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E se la violenza sulle donne fosse ormai solo uno strumento di pinkwashing?

Il policlinico Gemelli è l’ospedale privato più grande di Roma e tra i più grandi d’Europa. È situato nel XIV municipio ed è parte integrante dell’Università Cattolica. Qui da più di un anno è stato aperto uno sportello antiviolenza (CAV) finanziato da WindTre e gestito dall’associazione Assolei.

Una partita giocata tutta in “famiglia”, dato che la vicepresidente dell’associazione che gestisce lo sportello è la responsabile delle risorse umane del Gemelli stesso. Dunque, un ospedale privato (che però riceve finanziamenti pubblici) che con soldi privati gestisce uno dei servizi più importanti per il contrasto alla violenza sulle donne. Cosa può andare storto?

Ad osservare questo caso, ci sembra che la violenza sulle donne diventi un mero strumento di marketing per aziende come WindTre o, peggio, che sia usata dalla sanità privata – legata alla Chiesa – per lo stesso scopo.

La privatizzazione della sanità che da anni viene portata avanti da governi di centrodestra e centrosinistra è già di per sé inaccettabile: soldi pubblici spesi per finire nelle tasche di chi specula sulla salute delle persone. In questo caso il tutto è reso più assurdo dal fatto che la vita delle donne che si rivolgono a questo sportello sia messa in mano a interessi privati, aprendo dubbi enormi sulle possibili ingerenze sulla gestione dello sportello stesso.

Ma facciamo un passo indietro. Secondo l’ISTAT, a livello nazionale nel 2023 le donne vittime di violenza hanno potuto contare su 404 centri antiviolenza, distribuiti per il 36,9% nel Nord, per il 31,4% nel Sud, per il 21% nel Centro e il restante 10,6% nelle Isole. La Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (Istanbul, 2011), prevede la presenza di un CAV ogni 50mila donne. In Italia, tuttavia, ce n’è uno ogni 76mila. Al di là della media nazionale però permane un forte squilibrio regionale. In Trentino, ad esempio, ce n’è solamente uno ogni 250mila donne.

Dunque, mentre la violenza di genere non si ferma, in Italia mancano 240 Centri antiviolenza per soddisfare i livelli minimi necessari, nel Lazio ne mancano 18, a Roma non si raggiunge neanche i tre quarti dei centri necessari e molti quartieri periferici sono lontani o mal collegati con i CAV esistenti. Il numero dei CAV non è però l’unico elemento da prendere in considerazione.

I dati ISTAT ci mostrano come sempre più la promozione dei centri antiviolenza sia di natura privata, perdendo la partecipazione pubblica non solo nella gestione, ma nella creazione stessa dei centri o degli sportelli antiviolenza. Ciò in continuità con la privatizzazione messa in atto negli ultimi quarant’anni di tutti i servizi sociosanitari.

Accanto a ciò si registra una strutturale mancanza di fondi, che seppure negli ultimi dieci anni sono aumentati a livello nazionale, restano ancora insufficienti per fornire una risposta appropriata alla situazione attuale. Ciò lo dimostra il fatto che quasi la metà delle operatrici antiviolenza lavorano su base volontaria, così come lo dimostra la cronica mancanza di case rifugio e di semiautonomia.

In Italia le donne che richiedono supporto e consulenza alloggiativa trovano solo nel 68,5% dei casi una risposta dal territorio, le richieste di sostegno all’autonomia sono soddisfatte nel 74,8% dei casi. A Roma il dato peggiora ulteriormente, infatti le strutture residenziali antiviolenza sono riuscite a soddisfare solamente il 17% delle richieste di ospitalità.

A fronte di questa situazione l’unico modo per rispondere in maniera sistematica e strutturale alla violenza di genere e sulle donne è una vera presa di responsabilità da parte delle istituzioni che si devono impegnare a fornire alle donne vittime di violenza una rete solida e adeguatamente finanziata di centri e sportelli antiviolenza, così come di case rifugio e di semiautonomia.

Sebbene questo sia solo uno dei tasselli necessari, è certamente fondamentale, in quanto sono questi i servizi che possono rispondere in maniera immediata alle esigenze di chi rischia la vita stessa per uscire da situazioni di violenza.

Per questo, da tempo chiediamo di stanziare fondi adeguati e denunciamo su tutti i livelli l’amministrazione di questo Paese – dal governo, alla Regione Lazio, fino al Comune di Roma – per il lassismo e il disinteresse rispetto alla violenza di genere. Infatti, sebbene sia da destra che da sinistra ci si riempia la bocca di belle parole sulle donne (e nel secondo dei casi anche sulle persone lgbtq+), lo stato attuale delle cose ci dimostra che nessuno abbia mai preso sul serio questo enorme problema.

Nel piccolo di una periferia di Roma, da mesi viene richiesta l’apertura di uno sportello antiviolenza nel quartiere di Primavalle. Un quartiere che ha visto in meno di un anno due terribili femminicidi. Qui, come in tante altre aree periferiche romane, uno sportello rappresenta una necessità: quella di iniziare a rompere il meccanismo che lascia le donne sole e prive delle tutele necessarie.

Donne de Borgata insieme con varie realtà territoriali ha deciso di raccogliere firme per coinvolgere le e gli abitanti e richiederne l’apertura. Lo scopo è avere uno sportello che sia un servizio pubblico garantito dal municipio, che si faccia garante e portatore di questa istanza anche sul piano regionale.

Le vite delle donne non possono essere lasciate in mano agli interessi privati. Vogliamo, ora, uno strumento di indipendenza e sostegno per le donne in difficoltà!

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2 Commenti


  • Manlio Padovan

    L’unico modo vero di combattere la violenza sulle donne è una seria campagna di informazione che metta in risalto il fatto che le religioni cosiddette rivelate sono solo espedienti politici che hanno assunto su di sé il compito di difendere be diffondere il patriarcato, nato ben prima delle religioni rivelate, con le conseguenze sociali che per forma mentis da esso derivano.
    Fu un cristiano delle prima ora, Tertulliano, ad imporre il velo a copertura del viso alle donne arabe. Maometto venne tre secoli dopo e, da buon furgone, capì presto a cosa servivano le religioni rivelate e s bene rivelò una pure lui: quel mentecatto che si innamorò di una bambina di 5 anni e con lei consumò il matrimonio qundo ne compì nove.


  • Manlio Padovan

    Ma nessuno ha il coraggio di farlo. E lamentarsi mancata nota Din commento a l mio pensiero ne è la prova provata.

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