Anche il sindaco Lepore, presente a Milano a piazza Affari, ha festeggiato la notizia della quotazione in Borsa di BolognaFiere sottolineando l’impatto che la finanziarizzazione della Fiera avrà sui quartieri limitrofi.
Stiamo parlando naturalmente dei 2 quartieri coi redditi più bassi di Bologna, Navile e San Donato-San Vitale.
Quei quartieri che l’amministrazione considera luoghi da riqualificare attraverso abbondanti stock di milioni provenienti da PNRR e UE. Fossero destinati ad aumentare i servizi pubblici saremmo tutti d’accordo col sindaco: centri giovanili, luoghi di aggregazione per anziani oltre a fondi per la sanità di prossimità, per le scuole, per l’edilizia popolare e i parchetti di periferia.
Niente di tutto questo!
I fiumi di milioni di euro che si riverseranno nei nostri quartieri sono pensati per accrescere il prestigio (e quindi il valore delle azioni) del polo fieristico e per mettere in piedi il cosiddetto “polo della conoscenza”.
Sull’esempio del modello Milano, culla della versione italiana del neoliberismo, l’amministrazione stanzia fondi pubblici per costruire un contesto favorevole a grossi e impattanti investimenti privati mentre declama, attraverso la Fondazione Innovazione Urbana, l’avvento di un futuro scintillante per i quartieri nord e nord-est della città.
I cantieri pubblici infatti sono già pronti a partire.
C’è il museo dell’edilizia popolare, c’è il polo della memoria democratica al posto dell’XM24, la via della conoscenza, il polo dello sport al Dlf e il Mercato Sonato che dovrebbe lasciare spazio all’ennesimo hub di non si sa che cosa.
Poi ci sono gli spazi abbandonati della caserma Sani, della vecchia Casaralta e della manifattura tabacchi che secondo l’amministrazione sono ideali per accogliere le sedi delle nuove aziende del settore dell’intelligenza artificiale che dovrebbero arrivare a traino del tecnopolo.
Nel frattempo abbiamo già un assaggio degli effetti di questo scenario che possono solo andare ad aggravarsi. I prezzi degli affitti sono fuori controllo, il mercato del mattone inaccessibile, botteghe e bar che chiudono per lasciare spazio ad appartamenti per turisti a piano strada.
Lavoratrici e lavoratori, anche con lavori stabili, vengono sempre più spinti fuori dai confini di Bologna.
Non solo: in tendenza gli stessi servizi nei quartieri si plasmeranno in base alle necessità ed al portafoglio dei turisti diretti alla Fiera (o al museo delle case popolari!) e dei nuovi potenziali abitanti in giacca e cravatta, quegli studenti che oggi possono permettersi singole a partire da 600 euro negli studentati come Beyoo o The Social Hub.
In questo contesto la rigenerazione di cui parla la Fiub assomiglia piuttosto ad una “pulizia sociale” dei nostri quartieri in cui le famiglie e gli individui coi redditi più bassi non possono più permettersi un tetto e si spostano nelle fasce più esterne o addirittura fuori città.
Ultimo, ma non per importanza, insieme alla finanziarizzazione della Fiera arriva l’ennesimo ampiamento del cemento. La fiera avrà 70mila nuovi metri quadrati di spazi, di cui 30mila direttamente su suolo attualmente agricolo.
L’assessore Laudani promette la mirabolante cifra di 50mila metri quadri di verde sbloccati in cambio, ma ci permettiamo di dubitarne. Abbiamo visto in questi anni le “compensazioni” fatte sostituendo alberi decennali con piccoli fusti, di cui circa muoiono al primo freddo due su tre.
Soprattutto, non basta dire “nuove aree verdi” per compensare il consumo di suolo, serve un lavoro serio di ricostruzione del suolo, altrimenti è solo una patina di verde su vecchio cemento, che non svolge nessuna delle funzioni sociali ed ecologiche.
Pensare che questo tipo di modello rappresenti il futuro e il progresso della nostra città è non solo cieco ma soprattutto obsoleto e classista!
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