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Nordio seppellisce la credibilità di Meloni

In questi giorni intensi, in cui sta venendo giù l’architettura dell’”ordine internazionale” fondato nel secondo dopoguerra, tra pulsioni genocide ad ampio spettro e “pensate immobiliariste” per mettere a valore anche i cimiteri, doversi occupare della miseria politica italiana provoca sommovimenti intestini insopportabili.

Ci muniamo di pazienza e proviamo a dire cosa ha dimostrato l’indegna sceneggiata parlamentare di ieri.

Com’è noto, il governo doveva spiegare perché ha mancato di rispettare un ordine di cattura emesso dalla Corte Internazionale de L’Aja, riportando a casa con un aereo dei servizi segreti il capo degli scafisti libici di Tripoli, Almasri, che è anche alla guida dei lager di quella parte di Paese.

Va ricordato che l’Italia è non solo paese membro della Corte Internazionale, ma che quella è stata fondata proprio a Roma, nel 2002, al termine di un lungo processo evolutivo che partiva dal processo di Norimberga, per istituire un organismo “terzo e neutrale” incaricato di perseguire mostruosità come il il genocidio, i crimini contro l’umanità e i crimini di guerra.

Non che il comportamento di quella Corte sia stato irreprensibile. Un po’ perché non vi hanno aderito Stati che comunque sarebbe stato difficile perseguire (Usa, Russia, Cina, lo stesso Israele come “51° stato Usa”). Un po’ perché, anche per questo, la sua azione è stata “strabica”. Sì al processo contro Slobodan Milosevic – poi assolto dopo che era già morto in carcere – o contro capi-fazione in Ruanda, Costa d’Avorio e altri paesi africani. Silenzio totale sui massacri in Iraq, Afghanistan, territori occupati palestinesi, ecc.

Almeno fino a quando il genocidio a Gaza non è balzato anche ai suoi occhi facendo scattare il mandato di cattura per Netanyahu e l’ex ministro della difesa Gallant (quello che aveva definito i palestinesi “animali umani”, quindi da mandare al mattatoio). E con questi due mandati si è giocato la “tolleranza” da parte dell’Occidente neoliberista, costitutivamente genocida… Da allora solo sputi in faccia e pernacchie, niente più omaggi al “diritto internazionale”.

Però se si costruisce davvero un “ordine internazionale basato su regole che valgono per tutti”, sulla falsariga dei condici penali nazionali, si può naturalmente criticarne le singole decisioni, ma non far finta che quelle decisioni sono solo carta straccia.

Altrimenti si esce da quell’”ordine” e ci si adatta alla guerra di tutti contro tutti, sulla base del puro esercizio della forza. Di cui l’Italia dispone in misura quasi irrilevante, sul piano mondiale.

Sulla vicenda Almasri tutti – governo e opposizione parlamentare – hanno dato la prova della propria pochezza. Anche se ovviamente l’opposizione, almeno in questo caso, ha fatto la propria parte dicendo qualcosa (di solito non fa nulla o peggio converge con il governo, ad esempio sull’invio di armi in Ucraina).

Il ministro della giustizia Nordio, primo bersaglio di un impiccio che è nato anche dal suo comportamento omissivo, si è presentato in aula con una nuovissima versione dei fatti che è sembrata sagomata sull’esigenza – completamente diversa – di assestare un altro colpo alla magistratura. A prescindere da quel che fa e solo perché ne esiste una (pessima e servile, peraltro).

Fino a ieri si era trincerato dietro la formula “stavo valutando” cosa fare con Almasri, mentre intanto un aereo dei servizi (per evidente decisione del sottosegretario con delega, Alfredo Mantovano, d’accordo con il presidente del consiglio) aspettava all’aeroporto di Torino che il tagliagole tripolino venisse scarcerato.

Un impiccio che però segnalava un possibile malfunzionamento interno al governo – il ministro competente tace mentre “studia” e intanto un altro ministero agisce motu proprio. Per cancellare anche questa “macchietta” sulla splendida autorevolezza di un esecutivo ridicolo, Nordio ha scelto perciò una versione più “muscolare” e meno fantozziana.

Facendo un disastro.

Nota Giovanni Bianconi su Il Corriere della Sera (non certo un organo antipatizzante con il governo, anche se preferirebbe un tono generale più “istituzionale” e meno “pesciarolo”): «Il ministro non è un passacarte», rivendica il Guardasigilli Carlo Nordio. E spiega che nel suo ruolo di «organo politico» ha il «potere-dovere di interloquire con altri organi dello Stato, laddove se ne presenti la necessità, che in questo caso si presentava eccome».

Dunque il ministro della Giustizia che ha di fatto disapplicato il mandato d’arresto emesso dalla Corte penale internazionale contro il generale libico Najeem Osama Almasri, determinando la scarcerazione del detenuto, ha discusso con i colleghi di governo. Con il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, c’è da presumere, ma anche con il sottosegretario delegato alla sicurezza nazionale Alfredo Mantovano e, verosimilmente, con la stessa premier Giorgia Meloni.

Cioè i quattro indagati la cui posizione è al vaglio del Tribunale dei ministri, dopo la trasmissione degli atti da parte del procuratore di Roma.

La logica è ferrea. O sei – in materia di mandati di cattura internazionali emessi da un Corte non italiana – un semplice “passacarte” che rispetta i trattati e i regolamenti in materia, senza entrare nel merito, oppure sei uno che può decidere per conto proprio se e quando un mandato di cattura “terzo” (contro cittadini di un altro paese, nemmeno italiani) deve essere eseguito oppure no, dopo esserselo frettolosamente letto (“48 ore, 40 pagine in inglese con allegati in arabo”, ecc) e stabilito che “se sò sbajati…”.

E se Almasri è stato riportato a casa… allora è colpa tua. L’hai deciso tu (insieme al resto del governo, ovvio).

Detto questo, il realismo politico più cinico avrebbe richiesto la banale necessità di ammettere che “non si poteva fare altro” visti gli accordi immondi esistenti tra lo Stato italiano e gli scafisti di Tripoli – sottoscritti dal piddino Marco Minniti, peraltro, quando era ministro dell’interno – che obbligano a garantire l’impunità per quanto lì avviene, “nel nostro interesse”.

Insomma: bastava invocare il “segreto di Stato” per chiudere la vicenda, certo con una pessima figura morale per un presidente del consiglio “madre e cristiana” (tra le vittime di Almasri ci sono innumerevoli donne e bambini).

E invece no. Nemmeno questo. Il governo, via Nordio, voleva uscirne con un rafforzamento della propria traballante immagine morale (basta guardarli schierati, in effetti…).

Così ha dovuto abborracciare una “nuova versione” dei fatti – la terza – che ne cancella definitivamente ogni credibilità, sia sua che della stessa Meloni. Se, infatti, dici cose sempre diverse anche nel ricostruire quel che hai fatto nel prendere una decisione tra quattro o cinque ministri, figuriamoci quante balle puoi raccontare su questioni sicuramente più complicate come la politica economica e fiscale, l’uso dei fondi del Pnrr, le alleanze internazionali, ecc.

Si potrebbe chiudere qui, limitandosi alla sola citazione del penoso intervento di Piantedosi, che nell’arzigolo questurese consegnato agli archivi si è limitato a ripetere la necessità di espellere «un soggetto pericoloso per la sicurezza nazionale e l’ordine pubblico». Delle due l’una: o Almasri è un alleato dell’Italia, per quanto puzzolente e impresentabile, e allora il riportarlo a casa è spiegabile (con la copertura del segreto di Stato, certo). Oppure è un “potenziale pericolo”, e allora sarebbe stato meglio consegnarlo in catene alla Corte de L’Aja.

In fondo lui è solo un poliziotto di mestiere, non avrebbe necessità di usare scioglilingua da azzeccagarbugli che non fanno neanche ridere…

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