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Il Meridione diventa una Zona Economica Speciale. Attenti alle trappole

Intervista a Franco Russo. Tra le pieghe del PNRR e non scritto nella legge che vorrebbe introdurre l’Autonomia Differenziata, c’è un convitato di pietra che ancora sfugge troppo all’attenzione e al dibattito pubblico: la trasformazione del Meridione in una Zona Economica Speciale. Un modo “pulito” per introdurre ulteriori differenziazioni sociali, fiscali, contributive e probabilmente anche salariali nel nostro paese. Non sempre tutto è visibile al primo colpo d’occhio, occorre guardare ai dettagli e individuare le tendenze.

Ne abbiamo parlato con Franco Russo, attivo da tempo nel comitato che si oppone all’autonomia differenziato e attento osservatore delle dinamiche di potere nell’Unione Europea.

Cosa significa concretamente trasformare un territorio in una Zona Economica Speciale?

Per avere un quadro di cosa comporta la ZES unica mi rifaccio alla Relazione svolta dal ministro Fitto nel Consiglio dei ministri del 29 novembre 2024 (Consiglio dei ministri n 105), il giorno delle sue dimissioni per assumere l’incarico di Commissario e Vicepresidente della Commissione UE.

Afferma Fitto: ‘Le 8 ZES presenti fino al 31 dicembre 2023 in Italia, di cui 6 regionali e 2 interregionali, hanno rilasciato 279 autorizzazioni uniche (AU) tra giugno 2022 e dicembre 2023, con un investimento totale di 1,9 miliardi di euro e un incremento, secondo i commissari straordinari, di 6.027 unità lavorative. L’istituzione della ZES unica per il Mezzogiorno, operativa dal 1° gennaio 2024, che comprende tutte le regioni del Sud Italia, ha creato un quadro integrato e coerente per lo sviluppo economico del Mezzogiorno.

La ZES unica offre vantaggi significativi, come la riduzione degli squilibri competitivi tra le imprese operanti in territori limitrofi e la creazione di un’area attrattiva per gli investimenti, con incentivi differenziati per rispondere alle diverse esigenze produttive e strategiche degli investitori. Da gennaio a novembre 2024 sono state chiuse positivamente 401 AU, con investimenti totali di 2,3 miliardi di euro e un incremento di 7.428 unità lavorative. La Campania ha registrato il 54% delle AU, seguita da Puglia (17%) e Sicilia (12%)’.

Il governo, rispetto al Pnrr originale che la prevedeva solo per alcuni territori del Sud, ha esteso la ZES (Zona Economica Speciale) a tutto il Meridione. Qual è l’obiettivo di questa forzatura?

Con il varo del Piano strategico della ZES unica sono state individuate nove filiere strategiche: Agroalimentare e Agroindustria, Turismo, Elettronica e ICT, Automotive, Made in Italy di qualità, Chimica e Farmaceutica, Navale e Cantieristica, Aerospazio e Ferroviario.

Per facilitare e semplificare le procedure burocratiche è stato istituito lo Sportello Unico Digitale ZES (SUD ZES) presso la Struttura di missione ZES. Dai dati forniti dal ministro risulta che sia stata ‘aumentata l’autorizzazione di spesa a 3,4 miliardi di euro (+1,6 miliardi di euro). La spesa per le infrastrutture gestite dalla Struttura di missione ZES ha visto un’accelerazione significativa, con un incremento del 71% rispetto al periodo delle 8 ZES’, la ZES unica comprende le regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sicilia e Sardegna, ed è stata istituita il 1° gennaio 2024, con decreto-legge 19 settembre 2023, n. 124, convertito con la legge 13 novembre 2023, n. 162).

La ZES unica sostituisce le otto Zone Economiche Speciali previste dal decreto-legge 20 giugno 2017, n. 91, limitate alle aree retroportuali del Mezzogiorno, attribuendo alle aziende già operative o a quelle che si insedieranno benefici per gli investimenti e le attività di sviluppo d’impresa (art. 9, comma 1, d.l. n. 124/2023).

Quali i benefici previsti? Come ricorda la Corte dei Conti, nella sua deliberazione del 22 ottobre 2024, essi seguono due vie: ‘la semplificazione amministrativa e le agevolazioni fiscali (segnatamente: il credito d’imposta per gli investimenti nella ZES unica di cui all’articolo 16 del decreto-legge Sud (cioè il dl 124/2023), cui si aggiungono le ulteriori misure recentemente introdotte con decreto-legge 7 maggio 2024, n. 60, convertito con legge 4 luglio 2024, n. 95, recante “Ulteriori disposizioni urgenti in materia di politiche di coesione”).

In particolare, l’art. 24 del testo normativo da ultimo citato, prevede l’esonero, per un periodo massimo di 24 mesi, del 100% dal versamento dei contributi previdenziali dovuti dal datore di lavoro privato nel limite massimo di 650 euro su base mensile (con esclusione dei premi e contributi INAIL), per ciascun dipendente assunto quale lavoratore subordinato non dirigente, a tempo indeterminato, dal 1° settembre 2024 e fino al 31 dicembre 2025, al fine di sostenere lo sviluppo occupazionale della Zona Economica Speciale unica per il Mezzogiorno e contribuire alla riduzione dei divari territoriali’.

I paesi europei hanno il serio problema di accorciare le filiere internazionali per le forniture. La Zona Economica Speciale nel Meridione può diventare un fattore di competizione con le aree a bassi salari nel resto del mondo?

Il quadro che risulta è chiaro: il sostegno riguarda alcune filiere produttive volte a servire o come fornitrici di prodotti intermedi alle industrie del Nord o dell’UE o come esportatrici al pari delle grandi imprese nel campo petrolchimico e siderurgico negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso che furono al servizio delle industrie del Nord. Dunque avremo ancora una volta uno ‘sviluppo’ a macchia di leopardo che vedrà industrie di eccellenza in alcune zone– il polo aerospaziale napoletano e pugliese, la meccatronica barese o l’SMT di Catania – e per il resto avremo la desertificazione non solo delle aree interne ma di tutte quelle che non diverranno anelli delle catene del valore. L’elenco delle filiere rende chiaro che la maggior parte delle zone meridionali saranno tagliate fuori.

Che queste mie considerazioni critiche non siano frutto di pregiudizi ideologici antigovernativi è testimoniato dalla relazione del presidente della Confindustria Basilicata, Francesco Somma, nell’assemblea pubblica del 15 novembre 2024, dove chiede ‘con quali procedure si ritenga di garantire che gli investimenti più significativi non prendano, come sta accadendo, la strada verso agglomerazioni industriali già consolidate a prezzo della desertificazione delle altre aree e contesti, magari ben predisposti ma considerati periferici. Territori che attendono da sempre di concorrere all’equilibrio generale del Sud. E di ciò in Basilicata siamo preoccupati’.

Anche per le infrastrutture, oltre alla grande opera del Ponte di Messina, ci sono interventi finalizzati solo ad inserire il Mezzogiorno sulle grandi direttrici TEN-T dell’UE perché la logistica e le reti di trasmissione elettrica e dei flussi energetici siano garantiti sempre e solo alle produzioni del Nord Italia ed europee, mentre aree come la Basilicata, dove pure opera Stellantis, si vedono sempre più messe ai margini.

Alla domanda rispondo che certo i sostegni finanziari agli investimenti sono sostanziosi – il prof. Viesti ha calcolato che le aliquote di credito d’imposta arrivano al 60% per le piccole imprese (al 70% nell’area di Taranto). Tuttavia i sussidi per abbassare agli imprenditori il costo del lavoro non saranno mai tali da poter competere con i livelli salariali che si hanno in Polonia, in Serbia o in Marocco, paesi dove sono attivi per es. stabilimenti di Stellantis.

Dunque, tutta la narrazione del reshoring, del rientro delle filiere della componentistica dislocate tuttora nei paesi asiatici, non vedrà la loro riallocazione in Italia ma nei paesi in cui costo del lavoro e standard ambientali sono bassi (Nord-Africa, Est europeo). Il Mezzogiorno è destinato a seguire le vie di sempre: alcune zone con produzioni di eccellenza con merci destinate ai mercati internazionali, essendo utilizzato per il resto come hub energetico e logistico – sarà attraversato da gasdotti e reti di trasmissione elettrica con destinazione Nord Italia ed Europa.

La trasformazione del Meridione in una Zona Economica Speciale marcia parallelamente all’autonomia differenziata che metterà in competizione tra loro le regioni. A tuo avviso c’è una connessione tra i due provvedimenti?

Posso rispondere che il modello di governo della destra è di istituire un sistema di comando degli esecutivi, scopo sia dell’autonomia differenziata che del premierato. La destra vuole che il potere sia gestito dal ‘primo ministro’ nazionale, eletto direttamente, con la cooperazione dei ‘governatori’ regionali – questo ripeto il disegno.

La tendenza alla centralizzazione è netta, e proprio con la ZES unica se ne ha la riprova: tutto il potere è concentrato nella Cabina di Regia, prevista dall’art. 10, dl 124/2023, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, presieduta dal Ministro con delega al Sud, e poiché questa delega, dopo le dimissioni del ministro Fitto, è oggi nelle mani della presidente Meloni, si vede all’opera il processo di centralizzazione e personalizzazione del potere.

Altro che autonomia differenziata! Al più avremo un esercizio di potere differenziato nel senso che la Presidente del Consiglio detterà legge consultandosi ora con questo ora con l’altro ‘governatore’ a secondo della Regione interessata ai provvedimenti.

È bene ricordare che il modello di elezione e di funzionamento degli organi regionali – elezione diretta e riduzione dell’assemblea legislativa a organo sottomesso per via del simul stabunt simul cadent – è quello che guida anche il modello di premierato assoluto.

Questo il disegno politico, che intanto si è inceppato perché la Corte costituzionale con la recentissima sentenza – la 192/2024 – ha demolito il ddl Calderoli sull’autonomia differenziata. Speriamo con i referendum di cancellarlo completamente, così come con il referendum dovremo respingere il premierato assoluto, se mai la legge dovesse essere approvata.

Colgo l’occasione di queste risposte a Contropiano per auspicare una ripresa del meridionalismo di sinistra, elemento fondamentale di un’alternativa al capitalismo italiano, che in nome dell’integrazione europea continua vedere nel Mezzogiorno un’area di servitù economiche e militari.

Se si costituisse un gruppo di lavoro – un Osservatorio Mezzogiorno, tanto per indicare una possibile sigla – avremo a disposizione almeno un luogo dove esaminare e confrontarci sulle tematiche meridionali, completamente perse di vista anche dalle forze della sinistra alternativa. Se non si interviene con determinazione e con risorse politiche nel Mezzogiorno, questo resterà terra di scorribanda di forze reazionarie e conservatrici, con al più qualche coloritura populista.

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