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L’ardita retromarcia di De Angelis e le faide tra fascisti

Il sedicente “Giordano Bruno del terzo millennio” ci ha messo un attimo a scoprire che il fuoco scotta, che le “assolute certezze” si possono stemperare in un ossequioso “diritto al dubbio” e che, in definitiva, non conviene giocarsi un sontuoso stipendio per un banale sentimento di vicinanza giovanile e/o familiare.

E quindi una letterina di scuse si può sempre scrivere, ma senza presentare dimissioni. Rocca e Meloni gli chiedevano questo, nient’altro, per “confermargli la fiducia”. E quindi ha conservato il posto senza problemi.

A voler essere superficiali e strafottenti si potrebbe liquidare così l’”ardita retromarcia” di Marcello De Angelis a proposito delle sentenze sulla strage alla stazione di Bologna che inchiodano Mambro, Fioravanti e Ciavardini (suo cognato, en passant).

Ma stiamo parlando di un milieu fascista che è asceso al governo, non di ragazzi scapestrati che aprono bocca e sparano sentenze per poi essere costretti a rimangiarsele.

La sortita di De Angelis aveva due bersagli grossi: il presidente della Repubblica e il presidente del Senato, seconda carica dello Stato. Insomma quell’Ignazio La Russa che pure – da avvocato – aveva difeso i missini Loi e Murelli, assassini di un poliziotto a colpi di bombe a mano Srcm ai margini di un comizio dello stesso La Russa in qualità di giovane leader del Movimento Sociale milanese.

Entrambi i presidenti si erano posizionati – per puro dovere istituzionale, se non altro – nel difendere le sentenze della magistratura come “verità” da difendere. “Strage neofascista”, per tenere sotto il tappeto la verità completa

Fosse rimasto solo un vecchio esponente di Terza Posizione, politicamente ai margini, le parole di De Angelis sarebbero state ignorate o al massimo stigmatizzate come “reducismo paleo-fascista”.

Ma ricoprendo la carica di “portavoce istituzionale” del presidente della Regione Lazio – altro personaggio con una carriera significativa, peraltro – quelle bordate non potevano non segnalare uno scontro interno al partito di maggioranza relativa che esprime il presidente del consiglio.

Oltre che, ovviamente, con tutto l’universo antifascista – vero o “di comodo” che fosse – che per decenni li aveva relegati nello sgabuzzino (a parte lo sdoganamento berlusconiano, ma pur sempre in posizione servile).

Abbiamo dunque più piani di conflitto politico che si intersecano in una vicenda che ha assunto come occasione di scontro il piano, per così dire, “storiografico”, ma che vanno dipanati per comprendere cosa bolle in quel calderone (e quindi ai vertici della squallida “politica italiana”).

C’è – con evidenza solare – il desiderio urgente di riscrivere la Storia togliendosi di dosso, per quanto impossibile possa essere, l’immagine di “complici degli stragisti”. Gli attuali vertici euro-atlantici (gli stessi che hanno promosso i nazisti del battaglione Azov a “studiosi di Kant”), sono certamente di bocca buona, quel puzzo di cordite e sangue è troppo forte per essere accettati senza riserve nei salotti migliori.

Sull’urgenza di questa riscrittura, “neo-conservatori” (Meloni, La Russa, ecc) e “nostalgici” sarebbero tranquillamente d’accordo, se l’esercizio della funzione di governo – con tutte contraddizioni e le torsioni diplomatiche che implica – non sollevasse dubbi e contraddizioni su tempi, modi, formule retoriche da usare.

Il grosso della partita, anche qui, si gioca sul piano delle politiche economiche, non sulla “Storia antica”, quando i fascisti erano tollerati solo come manovalanza per il lavoro sporco filo-padronale o per la Nato.

Questo governo, diciamo spesso, è in perfetta continuità con quelli precedenti. Ha sposato il neoliberismo euro-atlantico, l’austerità europea, i vincoli di bilancio e i conseguenti tagli feroci alla spesa sociale. Cancella il reddito di cittadinanza scaricando sui Comuni il problema degli indigenti, è contrario al salario minimo per garantire ai micro-imprenditori di spremere dipendenti precari o in nero per poche centinaia di euro al mese, sgombera le famiglie dalle case occupate, fa attaccare dalla polizia i presidi sindacali, ecc.

E’ in questo contesto che si rifà viva l’ala “destra sociale”, che ha per il momento in Alemanno (Alemanno!) l’esponente di punta. Non per mettere in atto una “scissione” simile a quelle avvenute a ripetizione dopo la fine del Pci, ma per giocare il più antico ruolo di “partito di lotta e di governo”, strumentalizzando – e neutralizzando – anche i temi dell’opposizione.

Vedremo gli sviluppi presto, immaginiamo, ma una cosa chiara viene dimostrata dalla “ardita retromarcia” di Marcello De Angelis: ad una verità diversa sulla strage di Bologna e tutte le altre… non ci credono neanche loro.

Tana.

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1 Commento


  • Pasquale

    A fronte del ‘tengo famiglia’ tutto è possibile.

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