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Emilia Romagna. Cosa dicono i dati sullo sviluppo industriale

Insieme a Veneto e Lombardia, l’Emilia-Romagna scala i vertici europei per quanto riguarda l’export. È il sole 24 ore a riprendere la notizia grazie ai dati pubblicati lo scorso luglio all’interno dell’ultimo Annuario Ice-Istat sul commercio estero italiano.

A livello mondiale l’Italia è la decima potenza esportatrice ed è superata in classifica dalla Germania che è terza dietro gli Usa e la Cina; la Francia occupa il quinto posto e la Gran Bretagna si posiziona ottava in classifica. La Spagna ricopre invece il sedicesimo posto. Negli “equilibri” del mercato interno all’ Unione Europea, tra i suoi competitor (Germania, Francia, Spagna e Gran Bretagna) l’Italia perde quindi la sfida insieme alla Spagna.

Ma nonostante l’Italia sia “ultima tra primi”, a causa di un deficit ormai decennale di politica industriale dovuto dal vero e proprio disastro creato nei settori strategici dalle privatizzazioni, un  lavoro congiunto elaborato da Ice, Università dell’Aquila e Università di Bari riesce a ribaltare la frittata e estrarre un dato politico e ammaliante. Basta usare la statistica, e cambiare i confini del territorio europeo, ed ecco che alcune zone del nostro Paese salgono in pole position: cinque paesi dell’Unione Europea sono stati divisi in 77 regioni territoriali ed ecco che alcune delle regioni italiane scalano vertiginosamente le classifiche europee “con 112 miliardi di export all’anno, di 77 regioni la Lombardia è la quarta area più esportatrice d’Europa dopo i colossi tedeschi rappresentati dalle regioni di Baden-Wurttemberg, Baviera e Renania settentrionale-Vestfalia”. Ed ecco quindi che da “ultimi tra i primi” alcune parti dell’Italia sono un po’ meno ultime tra ultimi.

Tornando a noi, la regione Emilia Romagna conquista invece il primato italiano se osserviamo Il valore dell’export in relazione alla sua capacità di generare benessere. Il contributo che le esportazioni sanno fornire al reddito dei cittadini è rappresentato dall’export pro capite che è ottenuto dividendo il valore delle esportazioni di una regione con il numero dei cittadini che vi abitano. L’Emilia Romagna, con 12.525 euro all’anno è la prima regione italiana seguita dal Veneto con 11.762 euro. Considerando che l’export medio pro capite delle 77 regioni è di 7.553 euro, l’Italia conta almeno tre regioni che riescono a generare quasi il doppio.

Il presidente della regione Emila Romagna, Stefano Bonaccini, commentando la notizia ha dichiarato “è la prova che davvero l’Emilia-Romagna, coesa e solidale, compete con le aree più avanzate a livello europeo e internazionale, grazie all’impegno comune portato avanti attraverso il Patto per il Lavoro sottoscritto con imprese, sindacati, territori, Università e Terzo settore.” Ma di cosa si tratta esattamente è presto detto. Il Patto per il lavoro è un documento siglato il 20 luglio 2015 con cui la Regione e le parti sociali coinvolte (evidentemente con quelle concilianti) si sono impegnate a contribuire al rilancio dello sviluppo e dell’occupazione in Emilia-Romagna. Si aspira ad un’economia forte, aperta, sostenibile e globale (gli slogan di moda in questo decennio) attraverso investimenti sui settori trainanti dell’economia regionale (le cosiddette strategie intelligenti, ideate dall’Unione Europea, che per la regione consistono in sistema agroalimentare, sistema delle industrie e delle attività dell’edilizia e delle costruzioni, sistema della meccatronica e della motoristica); attraverso politiche a sostegno delle piccole imprese e di quelle che operano nei settori dei servizi alle imprese e nel sistema logistico e nella rete di trasporto delle merci.

Di carattere strategico è la pianificazione del rilancio del settore manifatturiero per cui l’Emilia Romagna è ormai candidata a rappresentare la punta più avanzata a livello nazionale. Dalla regione sono già stati messi a disposizione 50 milioni di euro alle imprese artigiane che decideranno di investire su internazionalizzazione e innovazione tecnologica grazie ad un accordo siglato lo scorso maggio tra Emil Banca, Lapam Modena e Reggio Emilia, Confartigianato Bologna Area Metropolitana, Ferrara e Parma. La cosiddetta Industria 4.0 insomma, che dovrebbe moltiplicare i profitti e diminuire l’occupazione (leggi qui).

Notizia di questi giorni è l’intenzione di far decollare anche in Emilia-Romagna un distretto aerospaziale di prestigio in ambito nazionale e comunitario. Nasce così il progetto chiamato “Fly.ER” (una nuova “value chain” dedicata ad aeronautica e aerospazio all’interno del Clust-ER, meccatronica e motoristica) per mettere a sistema quanto già esiste tra atenei, imprese e centri di ricerca e consolidare una nuova partnership strategica territoriale. A Forlì è stato istituito un nuovo tecnopolo, un polo gravitazionale importante nel panorama della ricerca pubblica nazionale sia per formazione sia per innovazione nell’aerospaziale e la Regione ha recentemente investito 10 milioni di euro tra attrezzature e programmi di ricerca (oggi nel tecnopolo lavorano oltre 50 ricercatori). E poi ci sono due cluster di imprese: IR4i e Anser. R4i è il primo distretto aerospaziale della regione, nato nel 2011 che oggi raggruppa 29 aziende (2mila addetti, mezzo miliardo di ricavi). Anser (Aeronautics and space in Emilia-Romagna) è la nuova associazione di una decina di aziende, capitanata da Curti Spa azienda storica nel settore della meccanica.

Ma dietro questi numeri, e questi programmi è bene sottolineare cosa succederà per chi lavora e vive in regione, e non è un industriale o un dirigente. La manifattura lavora in settori soprattutto ad alta intensità di sfruttamento della manodopera, basti pensare allo sfruttamento intensivo dei facchini dei grandi centri logistici di Piacenza o della stessa Bologna; così come dall’altra parte osserviamo la ristrutturazione attuata nell’Università bolognese per costituire un polo d’eccellenza con caratteristiche ben precise di aziendalizzazione ed elitarie per formare la classe dirigente. Il territorio emiliano romagnolo rappresenta uno snodo strategico di livello nazionale per giocare la partita all’interno dell’Unione Europea. Ma nonostante Bonaccini si conceda tutti i meriti del caso in partenza, il capitale della regione deve fare i conti con un quadro nazionale che dipende da fattori industriali, politici, sociali e internazionali assai complessi e con un sistema produttivo che è subalterno agli interessi del grande capitale centro europeo.

 

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