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Sull’immigrazione la UE ipotizza per la Tunisia uno scenario in stile Libia

Il 20 marzo si è riunito il Consiglio Affari Esteri della UE e, come da un anno a questa parte, tema centrale di questo incontro mensile è stata la crisi ucraina. In questa occasione però anche il dossier tunisino ha tenuto banco nella discussione, in virtù anche delle recenti tragedie nel Mediterraneo, a cui se ne è aggiunta un’altra proprio nella notte.

Lo sviluppo di un approccio europeo sul tema migratorio è stato sostenuto con forza dalle autorità italiane. Il punto sulla Tunisia è stato Tajani a volerlo all’ordine del giorno del Consiglio, mentre pochi giorni fa il ministro Piantedosi ha sentito al telefono il suo omologo al di là dello Stretto di Sicilia.

Bisogna ricordare che dal 2008 la Tunisia è parte della zona di libero scambio europea dei prodotti industriali, e dal 2011 è tra i principali beneficiari di molti programmi UE. È il giardino che irregimenta la giungla, direbbe l’Alto rappresentate UE per la politica estera, Josep Borrell… che tradotto è la forte proiezione delle mire imperiali UE su quello che considera il proprio «giardino di casa».

Nel corso dei primi mesi del 2023 la Tunisia ha rimpiazzato la Libia come paese di prima partenza (60% degli arrivi in Italia), divenendo responsabile di un aumento del traffico sulle rotte del Mediterraneo centrale pari al 164%. Questi sono i dati di un report del Servizio di Azione Esterna dell’UE (EEAS), discusso dal Consiglio alla riunione.

Nel documento si legge che il deterioramento della situazione economica e politica della Tunisia ha aggiunto ai tanti migranti provenienti dalle regioni sub-sahariane anche molti tunisini. Proteste di massa hanno attraversato il paese, mentre alle ultime elezioni per il rinnovo del Parlamento, avvenute a fine gennaio, solo un tunisino su dieci si è recato alle urne, con un’evidente delegittimazione delle istituzioni politiche.

Poiché i flussi potrebbero intensificarsi ulteriormente, l’EEAS suggerisce una missione contro i trafficanti, definita «partnership operativa». Viene consigliato, inoltre, di aumentare la cooperazione nella gestione delle frontiere e i rimpatri volontari, di fornire assistenza per migliorare le capacità nelle operazioni di ricerca e salvataggio, di aprire nuovi corridoi migratori per i tunisini attraverso il lancio di una “Talent Partnership” entro l’estate. Uno scenario che sembra assimilarsi a quello libico.

Sempre nel report si legge che le istituzioni europee sono preoccupate dai discorsi fortemente razzisti del presidente Saied. Lo scorso 21 febbraio egli ha definito i flussi di migranti sub-sahariani come un disegno criminale per “cambiare la composizione demografica” e fare della Tunisia “un altro stato africano che non appartiene più al mondo arabo e islamico“.

Dopo violenze e discriminazioni contro chi viene da sotto il deserto, un funzionario dell’EEAS ha dichiarato che lo spirito della Rivoluzione dei Gelsomini, una delle tante delle primavere arabe di un decennio fa, è stato tradito. Del resto, abbiamo visto che quelle operazioni hanno portato solo alla destabilizzazione del Nord Africa, secondo le volontà dei grandi potentati occidentali.

Gli effetti si sono sentiti anche dal punto di vista delle relazioni diplomatiche ed economiche internazionali. Giovedì scorso il Parlamento Europeo ha esortato Borrell a denunciare il peggioramento della tutela dei diritti umani, chiedendo anche la sospensione dei programmi di sostegno comunitari. La Banca Mondiale ha sospeso il partenariato 2023-2027.

Intanto anche il Fondo Monetario Internazionale ha bloccato un prestito di 1.9 miliardi di dollari alla Tunisia. Le conclusioni del Consiglio Affari Esteri UE riguardano proprio questo nodo: la sessione ha deciso di inviare due suoi membri al di là del Mediterraneo per convincere il governo di Saied a procedere su riforme strutturali e finalizzare l’accordo con l’FMI.

Il solito gioco da strozzini che il Nord globale porta avanti da decenni. Intanto, all’interno della gabbia europea, la retorica continua a essere quella umanitaria e della difesa della democrazia, per dare una legittimazione ideologica a politiche che sono in realtà fortemente reazionarie.

Ursula Von Der Leyen ha scritto una lettera ai 27 paesi membri, in vista del Consiglio Europeo del 23 e 24 marzo. In essa si dà spazio alle priorità evidenziate dall’Italia in tema immigrazione, con la previsione di fondi per gestire la questione che dovrebbe andare oltre i 500 milioni già pattuiti.

Ovviamente la destra nostrana sta usando il testo della presidente della Commissione UE per propagandare il fatto di essersi fatta valere a livello continentale. La realtà è che gli indirizzi della Von Der Leyen seguono la politica da anni tenuta dall’Unione Europea, che prevede l’esternalizzazione dei suoi confini ad altri paesi alla sua periferia.

È tutto il quadro legale impostato negli ultimi dieci anni da Bruxelles sul nodo dell’immigrazione che va ribaltato. In Italia, questo significa costruire opposizione al governo Meloni anche su una legislazione che ha reso un crimine scappare da guerra e povertà, di cui sia centrodestra sia centrosinistra si sono resi responsabili.

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