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TIM/KKR. Privatizzazioni e deficit di strategia industriale

Una notizia non di ordinaria amministrazione. “Nel Consiglio dei ministri di lunedì 28 agosto il governo ha approvato due decreti con cui autorizza l’acquisto di una parte della rete infrastrutturale di Tim, la principale società di telefonia italiana, insieme al fondo statunitense KKR, che ormai da settimane ne sta trattando l’acquisto con Tim.

L’accordo fra governo e KKR per un’offerta comune era stato trovato due settimane fa, ma prima di essere ufficializzato doveva passare dal Consiglio dei ministri.

Il governo acquisterà il 20 per cento della rete di Tim con un investimento che il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha quantificato in un massimo di 2,2 miliardi di euro. Con uno dei decreti approvati oggi, il governo ha formalizzato l’accordo con KKR. Con l’altro ha stanziato i fondi necessari per l’offerta.”

Siamo di fronte all’ennesimo passaggio che segnala l’assenza dell’Italia da una qualche idea di piano di strategia industriale.

L’operazione TIM/KKR è un “unicum” in Europa: separazione della rete fisica dai servizi e privatizzazione.

Inutile enfatizzare il ruolo dello Stato, come ha cercato di fare il governo: il fondo americano KKR diventerà proprietario al 65% di un asset strategico del nostro Paese e non ci sono stati forniti elementi per capire quali garanzie siano realmente previste per le scelte strategiche, l’occupazione, gli investimenti e la tutela dei dati.

Ne avevamo già accennato a febbraio di quest’anno quando era apparsa la notizia dell’avvio della trattativa in questione: senza alcuna concessione “sovranista”, così si dimostra tutta la fragilità del contorto processo di privatizzazioni avvenuto in Italia nel settore decisivo delle infrastrutture tecnologiche (intendiamoci bene: dal tempo dei dalemiani “capitani coraggiosi”, discendendo per le rami dal prodiano scioglimento dell’IRI).

Da allora si è creata una situazione di evidente scalabilità e debolezza, a dimostrazione di una ormai storica incapacità di programmazione dell’intervento pubblico in economia e di assenza di politica industriale (che coinvolge anche l’Europa).

L’opposizione e il sindacato non possono rimanere ingabbiati in questa dimensione strategicamente inesistente , tutta rivolta all’autoconservazione del politico, schiacciata dall’emergenza dell’immediato.

Serve un colpo d’ala nella progettualità e nell’intervento del pubblico sui nodi strategici, serve affermare la forza del movimento dei lavoratori da proiettare in avanti, non basta evocare un indefinito “green” e un imperscrutabile “digitale” in un Paese al centro della contesa europea e che accusa da tempo limiti enormi dal punto di vista della strategia industriale. Limiti del resto non affrontati neppure nella “possibile”(?) occasione fornita dal PNRR.

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