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Lettera aperta ai sindaci dell’Unione dell’Appennino bolognese

Gentili sindaci,
Riprendiamo parola a seguito della replica del Sindaco di San Benedetto Val di Sambro e del Presidente dell’Unione dei sindaci dell’appennino bolognese per ribadire nuovamente i nostri intenti e le motivazioni che ci hanno spinto nelle scorse settimane a prendere posizione sull’offerta di soluzioni abitative per studenti sugli appennini.
Non abbiamo nessun problema nei confronti di San Benedetto Val di Sambro né dei suoi abitanti, come nei confronti di qualsiasi altro territorio che subisce gli effetti di processi che portano allo spopolamento e alla mancanza di risorse.
Ci chiamiamo “NOI RESTIAMO” proprio perché abbiamo deciso di restare nel nostro “paese periferico” – l’Italia – combattendo contro l’emigrazione giovanile di massa, prodotta dalla mancanza di possibilità di costruirsi un futuro qui, che ci costringe a tentare una fortuna statisticamente irreale nei grandi centri produttivi dell’Unione Europea: Germania e paesi nordici in primis.

Ma tornando sul merito della questione: la nostra denuncia era, ed è, tutta rivolta nei confronti di un sistema, incarnato dall’amministrazione bolognese targata Partito Democratico, che da anni porta avanti un progetto di riorganizzazione e messa a valore della città che la rende sempre più inaccessibile.
In questo processo trova terreno fertile l’aspirazione dell’Università di Bologna di affermarsi sempre più come ateneo internazionale di prestigio, grazie anche ad una ineguale redistribuzione dei finanziamenti pubblici a discapito delle altre università dello stivale, specialmente quelle meridionali.
L’intersecarsi di questi due piani, l’attrattività internazionale del polo universitario bolognese e l’espulsione delle fasce popolari dal centro città come ormai anche dalla prima periferia, genera tutta una serie di effetti di cui la questione abitativa è solo la più evidente e lacerante. A tal proposito, per dare un’idea di quanto il problema abitativo sia pubblicamente noto e riconosciuto, citiamo proprio le parole usate “contro di noi” da Maurizio Fabbri, presidente dell’Unione dell’Appennino bolognese, che ha lanciato l’idea di estendere l’iniziativa anche a famiglie e lavoratori:

“C’è infatti una vasta fascia di famiglie monoreddito ma anche con due stipendi che non rientrano nei canoni previsti per ottenere un alloggio di edilizia popolare, ma al tempo stesso, se non sono proprietari di un immobile, faticano sempre di più ad arrivare a fine mese pagando l’affitto. A fronte di una città sempre più costosa (ma anche i comuni della cintura hanno dei canoni d’affitto piuttosto alti) è giusto che le famiglie sappiano che in Appennino un alloggio per quattro persone costa indicativamente sui 300 euro”

Viene così svelato il segreto di pulcinella: esiste un numero cospicuo di persone che paradossalmente sono troppo ricche per avere una casa popolare, ma allo stesso tempo troppo povere per permettersi una casa a valore di mercato, non solo in centro ma anche nei comuni limitrofi.

Sul piano cittadino sono diverse le soluzioni che potrebbero fare fronte al problema: investimenti e non svendita dell’edilizia popolare, riconversione degli stabili abbandonati, etc… Tutte istanze che il movimento per la casa rivendica da sempre, e di cui ci onoriamo di aver sostento le dure lotte degli anni passati, la nostra storia come realtà giovanile nasce proprio dentro le mura dell’occupazione di Via Irnerio 13.
Le soluzioni necessarie per gli studenti universitari non sono dissimili, ma anche qui i progetti di chi detiene le redini del potere vanno nella direzione opposta agli interessi di chi non si può permettere centinaia di euro di affitto. Così viene lasciato per strada anche un numero che cresce anno dopo anno di idonei agli alloggi ma per i quali non esiste posto (quest’anno siamo a quota 600).

La questione è strutturale e riguarda l’esistenza di studenti poveri così come di lavoratori poveri che sono sistematicamente espulsi da una città sempre meno accessibile per le classi popolari. Il problema di studenti e famiglie che, anche avendo più di un reddito, non riescono a permettersi una casa a Bologna non può essere risolto trasferendo queste persone a decine di chilometri di distanza dai luoghi di lavoro o di studio. Sicuramente per alcuni vivere sull’appennino rappresenta un sogno, tuttavia riteniamo che per molti di coloro che lavorano o studiano a Bologna questa decisione sarebbe un’imposizione dovuta all’impossibilità materiale di trovare una soluzione alternativa.
Ma le soluzioni si potrebbero mettere in campo, comporterebbero investimenti in edilizia residenziale pubblica, in studentati pubblici, la regolamentazione del mercato degli affitti privati; tuttavia questi interventi richiederebbero l’idea di una città diversa, attenta alle esigenze di chi la vive ogni giorno, piuttosto che a quelle di chi viene in città per spendere e andarsene il secondo dopo.

È quindi in questo quadro che si inserisce l’accordo fra il comune di San Benedetto Val di Sambro ed Er.Go. Da parte dell’ente per il diritto allo studio c’è un tentativo di lavarsi le mani dalle responsabilità rispetto all’attuale crisi abitativa, non facendo investimenti ma affidando di nuovo al mercato privato la risoluzione di una crisi che lo stesso mercato ha prodotto. Dall’altra parte, per il comune di San Benedetto, e per gli altri comuni dell’area, si intravede la speranza di trarre nuova linfa dall’arrivo di studenti in un paese dell’Appennino creando l’illusione di ripopolamento e allo stesso tempo conquistando una leva per richiedere maggiori fondi e maggiori servizi da parte della città metropolitana di Bologna.

Siamo consci delle difficoltà che affrontano quotidianamente i piccoli centri, ma sappiamo anche che i responsabili di questo impoverimento sono quelli che si ricordano dell’esistenza delle periferie solamente quando c’è la possibilità di mettere a profitto quelle aree, mentre le lasciano all’abbandono quando questa possibilità non si presenta.
Lo ripetiamo: crediamo che i fondi necessari e i servizi debbano essere messi a disposizione di tutte le realtà e dei cittadini che le abitano, indipendentemente dalla possibilità di ricavarne del profitto. Crediamo che la responsabilità della desertificazione che vivono paesi come San Benedetto e l’emergenza abitativa in corso a Bologna siano il prodotto dello stesso sistema che crea meccanismi di polarizzazione tra centro e periferia in ogni ambito e ad ogni livello, trasformando Bologna in una città-vetrina, accessibile solo ai ricchi e ai turisti, espellendo di fatto al confino tutte le fasce sociali meno abbienti. Non è dunque una questione di categoria – studenti o lavoratori – ma di classe sociale.

Concludiamo dandoci disponibili al dialogo, se ce n’è l’interesse, perché crediamo che la matrice dei problemi appena esposti sia comune e non crediamo che raccogliere le briciole che arrivano dall’alto sia una soluzione reale per risolvere i problemi che affliggono le periferie e la provincia, così come i problemi delle fasce più deboli della popolazione cittadina e studentesca.

 

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