Menu

Non si trova più petrolio, ma fanno finta di niente…

E’ un vecchio tema, sollevato già ai tempi del Club di Roma: le risorse naturali non riproducibili andranno verso l’esaurimento e costituiscono un oggettivo limite per lo sviluppo indefinito del modo di produzione in cui viviamo (il capitalismo, insomma). Peggio ancora: l’esaurimento certo di quelle risorse (più incerta è ovviamente la data) rischia di mettere in discussione anche la possibilità di far proseguire l’evoluzione dell’umanità con altri modi di produzione (diciamolo con un termine mainstream per farci capire: più sostenibili), senza passare per un immenso bagno di sangue in cui il numero degli esseri umani si adegua malthusianamente alle risorse residue.

Di tutte le risorse non riproducibili il petrolio è certamente il re. Con il petrolio facciamo quasi tutto (dai carburanti alla plastica, dai fertilizzanti ai grassi minerali, ai medicinali), ma soprattutto copre la quota largamente maggioritaria del fabbisogno di energia

Un geofisico statunitense – Marion King Hubbert – individuò la legge scientifica che permetteva di calcolare con esattezza l’esaurimento di un singolo pozzo petrolifero, dunque anche il totale di tutti i pozzi in una determinata area e di tutto il pianeta. Naturalmente bisogna conoscere con altrettanta esattezza quanto petrolio non estratto esiste ancora sul pianeta, e qui le incertezze nascono da due fattori: quasi tutti i paesi produttori di greggio danno stime non veritiere sulle proprie riserve e le scoperte di nuovi giacimenti modificano di continuo il computo complessivo.

Sulle bugie dei governi vigilano i rilievi satellitari, che hanno ormai passato ai raggi x tutte le aree “promettenti” (i bacini alluvionali), anche ovviamente si tratta anche qui di stime che restituiscono una “forchetta”, seppure non amplissima. Mentre le nuove scoperte (verifica empirica dell’esistenza di giacimenti nei bacini alluvionali già individuati) dipendono anche dagli investimenti messi in campo da compagnie petrolifere e/o governi, effettuati però tenendo conto delle oscillazioni dei prezzi e delle congiunture economiche.

Un quadro complesso, come si vede, con tante variabili, che ha permesso ai “narratori” del “non c’è problema” di continuare a sostenere che di petrolio ce ne sarà sempre.

Scusate la lunga premessa, ma soltanto con quel quadro in testa è possibile comprendere la rilevanza della notizia apparsa oggi su (pochissimi) giornali: quest’anno è stato registrato il minimo storico nelle scoperte di risorse convenzionali. Parliamo di petrolio vero e proprio, non di un derivato da lavorazioni come lo shale oil e simili. Sono stati infatti ritrovati “appena 6,7 miliardi di barili, stima Rystad Energy, ossia una media di 555 milioni di barili al mese tra greggio e gas, contro 645 mb al mese nel 2016 – già considerato un anno di magra – e circa 1,3 miliardi, sempre su base mensile, nei tre anni precedenti” (da IlSole24Ore).

E’ sempre difficile capire al volo se si tratta comunque di una quantità sufficiente a coprire o meno il fabbisogno, dunque si deve andare a guardare la proporzione tra le quantità ritrovate e quelle consumate (il cosiddetto reserve replacement ratio). Bene. Qui il numero diventa agghiacciante: nel 2017 il tasso di sostituzione ha raggiunto appena l’11% contro più del 50% nel 2012. Per ogni 10 barili consumati ne è stato trovato soltanto uno.

Eppure le scoperte sono state molte. Ma ormai si sta raschiando il fondo del barile (scusate il pasticcio di parole), perché i nuovi giacimenti sono quelli più piccoli, che prima non venivano neanche presi in considerazione. “In generale la taglia media delle scoperte si è comunque ridotta: nell’offshore è scesa a circa 100 mb, dai 150 mb del 2012. Un problema ulteriore, spiega Passos, perché potrebbe scoraggiare le decisioni di investimento: «Nel nostro scenario base di prezzi, stimiamo che oltre un miliardo di barili scoperti durante il 2017 potrebbero non essere mai sviluppati»”

E’ davvero divertente il modo in cui Sissi Bellomo, giornalista del quotidiano di Confindustria che cura il settore pertrolifero, liquida la “paura del picco di produzione”.

Da molto tempo il picco della produzione di petrolio non spaventa più nessuno: oggi semmai si discute di quando la domanda smetterà di crescere. Nessuno però prevede che potremo presto fare a meno degli idrocarburi, nemmeno ipotizzando una diffusione impetuosa di auto elettriche, energie rinnovabili e batterie a supporto della rete. I consumi petroliferi, prima di avviare un graduale declino, si stabilizzeranno. E questo secondo le previsioni più ottimiste non avverrà prima del 2030”.

Nonostante il tono tranquillizzante, non sembra si possa dire che la “stabilizzazione” dei consumi, posticipata da qui a 15 anni (nel migliore dei casi), sia un “non problema”. Tant’è vero che le sue stesse fonti la costringono a scrivere:

Nel frattempo, per evitare una drammatica salita del prezzo del barile, sarà indispensabile trovare e sviluppare nuovi giacimenti. Se non altro per compensare il declino di quelli vecchi, che la crisi nel settore – che ha comportato tagli non solo agli investimenti, ma anche ai costi operativi e di manutenzione – sembra aver accelerato: entro il 2019 potremmo perdere fino a 9 milioni di barili di greggio al giorno, ha dichiarato di recente Ben Luckok di Trafigura”.

Il “problemino” accantonato con sufficienza ritorna con la durezza dei fatti (che, come dicono gli inglesi, “hanno la testa dura”):

Naturalmente ci sono anche lo shale oil e altre risorse non convenzionali, su cui l’analisi di Rystad sulle scoperte non si sofferma. Ma il loro contributo non sarà sufficiente, anche se negli Usa i frackers sono tornati a spendere a piene mani, con risultati immediati sulla produzione. Negli Usa – proiettati l’anno prossimo a raggiungere 10 mbg di produzione – all’incirca due barili su tre provengono da aree di shale. Queste forniture tuttavia rappresentano non più del 6-7% dell’offerta globale. Non solo. I pozzi dello shale oil entrano in funzione in tempi brevi, ma si esauriscono anche rapidamente”.

L’articolo di Bellomo si ferma qui. Quasi come le scoperte di nuovi giacimenti. “Sarà indispensabile trovare e sviluppare nuovi giacimenti”, ma nessuno – nemmeno tra i più esperti addetti al settore – sa dove e quando saranno trovati. Se esistono…

 

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

3 Commenti


  • Mauritius

    se sparisce il petrolio o si riduce scompare anche prima che lo facciano scomparire Cina e Russia il sistema del petrodollaro che ha portato tanta violenza e fascismo e sfruttamento in tutto il mondo
    devo dobbiamo esserne preoccupati???
    Il problema che la caduta o meglio il ridimensionamento porta sempre con se una definizione di nuovi processi produttivi e ovviamente di valutazione e costruzione di un sistema anche redistributivo della ricchezza e reddito
    se i cittadini del mondo soprattutto coloro che sono esclusi dall’attuale sistema capitalistico folle e violento riusciranno a cogliere la possibilità….potrebbe essere una benedizione il crollo del sistema del petrolio e del petrodollaro
    altrimenti cambieranno decine di fattori ma l’1% avrà sempre quasi tutto a discapito degli altri


  • e

    dovrebbe costare 300 dollari al barile il petrolio


  • emanuele vazzari

    l’1 % avrà in ogni caso il suo se continuiamo ad osannarli e permetterglielo. Ricordiamo che enorme fetta della polizia e buona parte dell’esercito sono con questi 1% e facciamoci i conti della grande organizzazione che ce ne vuole per consentire la redistribuzione equa: con a ognuno il suo

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *