Nel perimetro ideologico del paradigma neoliberista la Città deve necessariamente trasformarsi in una sorta di Discount, i cui spazi vanno organizzati secondo il modello della catena del valore di Porter: logistica, marketing, approvvigionamenti, gestione delle risorse umane.
Ogni settore della città-discount deve quindi partecipare dell’estrazione del plusvalore, abbattendo dove si può i costi e massimizzando i ricavi. E poco importa se a farne le spese sono e saranno la vivibilità o la stessa natura a misura d’uomo.
Abbiamo così, in una metropoli come Napoli (ma questo accade un po’ ovunque in Europa) la città-friggitoria, la città-vetrina, la città-cultura di massa, la città–scenografia, la città–folkloristica, la città-set cinematografico, la città-teatro, la città-proibita.
Un assetto organicistico in cui l’insieme -dai singoli alla divisione e organizzazione del lavoro sempre più parcellizzata, fino al tempo libero- deve ruotare intorno al mercato, al profitto ed essenzialmente al turismo (quest’ultimo segmento, fondamentale per l’accumulo di capitale in un meridione sempre più deindustrializzato) e alle loro logiche iper consumistiche.
In ragione delle quali la storia, i luoghi, le memorie e i rapporti sociali trovino la loro misera sintesi in una spesa voluttuaria figlia di un desiderio imposto; in un aperitivo, un pranzo o una cena a cospetto e a dispetto dell’arte e degli spazi vitali, occupati da tavoli e tavolini dissennati; o in un selfie disincarnato nella dimensione virtuale di uno schermo.
Ad uso di una popolazione sempre più infantilizzata e depensata e soprattutto di frenetici e bulimici vacanzieri mordi e fuggi .
L’essenziale è che ogni aspetto concorra a rimpinguare la rendita parassitaria delle borghesie proprietarie. Dalla messa a valore privatistica dei monumenti cittadini alla proliferazione sconsiderata dei B&B.
Principali cause della devastazione di quell’ecosistema di secolari relazioni sociali fondate (soprattutto in una città come Napoli) su un’ idea di comunità solidale, ormai soppiantata dalla ferocia della concorrenza ai fini del guadagno purché sia.
Tutto ciò si traduce, inesorabilmente, nello sventramento del centro storico, nella spettacolarizzazione del paesaggio sociale, della sua cultura e delle sue bellezze d’arte, e nell’espulsione dei ceti popolari dalle loro abitazioni e dai loro luoghi di appartenenza.
Non più dunque la città-fabbrica dei primi anni ’70 ma una metropoli 4.0 post postmoderna, che come una bellissima puttana messa in vetrina faccia mostra di sé riuscendo a fondere tragicamente, in un connubio scintillante di cosmesi artificiale e ancestrali ombre esistenziali, il feticismo merceologico del capitalismo neoliberista, divenuto sempre più mera visione estetizzante; e la disumanizzante proiezione horror, tecnica e tecnocratica, di un presente eterno e astorico sulla cui ribalta si muovono masse protesizzate che hanno delegato la propria esistenza biologica e il proprio pensiero a format di vita decisi sui tavoli dei consigli di amministrazione delle multinazionali e a dispositivi elettronici, dentro la cui dimensione ludica e puerile non siamo più neanche individualità irrelate ma semplici idoli e avatar. Maschere cannibaliche che si autofagocitano.
Città-discount dunque dalle cui viscere sotterranee sale un techno-blues metropolitano, le cui note suonate da un doloroso sax contralto sembrano dirci -riformulando categorie heideggeriane – che Essere per il divertimento ed Essere per la morte si rincorrono e si confondono nelle nostre nuove architetture urbanistiche, sulla veloce autostrada del consumo e del presente.
Storia, cultura, comunità, solidarietà, identità popolare e di classe vengono così immolate al Moloch di un progressismo di maniera declinato secondo i parametri restauratori e dispotici dello sviluppo ineguale e del profitto.
Interi settori popolari vengono sempre più sospinti verso periferie materiali e dell’anima. Non più tollerato è il reato di povertà dentro questi enormi “pacchi regalo” metropolitani, in nome di un decoro borghese, classista e razzista.
La solitudine della marginalizzazione diventa sempre più condizione esistenziale condivisa da intere fasce di cittadinanza. Ammesse allo spettacolo circense solo se acquiescenti, silenziose e aderenti ai nuovi dettami della politica esautorata dalle leggi di mercato.
Gli altri, le nuove povertà, devono restarne fuori. Con l’unica via di fuga della rabbia sociale indotta dalla nuova governance dei processi globali di accumulazione.
Ebbene, pur in questo deserto socio-economico e politico-culturale che sono diventate le nostre città, le cui crasse borghesie tendono ad occupare tutti gli spazi vitali, restano e crescono sacche di resistenza.
Comunità antagoniste che, con testardaggine, si oppongono alle logiche del consumo e alla disumanizzazione delle relazioni sociali e pretendono, chissà perché, di restituire alla collettività aree di dimensione condivisa, all’interno di quella “città negata” ormai dalle algide leggi della merce.
Reclamano spazi dove discutere, fare politica, riflettere insieme. Dove organizzare manifestazioni artistiche, eventi culturali, presentazioni di libri, dibattiti sul nostro futuro. Reclamano insomma spazi di agibilità democratica.
A Napoli, una di queste sacche di resistenza è rappresentata dal Civico 7 Liberato, i cui locali si trovano di fronte al Museo Archeologico Nazionale (Mann) sotto i portici della Galleria Principe di Napoli.
Un collettivo di compagni che da quasi dieci anni organizza, in quel piccolo spazio restituito alla comunità e al territorio (il Civico si trova a pochissime centinaia di metri dal Rione Sanità, da Forcella e dal Centro Storico) confronti, iniziative, eventi culturali. Cinema, teatro, musica, concerti, libri, dibattiti costituiscono infatti il fulcro dell’attività del collettivo. Che da tempo si batte anche per la messa in sicurezza e la restituzione del complesso monumentale della Galleria Principe alla cittadinanza.
Una battaglia che le amministrazioni comunali, ma soprattutto l’ultima Giunta Manfredi, sembrano non accogliere, lasciando quegli spazi all’incuria e al degrado. Per poi, com’ è in procinto di fare l’attuale amministrazione, affidarli ai privati e ai loro lucrosi interessi.
Così, anche il destino del Civico sembra segnato. Come recita un volantino distribuito dal Collettivo durante una manifestazione per il diritto all’abitare tenutasi sabato: «In questi giorni – come Civico 7 Liberato che agisce dal 2017 in alcuni spazi recuperati dal degrado situati sotto i portici della Galleria Principe – abbiamo ricevuto accertati segnali, diretti ed indiretti, che prefigurano uno sgombero, senza nessuna alternativa, delle nostre attività. Ovviamente la lotta al degrado, all’incuria ed alla manomissione dei beni culturali sono, da sempre, il profilo rilevante delle nostre variegate attività che alimentiamo quotidianamente. Riteniamo, però, che qualsivoglia progetto dell’Amministrazione Comunale non deve concretizzarsi attraverso l’opacizzazione e la distruzione di pratiche democratiche, esperienze artistiche, culturali ed indipendenti e attività di sostegno ai ceti deboli della società. Continuiamo, dunque, la mobilitazione contro caro sfratti, per il diritto all’abitare, per lo sviluppo di una edilizia popolare e sostenibile ambientalmente e – soprattutto – contro il complesso dei progetti di desertificazione culturale della città».
Uno sgombero ingiusto e ingiustificabile dunque, che sottrarrebbe alla città l’ennesimo spazio di condivisione e confronto. Uno sgombero che dev’essere a tutti i costi evitato.
In prima istanza mediante un dialogo con le istituzioni. Poi attraverso anche altre forme di resistenza e di lotta. Affinché gli avidi tentacoli del profitto non abbiano la meglio sulle ragioni della collettività. Sulla libera espressione del pensiero critico.
E sul valore di una cultura e di un’arte in tutte le loro manifestazioni, che non siano legate alle svilenti ed elitarie dinamiche di mercato. Ma tornino a parlare ad ognuno.
Nella loro dimensione popolare e di costruzione di un percorso svincolato dalle asfissianti imposizioni dell’ideologia dominante.
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa

il cosacco
bravo