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L’industria militare europea vuole mano libera. Lo chiede Draghi

Domani, mercoledi 4 settembre, Mario Draghi a Bruxelles discuterà a porte chiuse con la Von der Leyen ed altri dirigenti europei il suo rapporto stilato a giugno sul complesso militare-industriale europeo e la sua urgenza nell’avere semaforo verde nell’accesso ai finanziamenti e alle concentrazioni industriali.

Il rapporto di Draghi segna indubbiamente un inquietante salto di qualità nella prevalenza in Europa dell’economia di guerra e del keynesismo militare in questa fase storica.

Di fronte alla recessione industriale, i grandi gruppi del complesso militare-industriale europeo sentono che, come negli anni ‘30, è arrivata di nuovo la loro grande occasione per chiedere e avere tutto quello che vogliono dai governi europei.

A rivelare il vertice di domani “riservato” tra Draghi e Von der Leyen, è stato il giornale statunitense Politico.

Nel rapporto di Draghi, scrive Politico, le aziende della difesa del continente dovrebbero avere pieno accesso al denaro dell’UE, mentre le fusioni non dovrebbero essere bloccate indipendentemente dai problemi di concorrenza, secondo una bozza di capitolo di un rapporto sulla competitività preparato dall’ex primo ministro italiano Mario Draghi.

“La base industriale della difesa dell’UE sta affrontando sfide strutturali in termini di capacità, know-how e vantaggio tecnologico. Di conseguenza, l’UE non sta tenendo il passo con i suoi concorrenti globali”, ha avvertito Draghi nella bozza.

“Con il ritorno della guerra nelle immediate vicinanze dell’UE, l’emergere di nuovi tipi di minacce ibride e un possibile spostamento dell’attenzione geografica e delle esigenze di difesa degli Stati Uniti, l’UE dovrà assumersi una crescente responsabilità per la propria difesa e sicurezza”, si legge nella bozza del documento.

La bozza faceva riferimento a diverse sfide affrontate dal settore della difesa dell’UE, tra cui la spesa pubblica militare insufficiente: l’UE nel suo complesso spende circa un terzo di ciò che gli Stati Uniti spendono per la difesa, ha affermato Draghi nella sua relazione.

Le aziende europee di armi operano anche in piccoli mercati interni, mentre i paesi dell’UE non si coordinano sugli approvvigionamenti e dipendono per l’80% da fornitori internazionali in gran parte dagli Stati Uniti.

Le raccomandazioni includono l’introduzione di un “principio di preferenza europea” per incentivare le soluzioni di difesa europee rispetto ai concorrenti; definire un modello di governance tra la Commissione, il Servizio europeo per l’azione esterna e l’Agenzia europea per la difesa; e infine la creazione di una “Autorità per l’industria della difesa” centralizzata per gli appalti a livello centrale per conto dei paesi dell’UE.

“L’autorità sarebbe gestita dalla Commissione europea e co-presieduta dall’Alto Commissariato Generale/Capo dell’Agenzia Europea per la Difesa e dalla Commissione”, si legge nel documento. “Sarebbe consigliato da gruppi settoriali specifici composti da rappresentanti dell’industria e degli Stati membri dell’UE”.

Del resto non è una novità che la nuova Commissione europea stia puntando a forzare le normative esistenti per muoversi più decisamente sul piano della politica militare e industriale dell’Unione. “Muovendosi all’interno di ciò che i Trattati consentono, l’istituzione di un Commissario per lo spazio e l’industria della difesa potrebbe garantire il corretto rafforzamento delle politiche industriali, normative e finanziarie a livello comunitario” scrive la newsletter Affari Internazionali.

Una sezione della relazione di Draghi che si occupa dell’industria della difesa, chiede poi a Bruxelles di rimuovere le barriere per le aziende della difesa per accedere ai finanziamenti dell’UE. Ha proposto di modificare le politiche di prestito della Banca Europea per gli Investimenti sull’esclusione degli investimenti nella difesa e di modificare i quadri di finanza sostenibile e ambientali, sociali e di governance dell’UE a beneficio del settore.

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