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Lo sviluppo della pianura padana, dalle risaie agli hub della logistica

Alle porte di Bologna, un altro tassello si aggiunge al progetto di trasformazione della pianura padana da granaio d’Italia a polo logistico del sud europa nel XXI secolo.

Negli ultimi 5 anni solo lungo l’autostrada A13 sono spuntati diversi progetti di cementificazione di suoli agricoli perfettamente coltivati per dare spazio a grandi hub della logistica. Una tendenza comune in tutta la pianura padana, dal varesotto al comasco, dal piacentino al polesine, che sta svendendo ettari e ettari di terreni agricoli al miglior costruttore offerente, per conto spesso multinazionali come Amazon, o colossi come Ikea, GLS, Despar, ecc., distruggendo il territorio, la sua storia, il lavoro e quel poco di poco biodiversità rimasta negli angoli più periferici della pianura padana.

Solo Amazon negli ultimi anni è entrata in possesso di enormi stabilimenti a Castel S. Giovanni (PC), Passo Corese (RI), Vercelli, Torrazza Piemontese Avigliana (TO), Brandizzo (TO), Buccinasco (MI), Burago (MB), Calenzano (FI), Casirate d’Adda (BG), Crespellano (BO), Fiano Romano (RM), Origgio (VA), Roma Magliana e Vigonza (PD).

Alle porte di Bologna, dopo il progetto di allargamento del polo logistico dell’interporto (che dovrebbe passare dai 300 ai 400 ettari), un nuovo progetto approvato dalla Città metropolitana di Bologna lo scorso novembre, approda tra i comuni di Altedo e S. Pietro in Casale, e prevede la nascita di un nuovo polo adiacente all’autostrada di quasi 100 ettari, attualmente occupati da seminativi, alcuni ettari di aree umide da anni vincolate per la tutela naturalistica e alcune delle ultime risaie ancora attive della regione.

Si tratta di un “piccolo” progetto, se paragonato a quanto è già stato fatto nel nord-ovest, ma di certo l’Emilia Romagna non vuole rimanere indietro rispetto nel tentativo di rimanere tra le regioni del ricco Nord Italia, sempre più votato all’export o svenduto a partner stranieri.
Si tratta però di un progetto che va a toccare dei nervi identitari di una terra strappata all’acqua col sudore degli scariolanti, che armati di cariole hanno scavato canali e costruito cavedagne, e di un popolo che ha sempre lottato per l’emancipazione dell’uomo e della natura.

Le risaie, per oltre un secolo unica fonte di sostentamento per alcuni e di ricchezza per altri, dove le mondine, lavoratrici e staffette partigiane hanno piegato la schiena prima e alzato la testa poi, dove uomo e natura hanno trovato un faticoso compromesso per sopravvivere all’epoca del tutto 4.0.

A difendere il territorio si sono mobilitati gli attivisti dell’Associazione Primo Moroni, storica associazione popolare che in tutti questi anni attraverso la loro casa del popolo sono rimasti punto di riferimento per i cittadini e per le realtà politiche e sociali di Bologna, e che oggi fanno appello a tutte le forze sociali e politiche per salvare un pezzo di pianura che rappresenta per la regione, un pezzo importantissimo di identità storica, culturale, economica e sociale, contro una visione di sviluppo distorto, antipopolare, che violenta le culture, cancella i ricordi, e calpesta i diritti (FIRMA LA PETIZIONE).

Al di là del portato storico e culturale che questo progetto potrebbe cancellare con un una grande colata di cemento, con un enorme perdita di biodiversità all’epoca della tanto sbandierata questione ambientale, ad li là della speculazione edilizia avvallata da una legge regionale sull’urbanistica tra le peggiori d’Italia, che cancella per sempre il concetto di pianificazione del territorio a favore della singola progettualità (privata) che porti profitto a qualcuno, l’unica promessa che le istituzioni fanno, è quella di meno di 2000 posti di lavoro, sottopagati e sfruttati che ben conosciamo tra i poli della logistica già attivi a poche decine di chilometri di distanza.

Oltre tutto, grazie alle politiche di green washing made in Bruxelles e recepite in pieno dalle politiche nostrane, per compensare la futura cementificazione del territorio, verrebbero realizzare anche delle piste ciclabili, per “consentire ai lavoratori di raggiungere il posto di lavoro in bicicletta”.

Oltre al danno la beffa è plurima insomma: una pista ciclabile che si innesta un percorso cicloturistico che mai sarà realizzato, e che al massimo ci farà vedere le scene novecentesche dell’Agnese va a morire” in versione postmoderna, dove al posto delle mondine in bicicletta lungo le cavedagne, o riunite in picchetto sotto alle querce e ai gelsi, si vedranno i giovani facchini in sciopero tra la pista ciclabile e l’autostrada.

Il nuovo canto di lotta delle mondine di Bentivoglio

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2 Commenti


  • Stefano Fatarella

    Domande da porci ? Che si sciolgano i ghiacci delle calotte e l’Adriatico faccia giustizia affogando quanto prima ratti, sorci, pantegane, zoccole e sorche che hanno divorato tutto. Di rosso Bonaccini e quel che resta dell’Emilia Romagna hanno solo il proprio culo peloso. La legge urbanistica che hanno approvato è il parto dell’inimmaginabile criminalità politica, ideologica, brutale che ci si poteva attendere in Lombardia. Altro che seghe, altro che Peep del centro storico di Bologna. Volgari soldi soldi soldi. Davvero: i danni immensi fatti da questi sottoprodotti del fu Pci sono incalcolabili. Il Pd deve morire, é il cancro camuffato da 25 aprile.


  • joker

    la padania o nord italia diventerà la hong kong d’europa, un luogo fantasma dove solo le merci saranno vive nel nulla, guardando un capanonne in cemento nel vento si ascolteranno i maliconici momenti felici di tradizione cancellati-soffocati per sempre dalle merde di politici venduti a germania e francia che ci hanno vendito fregandosene delle nostre radici, una piccola vigna rimane da potare un agricoltore anziiano torna a casa nessuno c’è ad aspettarlo i figli han fatto carriera nel limbo del progresso.

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