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Eurostat e Istat mostrano un’Italia che si agita ancora nella crisi

Le tabelle Eurostat sul ‘Quadro di valutazione sociale” sono al solito impietose con la classe dirigente italiana, che è sempre capace di fare peggio dei suoi omologhi europei (pur sempre dentro la cornice dell’austerità, che non ha risparmiato nessun paese). Del resto, abbiamo il padronato che più di tutti si è affidato ai sussidi pubblici e allo sfruttamento intensivo, piuttosto che agli investimenti.

Un padronato che ha preferito le rendite immobiliari e, in particolare, quelle finanziarie, come conferma il Boston Consulting Group. Nel suo ultimo Global Wealth Report viene infatti registrato che la ricchezza finanziaria del Belpaese, nel 2023, è pari all’11,4% del totale di quella dell’Europa occidentale ed è cresciuta al ritmo del 4,4% annuo dal 2018.

Ad ogni modo, l’Eurostat ha registrato che nel 2023, mentre la media del reddito reale del Vecchio Continente sale da 110,12 a 110,82 (100 è il valore del 2008), quella italiana cala da 94,15 a 93,74. Dunque, non solo il reddito reale nel nostro paese è in diminuzione, ma è nettamente inferiore a quello precedente alla crisi finanziaria di quindici anni fa.

Gli oltre 17 punti di distanza dalla media europea originano innanzitutto dal rialzo dei prezzi, con l’inflazione complessiva del 2022 e del 2023 che ha raggiunto il 13,8%. Dallo stesso Codacons hanno dichiarato che questa dinamica si è riversata “sui cittadini colpendo redditi e potere d’acquisto, e di cui ancora oggi le famiglie pagano le conseguenze“.

L’Eurostat segnala alcuni miglioramenti per ciò che riguarda il tasso di occupazione, arrivato al 66,3%. Ma l’Italia rimane il fanalino di coda della UE, con una percentuale quasi dieci punti inferiore a quella della media europea (75,3%): difficile sapere quanti, all’interno di questo margine, facciano lavori in nero, certamente sottopagati, solo per sopravvivere.

Vi sono anche altri segnali positivi, ma tutti i dati italiani rimangono sotto la media europea, e ben lontani da quelli dei principali paesi UE. Questo vale per l’abbandono scolastico, per i Neet e per l’occupazione, su cui però bisogna approfondire il discorso con i numeri dell’Istat, per smontare la propaganda fatta al riguardo dal governo Meloni.

Lasciamo da parte l’affermazione sul “numero di occupati più alto dai tempi di Garibaldi“, soprattutto per l’idiozia prima che per la difficoltà di verificarne la veridicità. L’Istat informa che, seppur dettaglierà la questione nel prossimo rapporto sul mercato del lavoro del 12 settembre, nel secondo trimestre di quest’anno le ore lavorate sono diminuite dello 0,2% rispetto a quello precedente.

Anche le unità di lavoro, cioè i posti a tempo pieno corrispondenti al totale delle ore lavorate, sono diminuite in tutti i settori, tranne che nei servizi (+0,2%). L’aumento della cassa integrazione (+20,12% nei primi sette mesi del 2024) e l’andamento negativo della produzione industriale spingono a guardare con cautela un miglioramento che sembra piuttosto congiunturale, ossia di breve durata.

L’incremento dell’occupazione a luglio proviene interamente dagli autonomi, ora 5,2 milioni (+249mila in un anno), mentre i dipendenti sono calati. Un aumento che può essere fatto risalire certo alla di un regime fiscale conveniente come la flat tax (che poi si ripercuoterà in negativo su tutta la collettività).

Ma, soprattutto, è la tendenza sempre maggiore all’esternalizzazione dei rapporti a influenzare questo incremento. Finte partite Iva e, in maniera complementare, un sistema di appalti che uccide, è quello di cui si sta fregiando il governo, mentre il numero degli inattivi ha già ricominciato a risalire, quasi interamente tra le donne.

Infine, l’aumento dell’occupazione riguarda per lo più gli over 50 (304 sui 490 mila nuovi posti creati tra luglio 2023 e luglio 2024). Anche depurando la variazione tendenziale dai cambiamenti demografici, la performance dei più maturi rimane più alta rispetto alla classe di età tra i 15 e i 34 anni.

Per dirla parafrasando il titolo di un film, “non è un paese per giovani“. Ma non è nemmeno un paese per lavoratori, per pensionati, per donne, per i settori popolari, che devono allora organizzarsi per percorrere una via alternativa.

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