Le mani sulla città. Napoli galleggia su acque sempre più agitate: un’ondata di dimensioni gigantesche – 150 mln circa di debiti da pagare, senza esserne responsabili – rischia di travolgerne il già fragile equilibrio economico e di portarla al fallimento e al commissariamento, dopo la fase di pre-dissesto. Oggi siamo chiamati a difenderci, a difendere Napoli da chi la vorrebbe in ginocchio: per questo ricostruiamo in sintesi il processo che ha portato a questo punto.
In principio fu il taglio ai trasferimenti
I problemi finanziari dei Comuni italiani, e in particolare di Napoli, non iniziano con i debiti ingiusti, ma con i parametri sempre più stringenti di bilancio per rispettare gli assurdi, insostenibili e ingiusti vincoli del patto di stabilità europeo, quello che ci impone di non superare il 60% del rapporto debito/PIL e di rimanere sotto al 3% del rapporto deficit/PIL. Dal 1999 si è iniziato tagliando sui posti di lavoro e bloccando il ricambio dei pensionati, ottenendo il risultato di perdere centinaia di migliaia di posti di lavoro in settori strategici come Sanità e Istruzione. Successivamente si è passati a bloccare le spese in investimenti – che devono necessariamente essere ripagate in più anni – autorizzando solo quelle correnti, finanziate con le entrate correnti. In pratica se un Comune è virtuoso e risparmia non può utilizzare i soldi accumulati per fare qualche spesa in più l’anno successivo: deve versare tutto alla Tesoreria centrale dello Stato. Infine si è passati ad un puro e semplice taglio dei fondi agli enti locali: la stessa Corte dei Conti ha certificato che in 7 anni (2008-2015) i Comuni italiani hanno perso 40 miliardi.
Dal momento che lo Stato toglie i soldi ma i servizi restano gli stessi, tutti i Comuni – Napoli compresa – in questi anni hanno aumentato tutte le imposte, arrivando ai livelli massimi consentiti. Di fatto lo Stato toglie con una mano, con l’altra ti impone di raccogliere e poi si appropria dell’eventuale attivo di cassa: una rapina a mano armata. Con i soldi diminuiti tutti gli Enti locali devono fronteggiare le spese ordinarie relative alla manutenzione, all’illuminazione, alle scuole, all’assistenza sociosanitaria, alla raccolta rifiuti e via discorrendo. Che un Comune svolga questo tipo di esercizio direttamente o tramite una partecipata non conta nulla, dal momento che la partecipata riceve i finanziamenti direttamente dall’Ente. Eccoci così arrivati agli ultimi anni: i Comuni hanno sempre meno soldi dallo Stato, i servizi non sono diminuiti (ma sono peggiorati), le entrate non possono aumentare perché sono al massimo. Chi non ce la fa a rientrare finisce nel cosiddetto pre-dissesto e deve aderire ad un piano di riequilibrio controllato dalla Corte dei Conti che dura 5 anni; se salta anche questo si viene commissariati. A pagarne le conseguenze più gravi sono i Comuni delle Regioni più povere, dove evidentemente le entrate non sono sufficienti a coprire le spese. La maggior parte dei Comuni in deficit, in pre-dissesto o in dissesto, infatti, si distribuiscono tra sud e isole, ed è una leggenda per allocchi quella del sud sprecone: ad essere ridotta a colpi di mannaia è infatti, come abbiamo detto, principalmente la spesa sociale e quella per investimenti.
Ncopp ‘o ccuotto acqua vulluta: i costi della ricostruzione e dei rifiuti
Ma perché Napoli è finita in pre-dissesto? Avete visto, per caso, spese pazze negli ultimi anni? Noi no, anzi, ne abbiamo reclamato molte di più, mentre invece, anno dopo anno, si tagliava sempre qualcosina, dai trasporti ai servizi sociali, passando per la messa in vendita di pezzi importanti di patrimonio – le quote dell’aeroporto e la rete gas. Un Comune fin troppo virtuoso, per i nostri gusti. Allora? La mannaia principale ricaduta sulla città prende un nome strano, CR8: per capire di che si tratta dobbiamo tornare al terremoto del 1980. Nel post-terremoto la ricostruzione fu affidata ad un commissario straordinario che la divise in lotti e consorzi. Alcuni pagamenti, come quello per il consorzio CR8, non sono mai arrivati: il consorzio ha fatto causa e l’ha vinta, giustamente. Dovrebbe pagare lo Stato, dal momento che le spese furono determinate dal commissario, ma dal momento che l’intestazione formale era al Comune di Napoli, quei pagamenti devono essere formalmente fatti da Palazzo San Giacomo. Insomma, il Comune dovrebbe pagare, ma i soldi dovrebbe girarglieli lo Stato…che non l’ha mai fatto. Risultato: 114 milioni di debiti che l’ente locale non ha mai contratto e che rischiano di far accappottare un Comune che, come la Corte dei Conti stessa riconosce, ha, nei limiti del possibile, ridotto in parte il deficit accumulato, comunque pregresso alle ultime amministrazioni.
A questo debito, infatti, si aggiunge quello, di una cinquantina di milioni circa, relativo alla cosiddetta emergenza rifiuti, quindi sempre qualcosa che altri avevano contratto e che l’ultima amministrazione deve pagare. Non stiamo qui a ricapitolare le complesse vicende relative all’iscrizione in bilancio o fuori bilancio delle passività, le sanzioni ricevute e quant’altro perché, al netto degli aspetti formali, il dato resta quello appena esposto: la terza città d’Italia viene coscientemente trascinata verso il fallimento a causa di un debito che per l’80-90% spetterebbe allo Stato pagare. Questa situazione è nota da anni, ma nessuno ha mai voluto intervenire per risolverla, ignorando le sollecitazioni del Sindaco: al netto dei giudizi sull’Amministrazione, è evidente che ciò è avvenuto per questioni di schieramento politico e per il fatto che l’attuale Amministrazione si pone, a volte anche aldilà della sua volontà e dei suoi stessi atti, su un piano di incompatibilità con gli indirizzi di governo.
Alla vigilia di Pasqua, il Comune ha quindi dovuto approvare un bilancio duro, che ancora una volta mortifica la città e i suoi abitanti, e ha dovuto mettere in vendita addirittura il palazzo sede del Consiglio Comunale, a Via Verdi: non serve altro per rendersi conto della gravità della situazione e della necessità di mobilitarsi tutti.
Oggi non è in discussione la condivisione o meno delle scelte politiche e amministrative di Giunta di questi anni; oggi il tema all’ordine del giorno è il possibile fallimento della terza città d’Italia, in un contesto di crisi economica ed occupazionale ormai immanente, nel Paese ma soprattutto al Sud, con conseguenze drammatiche sul piano sociale. Una città, la nostra, che oltretutto mostra agli occhi di tutti di aver intrapreso un cammino di riscatto e rinascita nonostante il contesto economico, l’eredità del passato, alcuni errori e contraddizioni. Che fosse proprio questo suo rappresentare, più o meno a ragione, un’alternativa ad essere inviso agli occhi di chi comanda? Non lo sappiamo, ma intanto abbiamo bisogno di muoverci in fretta e di capire come farlo dopo.
Che cosa faremo a difesa della nostra città
Se avete letto fin qui condividerete con noi l’urgenza della mobilitazione. Il primo passo da compiere, quindi, è semplice: riempire Piazza Municipio il 14 Aprile prossimo, continuare a partecipare in seguito. Studenti e studentesse, lavoratrici, lavoratori, soggetti precari, disoccupate e disoccupati, tutti siamo coinvolti in questo percorso di resistenza che può finire solo quando avremo raggiunto il nostro primo obiettivo: non pagare il debito ingiusto, non morire di debito!
Per questo ci mobilitiamo da subito e saremo presenti in ogni luogo ed ogni momento, per gettare via il peso di questi ingiusti 114 milioni che rischiano di strangolarci.
Ma questo è solo il primo passo.
Abbiamo il compito di gettare le basi per una mobilitazione che sappia andare oltre il 14 e sia preparata a combattere a lungo. La sollevazione popolare, infatti, e in particolare lo sviluppo di forme di resistenza e autorganizzazione dal basso sono l’unica strada percorribile per invertire la rotta. Non è pensabile un’alternativa di fronte a vincoli finanziari che sono frutto di decisioni prese a livello europeo, non c’è un modo ordinario, amministrativo, per liberarsi dallo strangolamento del debito: solo le lotte ci fanno vincere. Per questo riteniamo che la data del 14 debba essere, per i movimenti sociali, i lavoratori, le migliaia di persone che attraversano i tanti spazi liberati di questa città un punto di partenza per un percorso di colossale attivazione di forze, che porti alla costruzione di percorsi di mutualismo, autogestione e autodifesa rispetto agli attacchi economici e finanziari del capitale.
Abbiamo bisogno di una sollevazione straordinaria, che parta dal 14 ma che si strutturi per durare oltre il 14, perché anche se vinciamo questa battaglia rimane da combattere un’intera guerra, quella contro la logica che vuole i profitti prima delle persone, che spinge strati sempre più vasti di popolazione alla miseria e all’abbandono in nome di inutili regole di bilancio, quella che vorrebbe le nostre città trasformate in alveari composti da tanti spazi separati di segregazione.
Noi tutti, invece, a Napoli, stiamo già costruendo un modello di città nuovo, liberato, ribelle, e non ci lasceremo sconfiggere senza lottare: in piazza tutte e tutti, quindi, da adesso fino alla cancellazione del debito! MOBILITAZIONE SOCIALE PERMANENTE!
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