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Nel Sannio arriva una fabbrica di automotive cinese

Nel pieno dell’emergenza coronavirus, in cui la Cina ha già avuto modo di rifornire l’Italia con attrezzature e consulenze sanitarie, spunta nelle cronache locali campane e su qualche notiziario economico di settore una notizia che coinvolge ancora una volta il “dragone”: un’azienda privata di Shangai, la TJ Innova Engineering & Technology Co Ltd, operante in ambito automotive, in cui è specializzata  in ricerca, sviluppo e progettazione di automobili, nonché in produzione di componentistica ad alta tecnologia, aprirà uno stabilimento nel beneventano, per un investimento dell’importo di 300 milioni di euro.

Lo ha reso noto il presidente dell’Area di Sviluppo Industriale (Asi) di Benevento Luigi Barone, il quale, in una nota, ha reso noti alcuni dettagli:” Il primo passo é stato fatto. Sarà possibile avviare una produzione di auto ibride ed elettriche made in Benevento. E’ stata firmata la lettera d’intenti tra il Consorzio di sviluppo industriale sannita e i vertici dell’industria cinese Tj Innova Engineering & Technology.

L’investimento sarà di 300 milioni di euro e sorgerà in area Asi di Benevento su di un lotto di 250mila metri quadrati, con una produzione annua stimata intorno ai 200.000 veicoli, e la creazione di 300 posti di lavoro. L’industria cinese, Tj Innova, ha definitivamente scelto Benevento per proporre un contratto di sviluppo, che consente alla Campania e al Mezzogiorno, in un momento drammatico per l’economia, di mettere a fuoco una strategia di crescita nel settore dell’automotive ed in particolare per la produzione di macchine non inquinanti”.

La rilevanza pratica della notizia è data non dal volume dell’investimento previsto, bensì dal contesto in cui essa è inscritta. Siamo, infatti, in un momento in cui non si riescono nemmeno ancora a stimare le perdite in termini di posti di lavoro e di prodotto interno lordo causati della crisi pandemica all’economia italiana; nel mentre le istituzioni, oramai screditate, sono impegnate in un tira e molla dalle conseguenze potenzialmente catastrofiche sulle modalità di fine del lock down e, probabilmente, il governo non riuscirà a cavare un ragno dal buco dalle contrattazioni in sede europea, se non altri prestiti a condizioni draconiane.

Come un fiore in un deserto industriale, pertanto, arriva un investimento in un settore ad alta intensità tecnologica ed “energia pulita” in Italia meridionale.

Sebbene si tratti di un’azienda privata, non è difficile vedere l’operazione come parte di una strategia politicamente indirizzata da parte cinese, volta a sviluppare la cooperazione bilaterale con un paese, come l’Italia, sostanzialmente abbandonato nella tempesta della pandemia dai presunti alleati del nord Europa e il cui settore produttivo è da anni falcidiato dal tritacarne dei processi di centralizzazione a trazione nord-europea, che lo relegano ad un ruolo subordinato.

Mentre si prepara ad uscire dalla pandemia meglio di tutti gli altri competitori internazionali, dunque, la Cina, sotto la guida politica del Partito Comunista Cinese, sviluppa le proprie politiche di cooperazione internazionale sotto traccia, fornendo non solo aiuti sanitari, ma anche sponde pratiche a quei pezzi di borghesia messi in difficoltà dai processi di centralizzazione in atto nel vecchio continente; questi pezzi di borghesia, per altro, già in alcune occasioni hanno esplicitamente indicato nel gigante cinese un’ancora di salvezza in grado addirittura di implementare un new deal di ricostruzione economica per l’Italia (ad esempio Massimo Cacciari).

Non si tratta, dunque, chiaramente, di un atto di internazionalismo proletario, poiché avviene sempre negli schemi dei rapporti economici internazionali vigenti; tuttavia va colta come una sponda offerta per uno sganciamento dai meccanismi infernali dell’Unione Europea che potenzialmente apre spazi politici anche alle forze di classe delle aree da essi più penalizzati, ovvero quelle dell’area mediterranea.

Sta a noi, dunque, forzare l’orizzonte e indicare obiettivi di sganciamento dall’UE che, seppure non immediatamente alla portata per ragioni di rapporti di forza, diventano sempre più di concreta attuabilità dati i nuovi assetti internazionali in via di definizione a causa della crisi pandemica.

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