontare la compagine europea, anche a livello del proprio funzionamento interno.

Di certo, al Commissario europeo non interessano i lavoratori. Che devono affidarsi soltanto alla propria forza e alle proprie organizzazioni, rivendicando primi passi necessari a ribaltare i rapporti di forza, a partire da un salario minimo dignitoso stabilito per legge.

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