Un articolo della testata Middle East Eye, che si pubblica in Gran Bretagna, rivela la pratica di lunga data da parte di Israele di utilizzare combattenti stranieri; una pratica ancora oggi attiva nell’esercito israeliano, compresa una significativa componente americana.
Secondo l’esercito israeliano, sono più di 23.000 i cittadini statunitensi che prestano attualmente servizio nei ranghi di Tel Aviv. La prova si ha anche dalle perdite: circa il 10 per cento dei caduti dell’esercito israeliano nell’invasione di Gaza erano americani, ovvero cittadini con doppio passaporto israelo-statunitense.
Esaminando le foto pubblicate sui profili social di alcuni di questi “militari stranieri” arruolatisi o richiamati in servizio nell’esercito israeliano, Middle East Eye ricorda come lo scorso dicembre un deputato francese abbia rivelato che più di 4.000 cittadini francesi sono stati incorporati nell’esercito israeliano durante la guerra a Gaza.
Secondo quanto riferito da Middle East Eye, ci sono anche circa1.000 australiani, 1.000 italiani e 400 indiani. Anche la Gran Bretagna, la Germania, il Canada, la Russia, l’Ucraina, la Finlandia e il Sud Africa, tra gli altri, costituiscono una fonte di combattenti stranieri per Israele.
Come spiega il sito ufficiale delle Forze di Difesa Israeliane (Idf), gli uomini sono tenuti a restare nell’esercito per un periodo minimo di trentadue mesi, mentre per le donne i mesi previsti sono ventiquattro. L’obbligo riguarda anche chi vive all’estero o ha il doppio passaporto.
Il ministro degli esteri italiano Antonio Tajani, per esempio, ha confermato che sono circa mille i cittadini israeliani con passaporto italiano che svolgono il servizio di leva previsto da Tel Aviv.
Recentemente, da quando è iniziata l’operazione militare israeliana a Gaza, tra gli addetti ai lavori ha fatto scalpore un servizio di Al Jazeera che si chiedeva: ”Perché ci sono italiani che combattono nelle fila dell’esercito israeliano?”.
Nel video, tradotto dall’Adnkronos, si citano anche alcuni servizi televisivi andati in onda sulle reti italiane nei giorni scorsi. In particolare si riporta un servizio del Tg5 sulla ”presenza degli italiani nell’Idf” e, con scritte in sovrimpressione in arabo, si citano ”media italiani secondo i quali sono migliaia gli italiani con doppia cittadinanza che si sono recati in Israele per unirsi al suo esercito, che sta conducendo una guerra a Gaza”.
Sempre citando ”il servizio del Tg5”, l’emittente scrive in arabo di ”tre paracadutisti italiani convocati dall’esercito israeliano per prestare il servizio di riserva, oltre ad altri militari che non hanno la cittadinanza israeliana”.
In una intervista a La Stampa, alcune di queste italiane soldatesse riserviste delle forze armate israeliane hanno spiegato perché sono andate a combattere a Gaza.
Il problema si è posto anche in Francia. A marzo scorso, a seguito della denuncia di un parlamentare de La France Insoumise, il portavoce del ministero degli Esteri francese, ha ricordato in una conferenza stampa che la giustizia francese è competente a perseguire eventualmente i soldati franco-israeliani, se dovessero essere accusati di crimini di guerra da vari autorità, gruppi o associazioni.
“Vorrei fornire dei chiarimenti sulla questione dei soldati franco-israeliani impegnati nell’esercito israeliano“, ha dichiarato Christophe Lemoine. “A questo proposito, vorrei in particolare ricordare che la giustizia francese ha giurisdizione sui crimini commessi da cittadini francesi all’estero, anche nel contesto dell’attuale conflitto. Nel rispetto dei principi costituzionali della separazione dei poteri, la giustizia esercita tale competenza in modo autonomo”.
Secondo Middle East Eye l‘esercito israeliano recluta inoltre volontari stranieri anche per aiutare con compiti logistici, come l’imballaggio di forniture mediche e la preparazione di pasti di combattimento, con organizzazioni come Sar-El che portano migliaia di volontari da dozzine di paesi in tutto il mondo.
L’età minima per fare volontariato è di 16 anni. Tali programmi sottopongono i volontari ad indottrinamento ideologico, con l’obiettivo di rafforzare il legame tra loro, Israele e il suo esercito.
Un altro programma per arruolare volontari stranieri, Mahal, è stato inizialmente fondato decenni fa, quando volontari da tutto il mondo sono venuti ad aiutare l’Haganah, e in seguito l’esercito israeliano.
Inoltre, il programma Lone Soldiers fornisce supporto ai combattenti “altamente motivati” che non hanno famiglia in Israele. I cosiddetti “soldati solitari”, che sono più di 7.000, guadagnano il doppio del normale stipendio mensile. Secondo le stime dell’esercito israeliano, il 35% di loro proviene dagli Stati Uniti. Nel 2020, il 9% dei “soldati solitari” dell’esercito israeliano proveniva dal Canada.
La categoria più controversa di reclute straniere, tuttavia, sono i mercenari assunti tramite appaltatori, in pratica i contractors presenti ormai su molti fronti di guerra, Ci sono state segnalazioni di mercenari che combattono a Gaza, inclusi video e immagini che suggeriscono che mercenari statunitensi hanno operato a fianco dell’esercito israeliano.
Proprio come i soldati israeliani, tutte queste categorie di combattenti stranieri godono di piena impunità, il che forse spiega perché alcuni si sono comportati in modo così crudele e sconsiderato, vantandosi dei loro crimini online e pubblicando prove della loro violazione di varie regole di guerra.
In altri casi precedenti, i cittadini dei paesi occidentali che hanno viaggiato in Siria per combattere contro il regime del presidente siriano Bashar al-Assad, ad esempio, sono stati indagati, penalizzati, criminalizzati e incarcerati, anche se le loro attività erano limitate alla raccolta di fondi piuttosto che a vere e proprie operazioni di combattimento contro le forze di Assad.
Al di là dell’ovvio doppio standard applicato anche in questo caso, l’impunità concessa ai combattenti stranieri che si arruolano nell’esercito israeliano comporterà gravi conseguenze per i civili palestinesi se questi combattenti rimarranno in Israele; ma ancor di più per la sicurezza interna nei loro paesi se torneranno nel loro paese d’origine.
La situazione rischia di motivare quei combattenti stranieri a essere ulteriormente coinvolti in attività non etiche, illegali e criminali. Ciò potrebbe includere la partecipazione a operazioni di combattimento che si traducono nell’uccisione di più civili, l’essere di stanza nei territori occupati, vivere negli insediamenti o partecipare alla guerra genocida in corso contro il popolo palestinese.
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Enzo Barone
Sorge spontanea una domanda, retorica ben consapevoli della risposta: perché non permettere a coloro i quali possiedono la necessaria dote di coraggio, di poter partire per lottare a fianco di chi, legittimamente, rivendica il diritto a.vivere sulla sua terra? I palestinesi necessitano di sostegno ad ogni livello e questo, in virtù del pur vigente declassato diritto umanitario internazionale, è ammesso.