San Giovanni a Teduccio è un quartiere alla periferia Est di Napoli. C’erano le fabbriche, c’era l’industria. L’Officina Ferroviaria di Pietrarsa data addirittura 1840, prima dell’unificazione dell’Italia. Poi la Corradini nel 1882, la Cirio nel 1900, la Comanducci, la Società Meridionale di Elettricità che costruisce la centrale elettrica Capuano.
Dove c’erano 100.000 operai, oggi c’è una disoccupazione che sfonda il muro del 40%. Dove il PCI conquistava il 63% dei voti, nel 2018 il M5S ha toccato la vetta del 61%, ma in un mare di astensione.
Stamattina in uno dei luoghi simboli del quartiere di oggi, l’Archivio dell’ENEL, ho potuto toccare con mano alcune delle contraddizioni fortissime che scuotono questo cielo. Un Archivio sulla storia dell’elettrificazione della città, con documentazione proveniente anche da Venezia, con la storia di alcuni eventi spartiacque, come il crollo del Vajont.
Un pezzo di memoria che però ENEL ha deciso di dismettere. Quei documenti, quei materiali sono oggi a languire presso la Mostra d’Oltremare a Fuorigrotta. Invisibile alla città. Eppure per San Giovanni a Teduccio i politici parlano di riscatto da fondare su cultura e nuove tecnologie. Ma nessuno muove un dito perché l’Archivio possa riaprire, magari in uno dei tanti luoghi storici della zona che il Comitato Civico di San Giovanni ha individuato nel corso degli anni.
Le contraddizioni, però, non finiscono qui. Stamattina dinanzi all’edificio dell’ENEL ero con i lavoratori della Hexiss, azienda in appalto dell’ENEL. 38 dei suoi dipendenti sono a rischio di perdere il lavoro una volta che il 30 giugno – tra meno di 2 settimane! – scadrà l’appalto. Nessun rinnovo in vista e la sola possibilità di accettare la ricollocazione da parte della Cosmopol su altri siti e verosimilmente a condizioni contrattuali peggiorative. Insomma, o bere o affogare: o accettare un posto di lavoro più precario, con meno stipendio e meno diritti, oppure quella è la porta che conduce a una disoccupazione già odiosa, soprattutto nei quartieri popolari.
L’ENEL in un documento del 2015 sosteneva che la chiusura dell’Archivio fosse dovuta in parte anche all’impossibilità di lanciare un progetto culturale in un territorio tanto degradato. Si tratta della terra che la stessa ENEL ha però contribuito a “degradare”, anche dal punto di vista ambientale. Detriti, materiali di risulta che a tutt’oggi costituiscono un fardello per questo pezzo di città e di Regione sono anche responsabilità di queste imprese che puntualmente fanno i bagagli e vanno via, lasciando solo devastazione, sociale e ambientale.
Se ci fosse una classe dirigente degna di questo nome chiederebbe il conto, inchioderebbe i responsabili. Li lascerebbe anche andar via, ma non prima di aver restituito almeno in parte ciò che hanno preso da questa terra, dai suoi uomini e dalle sue donne.
Se ci fosse una classe dirigente degna di questo nome raccoglierebbe la sfida e le sue molteplici dimensioni. Ascolterebbe il grido di allarme dei 38 lavoratori Hexiss o la voce di Enzo Morreale, del Comitato Civico. Parole diverse, ma la stessa lingua. Quella che crede che il declino non sia destino inarrestabile, che non vuole che camorra ed emigrazione siano sbocchi unici per i tanti giovani. Se ci fosse una classe dirigente prenderebbe per le corna la crisi, si metterebbe ad ascoltare, a studiare, a sperimentare nuove vie.
Una classe dirigente degna di questo nome non c’è. Nessuno farà quello che serve. O ci mettiamo in testa che dobbiamo essere noi, con tutti i nostri limiti, le nostre incapacità, la nostra inesperienza, a farci classe dirigente e a prendere in mano le sorti di San Giovanni a Teduccio come di tutta la nostra terra, ad attuare una vera transizione ecologica, oppure potremo solo rassegnarci a guardare la luna e a imprecare contro il destino cinico e baro che ci ha regalato tempi che dire duri è poco.
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