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La kristallnacht del giornalismo italiano

Sono giornalista dal 1993, anno in cui presi il tesserino di pubblicista.

Ho sempre fatto una battaglia serrata con capiredattori e direttori affinché quello che scrivevo venisse rispettato quanto più possibile.

Orgogliosamente, non ho mai abbassato la testa difronte a chi pretendesse di imbeccarmi e di condizionare ideologicamente quanto dovessi scrivere. Che si trattasse di un film, di uno spettacolo teatrale, di cultura o di politica.

Al punto da aver tirato sulla faccia dell’ex ministro Sangiuliano, all’epoca (trent’anni or sono) vicedirettore del Roma, il giornale su cui avevo pubblicato un articolo da lui stravolto di sana pianta in chiave anticomunista e senza chiedermi nulla.

Gli dissi anche, per inciso, che era un “fascista di merda” e me ne andai sbattendo la porta.

Erano i primi mesi della riapertura del Roma (1995) e non sapevo che dietro ci fossero l’allora Alleanza Nazionale e Italo Bocchino.

La mia permanenza al giornale durò in tutto quattro mesi. Precedentemente ero andato via da Napoli TV, emittente televisiva campana, per motivazioni simili.

La direzione voleva appoggiare Alessandra Mussolini nelle elezioni a sindaco del 1993 e chiese a noi giornalisti di sostenere questa scelta. Opposi ovviamente il mio rifiuto. Comunque ero già stato demansionato a farettista nei mesi precedenti (sigh).

Dopo l’esperienza fatta al Roma non ho mai più scritto per un giornale di destra o di centrodestra. Ma la mia battaglia ho continuato a farla anche, se non addirittura con più forza, nei giornali di sinistra.

Sarà anche per questo che non ho fatto carriera e anzi oggi sono praticamente disoccupato. Le idee innanzitutto. E la propria dignità.

Attualmente scrivo per Contropiano, per militanza ovviamente; il cui direttore, quando pensa di dover cambiare qualcosa in un mio pezzo mi manda il testo corretto per chiedere la mia autorizzazione ai fini della pubblicazione. Un comportamento esemplare.

Il lavoro del giornalista dunque sarebbe quello di informare, certo dare anche una propria lettura dei fatti, ma non alterare o addirittura sovvertire la verità.

Da alcuni anni a questa parte invece, sempre più quella Verità è ormai diventata una chimera. Con la guerra poi il giornalismo si è addirittura trasformato in scandalosa propaganda.

Le grandi firme dei fogli mainstream e gli anchormen televisivi hanno barattato la loro dignità con un lauto stipendio, mentre i semplici redattori hanno tristemente chinato la testa per conservare il posto e poter mangiare.

Le redazioni italiane (altrove non so) sono diventate – fatte salve pochissime eccezioni – il fronte del servilismo atlantista e filo-sionista. Il giornalismo – cartaceo, televisivo, digitale – si è trasformato in megafono degli interessi padronali e del “pensiero unico”.

Redattori e collaboratori con indosso la livrea da cameriere, con un pc tra le mani o con un microfono in mano, battono sui tasti o sproloquiano non per raccontarci la verità ma esclusivamente per ripetere la narrazione elaborata da agenzie governative, italiane o straniere che siano.

Rispondono senza alcuna recriminazione ai voleri del direttore piazzato lì da proprietari e padroni con precisi interessi economici, politici e geopolitici. E, quando non è il direttore ad imporre il proprio diktat, si autodisciplinano e autocensurano ben volentieri, facendo a gara di leccaculismo.

Senza che si intraveda alcuno scatto di amor proprio o di amore per un lavoro che dovrebbe prevedere una deontologia ed un’etica decisamente più affinata che in altre professioni.

Perché un giornalista avrebbe nelle proprie mani anche la coscienza dei cittadini, cui dovrebbe fornire informazioni sui fatti. Non arbitrarie interpretazioni degli stessi.

Ripeto, si può avere un punto di vista e una prospettiva personale. Anzi è necessario averle. Ma che siano quantomeno orientate al rispetto dei fatti oggettivi e improntate ad un’onestà intellettuale.

Non si possono alterare viceversa completamente gli eventi o fornire tesi caratterizzate dalla più meschina disonestà. Accade invece proprio questo, sempre più spesso.

Personalmente ne sono indignato come professionista seppur ormai disoccupato. Ma soprattutto ne provo disgusto come cittadino ed essere umano.

Quando poi si verifica quello che sta succedendo dall’altroieri per i tafferugli scoppiati ad Amsterdam tra i tifosi israeliani del Maccabi e quelli dell’Ajaxcui si sono uniti militanti filo palestinesi, cittadini olandesi di lingua araba e immigrati con tutte le testate che titolano «tifosi israeliani aggrediti da militanti propal», parlando addirittura del più grande pogrom dai tempi del nazismo; di “caccia all’ebreo”, di antisemitismo, fino al titolo che campeggia su La Stampa e il Corriere della Sera che, oltrepassando ogni limite di decenza e rispetto per la verità e la Storia, evocano la Kristallnacht (la Notte dei Cristalli)… allora divento furioso.

M’incazzo di una rabbia livida, che mi dà il voltastomaco per questa professione e per quei colleghi che l’hanno letteralmente infangata.

Parlare di Notte dei Cristalli è una vera e propria porcata. Se non fosse drammatico e gravissimo saremmo al grottesco. Una speculazione infame su una tragedia effettiva per dei tafferugli come ne accadono tanti, durante gli incontri di calcio.

Un godimento sadico. Da sciacalli, da necrofili. Una bastardata propagandistica che non solo tende a giustificare surrettiziamente il genocidio in corso a Gaza, ma che addirittura ha come effetto la detonazione di un odio profondo proprio verso il popolo israeliano, quasi in modo indistinto e pulsionale.

Un odio che potrebbe davvero trasformarsi, nella mente dei più ottusi e fanatici, in antisemitismo.

Perché, com’ è ormai noto, i tafferugli e gli scontri post partita li hanno provocati i tifosi del Maccabi. I quali godono di una pessima fama: razzisti, violenti, islamofobi, fascisti. Soldati in vacanza premio che si comportano all’estero come fanno a casa loro.

Prima dell’incontro infatti hanno compiuto vere e proprie scorrerie per le vie del centro di Amsterdam: strappando bandiere palestinesi, insultando e picchiando cittadini arabi, bruciando un taxi, inneggiando al massacro sulla Striscia da parte dell’Idf.

Fino ad arrivare alla disumanità di uno slogan: “A Gaza non ci sono più scuole perché non ci sono più bambini“. 

Quello che è successo dopo è la logica, e a questo punto proporzionata, conseguenza di queste violenze.

I tifosi del Maccabi pensavano evidentemente di godere della stessa impunità di cui godono il loro Stato e il loro presidente. Ma hanno avuto una brutta e meritata lezione.

Ovviamente però, dalle pagine dei giornali e dai telegiornali italiani, le scorribande degli hooligans israeliani scompaiono come per magia. Scandalosamente si occulta la verità. Mentre addirittura si parla di pogrom e Kristallnacht.

Oramai Israele si ingerisce senza trovare alcuna opposizione negli affari dei nostri Stati non più sovrani, dettando la linea politica.

Tutto è concesso agli israeliani, dentro e fuori i propri confini. Uccidere, violentare, ingiuriare, picchiare. Tanto la stampa mainstream occulterà sempre ogni loro crimine.

Sostenendone le ragioni con la retorica ignobile dell'”antisemitismo”.

E allora mi viene da chiedere a questi colleghi che esercitano una professione cruciale e delicata come fossero dei passacarte o dei ripetitori automatici dell’ideologia dominante: ma non vi fate un po’ schifo?

Complici morali dello sterminio di un popolo. Di una nuova Shoah. Assassini del pensiero, con le mani sporche di sangue innocente. Tutto, solo per mantenere un lavoro e uno stipendio. Come cazxo fate a guardarvi in faccia la mattina?

Ma sono certo che la vostra coscienza non ne venga minimamente scossa e che la giustificazione la troviate. Certi di fare la cosa giusta. Vergognatevi!

*****

Per un confronto con un po’ di informazione seria…

Maccabi Fanatics, una storia di ultraviolenza e odio razzista

Valerio Moggiail manifesto

Il contorno di quanto avvenuto giovedì sera ad Amsterdam ha sorpreso poche delle persone che conoscono la tifoseria del Maccabi Tel Aviv. Lo stesso comportamento messo in mostra nella capitale olandese si era visto lo scorso 7 marzo ad Atene, quando il club israeliano era andato in trasferta in casa dell’Olympiakos. Nelle ore precedenti alla partita, gli ultras del Maccabi avevano aggredito in gruppo una persona di origini egiziane (o irachene, secondo altre fonti) a Piazza Syntagma. La sua unica colpa sarebbe stata quella di indossare una kefiah.

In Israele i Maccabi Fanatics – questo il nome del gruppo ultras – sono conosciuti per la loro predisposizione alla violenza e l’ideologia di estrema destra, che li avvicinano alla ben più famosa Familia del Beitar Gerusalemme. In origine, la squadra di Tel Aviv era espressione, come tutti i club denominati Maccabi, del movimento sionista conservatore. Ma a partire degli anni Novanta, con la trasformazione delle società sportive da club di soci a soggetti privati, la sua identità politica si è molto diluita.

Nonostante questo, il Maccabi è rimasta una delle squadre di calcio più amate in Israele (la seconda più tifata dopo il Maccabi Haifa), legata in particolar modo alla classe media di Tel Aviv. È all’interno di questa ampia comunità di sostenitori che si sono formati i Maccabi Fanatics.

Politicamente di estrema destra, già nel 2014 avevano fatto discutere in patria per gli insulti razzisti contro un giocatore arabo-israeliano della loro squadra, Maharan Radi. In giro per Tel Aviv, nelle zone presidiate dai Fanatics, erano apparsi graffiti che recitavano «Non vogliamo arabi al Maccabi» e «Radi è morto».

Alcuni compagni di squadra dell’allora 32enne centrocampista originario di Sulam, un villaggio arabo 16 km a nord del confine settentrionale della Cisgiordania, provarono a discutere con gli ultras per organizzare un incontro pacificatore. Radi ha raccontato che il suo capitano Sheran Yeini tornò da lui qualche giorno dopo dicendogli che non c’era niente da fare: «Semplicemente odiano gli arabi».

Se giovedì Amsterdam hanno fischiato il minuto di silenzio per le vittime dell’alluvione di Valencia (a causa del sostegno spagnolo alla Palestina), nel settembre 2015 espressero il proprio disappunto a un’iniziativa della Uefa per una donazione in favore dei rifugiati siriani.

L’associazione del calcio europeo aveva deciso che i club partecipanti alla Champions League, tra cui appunto il Maccabi, avrebbero versato alle vittime della guerra un euro per ogni biglietto venduto nella loro prima partita nella competizione. I Fanatics risposero esponendo uno striscione con la scritta «Refugees Not Welcome».

Per completare questo quadro tutt’altro che positivo, nell’estate del 2020 sono stati protagonisti, assieme agli ultras del Beitar, delle contromanifestazioni in favore di Netanyahu e delle aggressioni ai cortei che contestavano il governo. Si sospetta che potrebbero esserci loro, e non la Familia, dietro al rogo appiccato nel marzo 2023 al centro sportivo dell’Hapoel Tel Aviv, rivale cittadino del Maccabi con una tifoseria di estrema sinistra.

Il politico israeliano Ofer Cassif, rappresentante del partito di sinistra Hadash alla Knesset, ha descritto quanto avvenuto in Olanda con queste parole: «Lo spirito del fascismo israeliano è arrivato ad Amsterdam».

È una curiosa coincidenza che le violenze di giovedì siano avvenute durante una gara contro l’Ajax, generalmente considerato il club ebraico di Amsterdam. In realtà, come spiegato da David Winner nel suo Brilliant Orange, questo è più che altro un mito, dovuto soprattutto al fatto che in origine il tram che conduceva allo stadio attraversava il quartiere ebraico. Spesso insultati in quanto ebrei dalle tifoserie avversarie antisemite (quella del Feyenoord in particolare), i fan dell’Ajax abbracciarono questa identità ebraica a prescindere dalle proprie origini.

Quelli di giovedì non sono stati quindi scontri tra tifosi, dato che non risulta che i supporter dell’Ajax vi abbiano preso parte. Anzi, nei giorni precedenti gli ultras F-Side avevano detto che non avrebbero tollerato manifestazioni pro-Palestina nel loro stadio.

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2 Commenti


  • Mauro

    I sionisti pagano bene…


  • Pasquale

    Penne trucide attaccate al culo dei loro padroni che screditano la galassia del giornalismo. Un panorama editoriale per gran parte al servizio del potere.

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