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Il reddito di cittadinanza spacchettato, ma il governo Meloni non può ignorare la povertà

A inizio marzo alcune indiscrezioni avevano parlato di Misura di Inclusione Attiva (MIA) al posto del reddito di cittadinanza. Ora invece sia il Sole24Ore sia il Messaggero hanno anticipato che le bozze del decreto Lavoro, che verrà esaminato dal Consiglio dei Ministri nel giro di breve tempo, delineano un’idea diversa di riforma.

Il 2023 è l’ultimo anno del reddito per come lo abbiamo conosciuto. Al suo esaurimento, coloro che sono considerati non occupabili potranno richiedere la Garanzia per l’Inclusione (GIL), erogabile per 18 mesi e rinnovabile per altri 12, dopo un mese di intermezzo. L’importo massimo sarà come quello dell’attuale rdc, a cui si potrà integrare la maggiorazione per l’affitto.

Si stima una spesa intorno ai 5,3 miliardi di euro per i circa 709 mila nuclei che rispondono ai requisiti. Questi prevedono che nella famiglia vi siano minori, disabili, over sessantenni o invalidi civili, anche temporanei. L’ISEE di chi ne farà richiesta non dovrà superare i 7.200 euro – più basso dell’attuale soglia di 9.360 (e nel frattempo anche l’inflazione ha colpito duro…).

Il patrimonio immobiliare non dovrà eccedere i 30 mila euro, esclusa la casa di abitazione fino a un tetto di 150 mila euro; nei conti correnti non devono essere depositati più di 10 mila euro. Poiché nel DEF è previsto un aumento dell’assegno unico per i figli, la scala di equivalenza della GIL è stata ridotta da 0,2 a 0,15 per i primi due nati, 0,1 dal terzogenito in poi.

Per chi è considerato “occupabile”, invece, da gennaio 2024 ci sarà la Garanzia per l’Attivazione Lavorativa (GAL). Un contributo di soli 350 euro per 12 mesi, non rinnovabile, per cui è richiesto un ISEE addirittura minore, che nel caso della GIL, ovvero 6 mila euro. Si prevedono 2 miliardi di spesa per 426 mila beneficiari.

Per gli occupabili il reddito di cittadinanza finisce già a luglio e, saltando agosto, il periodo di transizione tra settembre e il nuovo anno sarà coperto dalla Prestazione di Accompagnamento al Lavoro (PAL). Si tratta di nuovo di 350 euro per i percettori che hanno sottoscritto un patto per il lavoro e sono inseriti in percorsi di “politiche attive”.

Quest’ultimo è un nodo delicato per il governo. Nella manovra di dicembre l’esecutivo aveva ad esempio previsto che gli occupabili svolgessero 6 mesi di formazione professionale, dentro i corsi finanziati dal PNRR di Garanzia di Occupabilità dei Lavoratori (GOL). In molte regioni questi corsi non sono ancora partiti.

Nelle bozze del nuovo decreto sembra che questo obbligo verrà eliminato, non potendo essere concretamente espletato. A dimostrazione del fatto che la propaganda governativa sugli “occupabili” è costretta a fare passi indietro di fronte all’inadeguatezza di uno Stato ridotto ai minimi termini da decenni di tagli, oltre che da un mercato del lavoro asfittico che non è in grado di assorbirli.

Il problema sarà affrontato con la ricetta di sempre: sgravi contributivi. Se si assumerà un percettore di GIL o GAL si avrà un esonero dal dovuto, con importi e periodi diversificati a seconda del contratto. Guadagneranno anche le Agenzie per il lavoro (ormai privatizzate), che riceveranno 1.200 o 2.400 euro per ogni assunzione a termine e stagionale o a tempo indeterminato.

A completare la controriforma meloniana, vengono ripristinate le sanzioni per le dichiarazioni false, con pene fino a 6 anni di carcere. Ma soprattutto, è probabile che si provi a espungere nuovamente il riferimento all’offerta di lavoro congrua, rendendo chiaramente più ricattabile il beneficiario che sarà così costretto ad accettare qualunque lavoro, ovunque venga offerto.

In sostanza, se guardiamo ai numeri, le nuove misure che sostituiranno il reddito di cittadinanza hanno questo scopo: di creare un grande sistema di caporalato di stato. La spesa per il prossimo anno è in linea con quella del 2022 (7,3 miliardi invece che 7,9), e un sostanziale risparmio si avrà solo con la fine della GAL, nel 2025.

L’obiettivo è dunque quello di incastrare gli occupabili nel circuito della precarietà, sperando di non dover riaggiustare il tiro sulle prestazioni erogate alla fine del prossimo anno. Perché al di là della propaganda anche il decreto che a breve sarà licenziato registra evidentemente una condizione di povertà diffusa, a cui una risposta va data per evitare esplosioni sociali.

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