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I prenditori italiani come avvoltoi sugli sgravi dopo la strage del Ponte Morandi

È notizia di qualche giorno fa che la Guardia di Finanza di Genova ha denunciato 28 persone, legate a 19 società, perché avrebbero speculato sugli sgravi fiscali previsti per la strage del Ponte Morandi. L’accusa è di truffa aggravata, indebita compensazione di crediti fiscali e indebita percezione di erogazioni pubbliche.

Essi avrebbero infatti aperto in maniera fittizia la sede della propria attività entro i confini della zona arancione o rossa istituita vicino al luogo della tragedia dal commissario e presidente della Regione, Giovanni Toti, e divenuta oggetto di alcune tutele speciali. Ad ora, richieste già effettuate per un totale di 2,2 milioni di euro sono state bloccate.

Delle 47 imprese che si sono trasferite alla fine del 2019 nell’area del crollo, quelle denunciate hanno lavorato solo sulla carta, godendo però del credito d’imposta. Alcune sono nate per l’occasione, altre hanno trasferito il domicilio fiscale in maniera fittizzia, altre hanno semplicemente affittato qualche metro quadrato, ottenendo sgravi fino a 200 mila euro.

Alcune di queste aziende, genovesi e non, potrebbero cavarsela per la modesta entità dei crediti richiesti e vedere la propria posizione archiviata. Altre ancora potrebbero invece essere denunciate, pure per altre possibile inchieste sui vari ristori e bonus di diverso tipo elargiti in questi cinque anni.

Sono stati assegnati 15 mila euro una tantum a chi ha dimostrato di aver chiuso per almeno quattro giorni e altre agevolazioni sono state date a chi, già all’interno della zona commissariata, dichiarava un calo del fatturato del 30%. E chissà se verranno fatti approfondimenti anche su chi doveva fare i controlli in merito, a livello istituzionale.

Ovviamente in merito bisogna attendere le indagini, se le autorità competenti valuteranno di portarle avanti. Ma tutta la vicenda, anche nel caso di chi a livello giudiziario se la caverà per l’esigua quantità delle risorse sottratte alla collettività, mostra la rapacità dell’imprenditoria italiana, capace di speculare persino su una strage causata dalla stessa logica del profitto a tutti i costi.

Perché ormai il processo per il Ponte Morandi ha reso un’evidenza incotestabile, quella che da anni la società che gestiva la concessione autostradale, Atlantia, e la famiglia Benetton, principale azionista, sapevano del pericolo crollo. Anzi, l’avevano messo per iscritto nel catalogo dei possibili rischi che l’azienda avrebbe potuto affrontare.

Le intercettazioni che stanno venendo diffuse in questo periodo mostrano che si cercò di insabbiare le responsabilità, così come venne in pratica silenziata ogni necessità di manutenzione. Per risparmiare meno di 20 mila euro, Paolo Berti, uno dei vertici di Autostrade per l’Italia di cui il principale azionista era Atlantia, è stato già condannato per un bus che precipitò nel 2013 da un viadotto, tra Benevento e Baiano.

E mentre decine di persone sono morte, l’amministratore delegato di Atlantia, Giovanni Castellucci, l’anno della tragedia di Genova ha ricevuto un premio di 3,72 milioni di euro, mentre la famiglia Benetton era contenta dei dividendi sempre più alti. La concessione prevedeva un rendimento al 7%, ma si sono raggiunte anche vette del 12%.

Una concessione che era stata elaborata a tutto vantaggio del concessionario. Questo alla fine è il senso della privatizzazione, operata ai tempi da Romano Prodi in ottemperanza ai diktat europei, che è all’origine di tutto il problema, poiché ha significato affidare all’interesse particolare di una società per azioni la gestione di un’infrastruttura di interesse pubblico.

E alla fine Atlantia e i Benetton ne hanno pure guadagnato, mentre, come lo stesso Alessandro Benetton ha detto in un’altra intercettazione, la sua famiglia era stata brava finché non aveva messo insieme così tanti soldi. Perché poi è questo il cuore della questione: la ricerca del profitto è in contraddizione con la natura, con la salute, con la vita stessa.

Questo modello sociale si fonda sulla completa irresponsabilità sociale del capitale e dei capitalisti, ovviamente in scala ben differente a seconda della dimensione d’azienda. Ma il punto rimane, ovvero che la fame di profitti produce la barbarie della strage del Ponte Morandi, come la barbarie della speculazione sugli sgravi da accaparrarsi sul luogo dove 43 persone sono state uccise.

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