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4 novembre, Emilia-Romagna in mobilitazione per dire “soldi alla terra, non alla guerra!”

Nella giornata nazionale delle Forze Armate, che il Governo Meloni voleva rendere festività nazionale, diciamo ad alta voce che bisogna uscire dalla spirale bellica, e che dopo decenni di tagli e privatizzazioni bisogna invertire le priorità a capo dell’amministrazione della nostra Regione: destiniamo le risorse a un grande piano di manutenzione e alla salvaguardia dei territori, alla sanità e all’istruzione pubbliche, alle assunzioni dirette nel settore pubblico, al diritto alla casa, al welfare!

 

Per una regione de-militarizzata e senza servitù militari

La presenza bellica sul nostro territorio ha una storia lunga e profondamente legata alle politiche belliciste di internità alla NATO del nostro paese. Basti ricordare la base di Poggio Renatico, tra le più importanti nel Nord Italia e sede del Comando Operazioni Aerospaziali, e la base dell’aeronautica militare a Pisignano nel comune di Cervia, altro centro importante per l’Alleanza Atlantica e con un ruolo operativo rilevante nelle operazioni del 1999 in Ex Jugoslavia. Come lista impegnata nelle prossime elezioni regionali, lotteremo per eliminare le servitù militari dal nostro territorio.

 

Per la conversione dell’industria di guerra in attività produttive per il bene della collettività

Recentemente, inoltre, la struttura economica, tecnologica e scientifica della regione sta subendo una torsione alla riconversione verso l’economia di guerra che il governo nazionale ha imposto dal 2020. Sono molte le imprese che lucrano sulla nuova economia di guerra, tra cui le cosiddette “eccellenze regionali”: tra queste, Curti-Costruzioni meccaniche Spa, che riceve milioni di commesse dal Ministero della Difesa ed è stata premiata nel 2021 con il “Leonardo Suppliers Awards”. Ma la connivenza tra industria regionale e guerra è strutturale al sistema imprenditoriale regionale: non è un caso se il presidente di ASTIM Srl, azienda elettronica nel settore bellico, che poco dopo il 10 ottobre ripeteva in azienda “finchè c’è guerra c’è speranza”, sia presidente del Comitato Piccola Industria di Confindustria in Emilia-Romagna. La regione deve svolgere un’azione trasparenza di monitoraggio sulle imprese coinvolte nella filiera del complesso militare-industriale e lavorare con le sue agenzie per l’innovazione per la riconversione dell’industria di guerra in attività produttive al servizio della collettività.

Uno snodo centrale per la logistica di guerra, poi, è rappresentato dal porto di Ravenna. Qui vige una totale opacità rispetto ai trasferimenti di armamenti, eppure è stato documentato il transito della ZIM, nave israeliana di trasporto di materiale bellico. Insieme a studenti e lavoratori del porto, nell’ultimo anno abbiamo denunciato la complicità del nostro paese con l’invasione criminale di Israele in Palestina, e siamo pronti a continuare anche dalle stanze di Viale Aldo Moro la campagna di boicottaggio del trasporto di armi negli snodi logistici della regione, a partire dal porto di Ravenna.

 

Per lo sganciamento della ricerca dalle imprese belliche

Le mobilitazioni contro il genocidio in Palestina e in solidarietà alla lotta del popolo palestinese dell’ultimo anno hanno fatto emergere, da un lato, la presenza e la rilevanza dell’industria bellica nella regione e, dall’altro i legami profondi tra l’apparato militare-industriale regionale con l’industria bellica israeliana – in connessione con le università della regione.

La richiesta di de-connessione promossa da un ampio movimento che ha fatto proprie le parole del boicottaggio contro Israele e della cancellazione degli accordi per lo sviluppo di tecnologie dall’uso sia civile che militare (dual use) ha evidenziato come l’università non solo sia sempre più al servizio degli interessi privati, ma di come questa connivenza vada sempre maggiormente a nutrire i profitti di realtà economiche parte dell’apparato militare-industriale non solo italiane, ma anche complici delle azioni terroriste dello Stato di Israele.

Allo stesso tempo la promozione del boicottaggio accademico nei confronti di quegli istituti universitari e di ricerca israeliani direttamente implicati nella colonizzazione della West Bank e nel genocidio a Gaza hanno messo in evidenza la cooperazione strategica di Italia ed Israele nella fascia alta degli studi universitari e della ricerca. Nei mesi scorsi, le azioni di studenti e lavoratori dell’università, anche in atenei centrali della nostra regione come l’Alma Mater Studiorium di Bologna e l’Università degli Studi di Parma, hanno sollevato il tema della connivenza tra sistema dell’innovazione e della ricerca regionale con l’industria bellica e con Israele, ottenendo anche primi importanti risultati negli organi accademici. La nostra lotta per lo sganciamento del sistema universitario dall’industria bellica deve continuare nella pressione alle istituzioni universitarie e l’affiancamento alle lotte di studenti e lavoratori dell’università, per la dismissione degli accordi dual use in essere. Lottiamo anche perché la Regione, attraverso le sue agenzie di innovazione e i rapporti strutturati con le università regionali, stabilisca dei protocolli di comportamento delle istituzioni universitarie per bandire gli accordi scientifici relativi all’industria bellica.

 

Per il boicottaggio politico ed economico nei confronti di Israele, instaurare un reale sistema regionale di partecipazioni e appalti etici

L’economia di guerra e la complicità del comparto militare-industriale con lo Stato di Israele si finanziano anche attraverso la spesa pubblica. Lo scorso febbraio, nel pieno della campagna di boicottaggio contro Israele, IREN Spa – la mutliutility che nella nostra regione opera nelle province di Piacenza, Parma e Reggio Emilia – non ha rinnovato gli accordi commerciali con l’israeliana Mekorot: ora bisogna che da ogni appalto regionale e da ogni partecipazione regionale vengano escluse le società coinvolte in violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale. Attualmente, società coinvolte in lavori importanti per l’ordine di spesa nella nostra regione – finanzianti attraverso il PNRR – sono legate ad imprese belliche. In particolare, nei lavori di realizzazione delle linee del tram a Bologna sta operando un’azienda che collabora con Israele e che è inserita anche in una blacklist delle Nazioni Unite. Si tratta di Alstom SA, assegnataria della gara all’interno di un consorzio che include la cooperativa Cmb Srl (capogruppo) e Pavimental Spa. L’azienda è inclusa in quanto società madre di Bombardier Transportation Israel Ltd., coinvolta in attività economica nelle colonie israeliane e nei territori occupati, e tramite questa fornisce servizi e utenze a sostegno del mantenimento e dell’esistenza di insediamenti, compresi i trasporti, e utilizza le risorse naturali di questi territori, in particolare acqua e terra, a fini commerciali. La politica nostrana utilizza una posizione “pacifista” – anche nel capoluogo – come foglia di fico di questi rapporti, reali e concreti. Lottiamo per il boicottaggio politico ed economico di Israele, e questo passa anche per lo stralcio dei rapporti economici di istituzioni, imprese pubbliche e multiutilities con Israele.

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