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Tentativi di intesa UE-Tunisia, ma Saied rifiuta il FMI e di fare il gendarme dei confini europei

Ieri, a Cartagine, è stata firmata l’omonima dichiarazione tra UE e Tunisia, dopo un incontro che ha visto coinvolti i capi di governo di Olanda e Italia, Ursula Von Der Leyen e il presidente tunisino Saied. Giorgia Meloni aveva lavorato molto negli ultimi dieci giorni per mettere in piedi questo vertice.

L’obiettivo scritto nero su bianco nel documento è di arrivare alla firma di un memorandum prima del prossimo Consiglio Europeo, che si svolgerà il 29 e 30 giugno. Ma in realtà il dialogo intavolato è ancora ben lontano dal vedere un’intesa, in particolare sui dossier FMI e migranti.

La dichiarazione è costruita su quattro pilastri. C’è quello legato agli scambi culturali e turistici tra l’UE e la Tunisia, compreso l’annuncio di una finestra Erasmus+ col paese nordafricano, finanziata con dieci milioni di euro, da aggiungere all’inclusione nel programma Talent Partnership per la mobilità giovanile.

C’è poi il partenariato energetico, che sarà dettagliato con un memorandum ad hoc in vista di un forum da organizzare nel prossimo autunno, per focalizzare gli investimenti europei del settore nel paese. Saranno questi che traineranno i rapporti tra le due sponde del Mediterraneo, in vista di una sempre maggiore connessione.

È stato anche discusso, infatti, l’interconnettore Elmed, che servirà a portare energia elettrica green dalla Tunisia all’Europa e per cui sono già previsti 300 milioni di investimenti. Inoltre, dal 2025 il cavo sottomarino Medusa collegherà 11 paesi del Nord Africa con l’Europa, portando la banda larga.

Rimangono però in bilico i nodi del programma FMI e della gestione dei migranti. Su quest’ultimo tema, poche ore prima dell’incontro a Cartagine Saied, che in passato aveva evocato un piano per rendere la Tunisia un paese africano invece che arabo-islamico, si era dichiarato indisponibile a fare da gendarme di frontiera per l’Europa.

Con la Von der Leyen, che ha promesso 100 milioni di euro per la lotta ai flussi illegali, al contrabbando e per la gestione dei rimpatri, ha rincarato la dose. Ha definito come disumana e inaccettabile la soluzione “che alcuni sostengono segretamente di ospitare in Tunisia migranti in cambio di somme di denaro”.

Se Giorgia Meloni si è dichiarata pronta ad organizzare una conferenza internazionale su migrazioni e sviluppo, per mostrarsi reattiva sugli sbarchi e di certo non sui diritti dei migranti, la loro importanza è stata ribadita da Mark Rutte. Parole alquanto ipocrite da chi persino l’ONU ha riconosciuto aver favorito i crimini dei lager libici.

Rimane infine irrisolto anche il dossier delle finanze tunisine e degli aiuti del FMI. La UE ha deciso di mettere a disposizione immediatamente 150 milioni di euro per far respirare le casse del paese e si è detta pronta a mobilitare altri 900 milioni, a patto che si trovi l’accordo col FMI.

Si tratta di 1,9 miliardi di dollari di assistenza macrofinanziaria, legati dal fondo di Washington al riassetto democratico del paese. Ma quel che interessa davvero è il programma di riforme economiche: riduzione delle imprese di stato, eliminazione delle sovvenzioni pubbliche e tagli alla spesa in generale.

Saied ha ribadito che non possono essere imposti diktat alla Tunisia, e che da questo tipo di prestiti la sua popolazione non raccoglierà che altra povertà (come, del resto, è sempre successo con gli interventi del FMI). L’istituto finanziario “deve rivedere le sue ricette, dopodiché si potrà arrivare a una soluzione”.

La Dichiarazione di Cartagine è stata sbandierata ai quattro venti come un grande passo in avanti nei rapporti UE con la Tunisia, e nella composizione dello scontro col FMI. Se è vero che fino a qualche mese fa questo tipo di incontro era in alto mare, si tratta di poco più di propaganda spicciola.

Le mattonelle più scivolose dei dossier trattati sono ancora lontane da trovare un’intesa, mentre la situazione sociale e politica interna della Tunisia si aggrava. E la gestione dei flussi dei migranti non troverà soluzione finché non si porrà fine alla rapacità delle multinazionali e si invertirà la rotta sulla devastazione ambientale.

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