Immaginate di avere vostro figlio con febbre alta, vomito, difficoltà respiratoria, grosse macchie sul corpo, non riconducibili alle comuni malattie esantematiche.
Ha dolore dappertutto e si lamenta.
Chiamate il medico e si presenta a casa.
No aspettate, è una scena troppo lontana nel tempo, vecchia di decenni ormai.
Immaginate di chiamare ripetutamente il numero del vostro medico, in quell’ora al giorno in cui è disponibile per i suoi 1300 pazienti (massimo 1500, sembra sentire Troisi quando parla con Robertino). La linea è continuamente occupata.
Così dopo i vari tentativi, chiamate lo studio e vi verrà detto di portare vostro figlio per fargli dare un’occhiata. Se siete fortunati lo accompagnate in macchina (immaginate anche che avete preso un permesso al lavoro), oppure vi abbracciate la via crucis dei trasporti pubblici. Non potete certo caricare il vostro adorato figliuolo su un monopattino o sulle city bike, fiori all’occhiello di tutti i nuovi sindaci green (penso al rafaniello dei 99 posse, qui verdi fuori e rosso-sangue-sfruttamento dentro).
Comunque alla fine il medico vi accoglie e voi, appena varcata la soglia, lo inondate con un fiume di sintomi e osservazioni sul malato. Lui senza scomporsi, vi dice: “Ma no, non c’è da preoccuparsi. E cos’è questo tono catastrofico!? Su con la vita!
Quanti anni hai bel giovanotto!? Sembri proprio un ometto!”
“Guardi che sta molto male ed ha già avuto le altre malattie esantematiche, non riesco a cap…”
“Ma dove gli ha comprato questi jeans?” interrompe lui. “E queste scarpe poi… ma sono Limited edition, stupende!” “Credo che una cura vitaminica faccia proprio al caso del nostro giovanotto”
“Dottore, scusi ma non lo visita?”
“Non c’è bisogno e non c’è da preoccuparsi. I suoi occhi mi hanno fatto immediatamente capire cosa è giusto per lui”. E scandendo le ultime sillabe, dopo aver contemporaneamente segnato il nome delle vitamine da comprare, li accompagna alla porta.
“Avanti un altro!”
Possiamo uscire dalla visualizzazione guidata.
A cosa avete pensato durante la lettura?
Cosa vi ricordano i tempi e le modalità di gestione?
Il pensiero è andato per caso alla vostra condizione lavorativa o alla scuola, alla sanità, alle carceri, al welfare, al PNRR, alla guerra…?
Non vi sembra che ricalchi una dinamica ormai trita e consolidata?
Il cittadino lavoratore, spesso dipendente, lamenta un disagio e cerca una cura, affidandosi a chi ha il potere della cura e sa meglio di lui cosa è bene.
Ma chi ha questo potere non lo ascolta, dirotta il dialogo su questioni effimere e gli rifila una soluzione, che non ha niente a che vedere col suo male.
In tutta fretta passa ad un altro malato, che tratterà allo stesso modo.
Si potrebbe chiedere l’intervento di un mediatore a difesa del cittadino, che possa denunciare quel che non funziona e ricalibrare gli interventi.
Ma ormai questo mediatore ha quasi perso il suo potere contrattuale e di difesa.
Mai come oggi ritorna forte una domanda:
che fare se la cura è la causa stessa del male? A chi affidarsi?
E la risposta quale può essere se non a se stessi, ai propri simili, a quelli che vivono nelle stesse condizioni, per ricostruire dal basso ciò che viene sistematicamente distrutto dall’alto. Tentando l’impossibile, in un’epoca in cui il sogno che chiunque possa farcela impegnandosi, si traduce nell’incubo in cui i pochi che ce la fanno, ci riescono a spese della maggioranza.
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