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RWM in Sardegna: l’industria bellica sull’isola, fra irregolarità e “colonizzazione industriale”

Da molti anni è in atto una sorta di colonizzazione da parte di RWM Italia, importante azienda del settore bellico. La Sardegna e i suoi abitanti sono divisi: da un lato chi contesta l’operato di RWM dal punto di vista etico e sottolinea il forte impatto negativo che l’azienda ha sul territorio sotto il profilo ambientale e quello sociale; dall’altro chi ritiene che la multinazionale crei opportunità di lavoro e ricchezza. Ma è davvero così?

Sud SardegnaSardegna – Lo scorso 13 luglio il Parlamento Europeo in seduta plenaria ha approvato il regolamento sull’ASAP Act in support of ammunition production, ovvero l’atto per sostenere l’aumento della produzione di munizioni in Europa. Una norma che, oltre a finanziare con 500 milioni di euro – consentendo agli Stati di attingere anche ai fondi del PNRR – la produzione di armi e munizioni, prevede una serie di agevolazioni e deroghe alle autorizzazioni da concedere alle industrie belliche per accelerare la produzione di munizioni made in Europe.  Infatti l’acronimo inglese di ASAP significa “As Soos As Possible”, il più presto possibile.

«Questa è una norma da tempo di guerra che coinvolge sempre più l’Europa nel conflitto Russo-Ucraino», sottolinea con una nota di preoccupazione Graziano Bullegas, segretario di Italia Nostra Sardegna, che segue da vicino le vicende di RWM Italia, controllata dalla multinazionale tedesca Rheinmetall che produce armi ed esplosivi nella provincia del Sud Sardegna. «Questa fabbrica – aggiunge Bullegas – potrebbe quindi trarre grandi vantaggi da questa norma per incrementare la produzione di munizioni da inviare in Ucraina, per ripristinare gli arsenali di tutta Europa e riprendere le esportazioni di munizioni verso i paesi del Golfo che erano state bloccate dal governo Conte nel 2019, blocco revocato lo scorso maggio dal governo Meloni».

Si tratta di nuove facilitazioni per i produttori di armi?

In Sardegna non si è dovuta attendere quella norma per facilitare l’insediamento di industrie che producono ordigni bellici. È bastata una politica industriale devastante sotto l’aspetto ambientale, sanitario, sociale e ovviamente economico, per trasformare il florido territorio del Sulcis-Iglesiente in una delle province più povere d’Europa e per creare il terreno fertile per accogliere qualsiasi attività, anche le più nocive e quelle più improponibili dal punto di vista etico.

In questo clima nasce e prospera lo stabilimento acquisito dalla RWM Italia spa, controllata dalla multinazionale tedesca Rheinmetall, per la produzione di ordigni bellici: bombe per aerei da combattimento e proiettili per cannoni semoventi e per carri armati. L’azienda si inserisce nel tessuto economico, sociale e politico del piccolo centro di Domusnovas – regalie, doni, ristori economici, posti di lavoro e per qualche anno anche il finanziamento della festa patronale di Santa Maria Assunta.

Gli utili dell’azienda vanno alle stelle grazie alla vendita di armi di categoria MK80 – cioè bombe d’aereo e missili – all’Arabia Saudita, che poi le utilizzerà nella guerra in Yemen. Nel 2015 schegge di bombe MK80 sono state ritrovate nelle rovine di alcune città Yemenite bombardate e il loro numero di serie – A4447 – corrisponde allo stabilimento Domusnovas.

Durante il governo Renzi la società è stata autorizzata dall’AUMA a vendere diverse decine di migliaia di bombe per aereo, per un valore totale di oltre 400 milioni di euro. È stata definita dagli esperti la più grossa autorizzazione per l’esportazione di bombe mai rilasciata negli ultimi trent’anni. Per far fronte alle nuove commesse la RWM decide di espandersi e realizza un nuovo stabilimento adiacente a quello esistente.

Considerata l’urgenza di produrre armi, l’espansione dello stabilimento ha seguito un iter autorizzativo semplificato e di dubbia legittimità. Anziché presentare un progetto industriale di espansione, ha deciso di aggirare l’ostacolo, grazie anche alla compiacenza dei vari livelli della pubblica amministrazione e ha presentato una miriade di richieste di autorizzazione edilizia indipendenti, sperando cosí di bypassare procedura di valutazione di impatto ambientale, nulla osta paesaggistici dell’intero intervento urbanistico industriale e autorizzazioni ambientali.

Con una serie di artifizi l’azienda è comunque riuscita a ottenere tutte le autorizzazioni senza dover   assoggettare l’impianto a procedura di VIA e di VINCA – nonostante sia ubicato a poche centinaia di metri da un Sito di Importanza Comunitaria (SIC) – e senza presentare alcun piano di intervento industriale e utilizzo delle terre di risulta movimentate.

Ci sono state reazioni di dissenso da parte della comunità locale?

L’arrivo dell’industria bellica ha comportato anche una serie di conseguenze negative. Dal punto di vista sociale, ha alimentato tensioni e divisioni nell’area vasta dell’Iglesiente. Molti cittadini hanno espresso perplessità sulla presenza di un’azienda che produce armi, in quanto il loro utilizzo alimenta conflitti e guerre in tutto il mondo.

Anche sotto l’aspetto economico, pur avendo portato alcuni benefici economici alla comunità di Domusnovas, come posti di lavoro e investimenti, ha inibito la nascita di attività più sostenibili nell’area e la stessa occupazione spesso sbandierata a sproposito è composta per buona parte da lavoratori somministrati, in quanto l’industria militare è spesso soggetta a fluttuazioni del mercato ed è influenzata da politiche esterne e cambiamenti nel settore della difesa. Ciò ha portato al licenziamento di numerose maestranze lasciando la comunità ancora più impoverita di prima.

Già dopo il 2015, a seguito della scoperta della scheggia di bomba che aveva distrutto una famiglia in Yemen, diversi cittadini hanno deciso di impegnarsi in prima persona riunendosi nel Comitato Riconversione RWM. Attorno e a sostegno del Comitato ritroviamo ambientalisti, antimilitaristi, parte della chiesa, sindacati di base ed etnici, associazioni culturali e del terzo settore.

Si sono create così le prime contraddizioni e le prime fratture dentro una comunità che appariva coesa nella ricerca di opportunità di sopravvivenza e che ragionava più con la pancia che col cervello. Da una parte la comunità di Domusnovas compatta a difesa della RWM, sostenuta da molti politici locali e regionali, dall’altra numerosi cittadini-militanti. I favorevoli sostengono che il lavoro viene prima di tutto e che se queste armi non si costruiscono in quello stabilimento le costruiranno comunque da altre parti; i contrari sollevano questioni etiche e morali e parlano di riconversione e di rispetto della legalità.

Quali sono state le azioni di contrasto all’attività della fabbrica? 

Oltre agli incontri, i sit-in, le manifestazioni di fronte allo stabilimento, l’attività di sensibilizzazione, la creazione di una rete di aziende che aderiscono alla rete WarFree – Lìberu dae sa Gherra, si è condotta una intensa azione giudiziaria coinvolgendo la magistratura penale e quella amministrativa. Nello stesso tempo si è attivato un pressing verso il governo perché l’Italia rispetti l’art. 11 della costituzione e i trattati internazionali contro la proliferazione delle armi.

Contrasto e proposta quindi. Quali sono gli obbiettivi di WarFree? 

La rete Warfree nasce con l’intento di promuovere una nuova economia – civile, sostenibile e libera dalla guerra – in Italia e nel mondo, a partire dalla Sardegna, e per mettere a valore le numerose opportunità che offre il suo territorio e presentarlo come un luogo da cui nasce una proposta di pace.

Nello stesso tempo si propone di offrire alla comunità e ai decisori politici un segno di economia positiva per testimoniare le strade alternative all’industria delle armi e alla colonizzazione dei territori. Dimostrare che è possibile vivere praticando un lavoro degno, offrendo occasioni di crescita e strumenti di promozione alle imprese e ai professionisti che aderiscono alla rete.

Le iniziative sul fronte giudiziario? 

Alcune delle autorizzazioni ottenute per l’ampliamento dello stabilimento sono state impugnate davanti al TAR da numerose associazioni, comitati e sindacati di base. Dopo una lunga istruttoria e dopo aver sentito il parere di un consulente tecnico, il TAR Sardegna ha respinto il ricorso accogliendo le ragioni dell’azienda, della regione sarda e del Comune di Iglesias.

Giudizio appellato da Italia Nostra, USB e Assotziu Consumadoris de Sardinia davanti al Consiglio di Stato, che ha ribaltato a novembre 2021 la sentenza del TAR e accolto le motivazioni del ricorso annullando le autorizzazioni edilizie rilasciate dal Comune. Abbiamo anche presentato un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica di cui non conosciamo l’esito, anche perché il Comune di Iglesias lo ha tenuto nascosto in un cassetto per anni, anziché presentarlo al competente ministero.

Grazie alla documentazione raccolta nel corso del giudizio amministrativo, abbiamo notato numerose incongruenze, informazioni non veritiere, autorizzazioni rilasciate dopo l’avvio dei lavori, edifici costruiti in aree a rischio esondazione e altri elementi che abbiamo allegato a numerosi esposti trasmessi alla procura di Cagliari. Quelli esposti hanno consentito alla procura di avviare delle indagini che hanno portato a processo alcuni dirigenti e tecnici della RWM Italia e alcuni funzionari dei Comuni di Domusnovas e di Iglesias. Il processo è tutt’ora in corso.

Quali sono stati gli effetti della sentenza a voi favorevole? 

La sentenza del CdS è importante perché riconosce la produzione di esplosivi all’interno di RWM e ritiene che l’intero stabilimento, anche quello attualmente in produzione, debba essere assoggettato a Valutazione di Impatto Ambientale. Il primo effetto della sentenza è stato quello di fermare l’attività nella parte dell’ampliamento che era già in esercizio – il campo prove dove vengono testati gli esplosivi prodotti – e non avviare la produzione nel resto dello stabilimento ampliato, nonostante i lavori fossero dichiarati ultimati il giorno successivo al deposito della sentenza.

Come ha reagito l’azienda al ribaltamento del giudizio?

L’azienda ha presentato una richiesta di revocazione della sentenza in quanto il giudice avrebbe commesso un errore nella sua compilazione, richiesta non accolta dal CdS. Ha quindi presentato una richiesta di VIA ex-post, una procedura prevista dalla legge, ma che nel caso in esame appare una richiesta di sanatoria dei reparti realizzati abusivamente.

Sarebbe quindi possibile sanare le opere realizzate abusivamente?

Noi siamo del parere che gli impianti sono da considerarsi abusivi perché privi di una autorizzazione legittima e dovrebbero essere demoliti. Questa è anche richiesta avanzata dai legali delle associazioni al Comune di Iglesias. Considerata la procedura di VIA ex-post in corso, abbiamo ripetutamente chiesto alla Regione di rigettare la richiesta perché non conforme a quanto stabilito dalla sentenza del CdS e nel contempo stiamo partecipando alla procedura di VIA in corso per spiegare al servizio valutazione impatti, attraverso le nostre osservazioni, le motivazioni per cui quella richiesta non può essere accolta.

Come sono giustificati dall’azienda gli abusi edilizi?

RWM continua a ripetere fino alla nausea che l’ampliamento dello stabilimento è stato regolarmente autorizzato e che pertanto quelli che oggi sono alla sbarra non dovrebbero essere processati perché è tutto in regola. Tutto questo fa parte di una narrazione non veritiera e smentita dalle sentenze dei tribunali amministrativi, ma che risulta utile all’azienda per apparire una vittima della burocrazia e per accreditarsi nel territorio come la dispensatrice di benessere e occupazione e allo stesso tempo sperare di trarre profitto dalle nuove normative europee in materia di produzione di munizioni.

Esiste un futuro per RWM Italia in Sardegna?

Fino a oggi RWM ha operato in Sardegna con l’approccio tipico degli insediamenti industriali avviati nei paesi poveri da parte delle grosse multinazionali occidentali: agevolazioni burocratiche e iter autorizzativi privilegiati, una eccessiva permissività verso l’azienda che avrebbe portato il benessere, una palese ostilità verso chi chiede di sapere e una evidente insofferenza verso le norme sulla trasparenza e la partecipazione dei cittadini.

Infatti l’applicazione delle norme italiane e sarde e delle direttive europee non è stata del tutto conforme; basti pensare al mancato rispetto del Piano Paesaggistico Regionale, del codice dell’Ambiente  e delle numerose norme urbanistiche che regolamentano gli insediamenti industriali. Nel merito del mancato rispetto delle direttive europee è entrato il Consiglio di Stato, ricordando in particolare la Direttiva del 1985 concernente la valutazione dell’impatto ambientale e l’articolo 191 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (UE) sul Principio di Precauzione.

L’emancipazione della Sardegna da un rapporto coloniale con le aziende inquinanti è sicuramente la strada migliore per garantire un futuro sostenibile. Questo implica liberarsi non solo dalle fabbriche di armi, ma anche da tutte le produzioni dannose per l’ambiente e la salute. Dobbiamo tornare a valorizzare le attività primarie che hanno sostenuto la vita sull’isola fino alla metà del secolo scorso, prima dell’espansione dell’industria. Queste attività, se adeguatamente supportate, possono garantire un futuro sostenibile per la Sardegna.

Dobbiamo aderire al messaggio di papa Francesco contro il “commercio assassino” e promuovere un’economia nuova che rispetti il lavoro dignitoso e il creato. Le associazioni ambientaliste devono promuovere attivamente tutte le attività ecologicamente sostenibili, contrastando allo stesso tempo quelle che danneggiano l’ambiente e la salute. In questo modo, la Sardegna può diventare un esempio di sviluppo sostenibile, basato sulla valorizzazione delle risorse naturali e sull’economia verde. Questo non solo proteggerà l’isola e la sua popolazione, ma contribuirà anche alla lotta globale contro il cambiamento climatico e la distruzione dell’ambiente.

(articolo pubblicato anche su Italiachecambia)

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