Le percentuali di votanti in Emilia-Romagna, così come in Umbria, confermano il quadro già emerso di generale disaffezione nei confronti del voto alcune settimane fa in Liguria.
In Emilia Romagna questa tendenza, riscontrata nei sondaggi elettorali, era già emersa nel corso della giornata di domenica, dove nelle nove circoscrizioni elettorali la forbice dei votanti andava dai picchi del circa 40% a Bologna, e del 38 e mezza circa di Ravenna, al poco meno del 29% di Rimini, con una media – alla chiusura domenicale dei seggi – del 35,56%.
In sintesi, circa un avente diritto su tre, in regione, si era recato alle urne, e comunque meno uno su due alla chiusura dei seggi di lunedì.
I votanti, alla fine, sono stati 46,42% degli aventi diritto, e solo Bologna supera di misura la soglia con il 51,66%, rispetto al 71% delle ultime regionali.
Una tendenza diventata esplicita con la prima elezione di Bonaccini, nel 2014, con solo il 37,7% dei votanti contro il 67,7% del 2020, dopo una campagna elettorale che aveva visto uno scontro politico piuttosto accesso tra l’attuale eurodeputato del PD e la sfidante leghista Lucia Borgonzoni, decisa a capitalizzare il successo ottenuto dalla Lega di Salvini alle elezioni politiche ed alle europee del 2019.
Questa volta, la contesa durante la campagna elettorale è stata piuttosto contenuta e si è giocata più con il fioretto che con sciabola tra il sindaco “cementificatore” di Ravenna – uscito vincitore con il 56% -, incline ad un accordo con l’attuale esecutivo nazionale per assicurarsi la carica di Commissario post-alluvione, ed una ciellina dalla verve inesistente che non ha superato il 40% delle preferenze, e che – è bene ribadirlo – aveva esponenti di spicco della sua “famiglia politica” anche nel campo concorrente, in versione di “civici”.
A parte questo aspetto di non poco conto la sostanziale convergenza su temi strategici tra i due “sfidanti” è stata rimarcata ad ogni piè sospinto in campagna elettorale.
Lo scarto tra i due è stato ampio ed è la stessa Ugolini a parlare di “vittoria schiacciante” del suo avversario. É stata ribadita la “centralità” del PD nel campo largo, con un Movimento 5 Stelle che in regione non è mai decollato, e AVS, che ha ridimostrato la totale subordinazione rispetto al Partito Democratico.
La destra ha confermato insomma che non può “sfondare” in questa regione, né con una candidata politicamente più marcata come la Borgonzoni, né con una “civica” con alle spalle un saldo complesso politico-economico (CL), mentre la “sinistra” vede esaurirsi la narrazione della buona amministrazione presso gli elettori, a cui non scalda i cuori.
La campagna è stata resa più dinamica solo dalla presenza della lista unitaria – in tutte le nove ex-province – Emilia Romagna per la Pace, l’Ambiente ed il Lavoro e dal suo eccellente candidato a governatore, Federico Serra, che ha ridato senso alla politica in questa disgraziata regione diventando punto di riferimento per l’opposizione reale al partito unico del cemento e della guerra.
Per dovere di cronaca la galassia “no vax” ha sfornato la quarta candidatura – assolutamente non degna di nota – che comunque ha preso molti pochi voti.
Nel dettaglio, la lista unitaria prende più di 27 mila voti con l’1,83%, mentre Federico Serra ha ottenuto più di 31 mila voti, sfiorando il 2%.
Significativo che, a Bologna città, sia la lista che il candidato abbiano superato il 3%, prendendo più voti del Movimento 5 Stelle e della Lega, con un buon numero di preferenze per i candidati di punta di Potere al Popolo, segnale di un radicamento che incomincia a farsi sentire negli equilibri politici cittadini.
Certamente rimane alta la percentuale di voti alla sinistra “subordinata” che fa da ruota di scorta al PD, come AVS, ma la sua capacità di influenzare “da sinistra” sono nulle.
Il primo dato che appare chiaro e diviene sempre più strutturale è il fatto che l’intero establishment politico – non solo quello che ha governato la regione dopo la parabola storica dell’“Emilia Rossa” – è totalmente delegittimato, specie tra i ceti subalterni.
Si è irrimediabilmente liquefatta l’eredità della connessione sentimentale con le masse del vecchio PCI, e la politica non svolge più la funzione di cerniera preposta ad una definizione dell’interesse generale, cioè capace di un compromesso avanzato tra le classi dentro un’orizzonte comune di sviluppo, ma è diventata tout court il comitato d’affari di una serie di potentati economici e consorterie politiche, che guidano un modello di sviluppo ormai entrato in crisi, capace solo di alimentare interessi privati e clientele sempre più ristrette.
La rappresentazione plastica di questa crisi sono le alluvioni che hanno flagellato la regione “grazie” all’interazione negativa tra cementificazione e cambiamento climatico, le continue stragi sul lavoro, e la desertificazione dei servizi che facevano dell’Emilia un fiore all’occhiello oltre che un modello da imitare ed esportare addirittura oltre i confini nazionali.
Ma c’è soprattutto la fine della partecipazione democratica come vettore di mobilitazione popolare e “sale della democrazia”, ora completamente svuotata, con un’élite che decide in maniera abbastanza arrogante ed una cittadinanza che deve avallarne le scelte, senza neanche più i “corpi intermedi”.
Lo si vede dalla tanto sbandierata logica “civica” dell’opzione De Pascale, molto sgonfiata alla luce della realtà dei fatti e di alcune defezioni da parte di alcune vere “esperienze civiche” che non si sono accodate al candidato del centrosinistra.
Naturalmente i media usano come criterio valutativo un taglio da marketing politico, come se si dovesse vendere un prodotto sul mercato, senza neanche indagare la qualità del prodotto, che viene ormai “scartato” dalla metà della popolazione, specie nei territori più periferici e le fasce più deboli, o dove è presente un’ipotesi alternativa minimamente radicata.
Si aprono prospettive più che interessanti quindi anche alla luce del buon risultato della lista unitaria della “sinistra radicale” per una rappresentanza politica indipendente della classi subalterne, e per continuare a mettere in discussione il paradigma Emilia Romagna con una scommessa politica che rimetta al centro i temi agitati in questa campagna politica, riguardanti appunto la Pace, l’Ambiente ed il Lavoro, e incalzando fin da subito De Pascale e la sua “squadra”.
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Felice Di Maro
Per le elezioni in Umbria qualche osservazione penso che si debba fare, si parla soltanto dell’Emilia e Romagna.
Stefania Proietti, Sindaca di Assisi, che si è presentata con il Centrosinistra ed oggi è Presidente della Regione Umbria è una donna capace ma opera spesso in silenzio ed era quasi sconosciuta, comunque ha totalizzato 182.394 voti con il 51,1% che però su un totale di 701.367 elettori i votanti sono stati soltanto 366.788 che hanno rappresentato il 52,3%, affluenza alle urne molto bassa e secondo me va analizzata anche a livello nazionale.
Sono state elezioni vincenti per il Centrosinistra ma cosa farà quest’area politica che ha le sue responsabilità per aver governato l’Italia con processi liberisti di miseria evidenti a livello della nostra storia recente, basta solo citare i risultati delle privatizzazioni.
Mi chiedo. Con 12 consiglieri che sarà la maggioranza in Consiglio regionale del Centrosinistra rilancerà la sanità pubblica in Umbria? Spero di sì. Vedremo. Con l’economia di guerra imperante grazie ad Ursula von der Leyen ed al Pd e vedremo se il tema che riguarda “Fitto” finirà a tarallucci e vino o no, la Presidente della Regione Umbria dirà qualche cosa o sarà silenziosa come di sicuro lo sarà il Presidente anche lui eletto dell’Emilia e Romagna che scommetto nulla dirà, per l’Emilia parlerà sempre Bonaccini, quando parlerà s’intende. Insomma, per i conflitti bellici in corso la Presidente dell’Umbria dirà qualche cosa o sarà silente?
La classe dirigente del Centrosinistra vuole la terza guerra mondiale! In parlamento il Pd ha sempre votato per l’invio di armi in Ucraina e niente ha fatto per rilanciare i negoziati di pace.