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C’è una frase che a Roma conosciamo molto bene, e che negli ultimi quattro anni le soggettività romane dell’associazionismo, degli spazi e dei centri sociali, sentono risuonare nitidamente per la città: “Mi dispiace, ma io so io, e voi nun siete ‘ncazzo”.

Ovviamente la citazione viene da ‘Il marchese Del Grillo’, stavolta però, purtroppo, non è l’immortale Alberto Sordi a pronunciarla, ma la prima cittadina di Roma, Virginia Raggi, che pare abbia preso ispirazione dalla storia del milleottocento, per amministrare, oggi, il Patrimonio Pubblico della Capitale.

Siamo nel ventunesimo secolo, e in nessun caso e in nessun luogo, la Sindaca, o chi per lei, può anche solo lontanamente pensare di arrogarsi il diritto di calpestare la Giustizia Sociale in nome di una certa idea, pericolosissima, di “Legalità”, neanche nelle aule di tribunale, dov’è stata dichiarata chiaramente la nullità del potere di Roma Capitale nell’atto di riacquisizione in autotutela del patrimonio pubblico.

Lo stesso patrimonio che da decenni cittadini e cittadine hanno curato e destinato all’uso civico, in molti casi, riqualificato a proprie spese e con i propri sforzi, dopo che era stato abbandonato dalle istituzioni o da privati, a cui le amministrazioni avevano pensato bene di svendere.

Ci domandiamo come sia possibile che allo scadere del mandato, con l’unico evidente scopo di farsi campagna elettorale, l’amministrazione capitolina pensi di poter “mettere una pezza” alla sua incompetenza, patteggiando in trattazione privata con alcune associazioni, in barba a tutte le soggettività che per quattro anni non hanno mai smesso di cercare di essere ascoltate e riconosciute per ruolo politico che ricoprono, e avendo agito concordemente ai principi costituzionali.

Parafrasando Faust di Goethe, la sensazione è che il demone dell’Angoscia si stia facendo strada nelle anime di queste soggettività, e che si stiano lasciando scavare la fossa, dal Mefistofele interpretato in questo caso dall’Assessora Vivarelli; accettare oggi di fare un patto con il diavolo, significa rinunciare domani al riconoscimento del ruolo politico che queste stesse soggettività hanno, che questa Giunta sappia riconoscerlo o meno, per il quale tanto abbiamo lottato e continueremo inarrestabilmente a lottare.

Assecondare le mire propagandistiche di chi ha già abbondantemente dimostrato di avere interesse solo in ciò che ha un valore economico, significa rinunciare irrimediabilmente a veder riconosciuto il valore sociale di decenni di iniziative autonome organizzate.

A dimostrazione di quanto sia fallimentare il tentativo di cercare un accordo politico diretto, è l’esito dell’incontro di questo lunedì tra l’Ass. Vivarelli e la Casa delle Donne, finito con un nulla di fatto. Perché questa situazione non riguarda soltanto la Casa delle Donne ed il Comune, ma è un problema che coinvolge centinaia di associazioni.

Quindi non si possono e non si devono percorrere strade personali per quello che è un problema generale. E l’affermazione di un diritto non può essere una questione collettiva solo per opportunità – siccome la proposta non ci soddisfa allora scendiamo tutti in piazza per difendere i nostri diritti.

I diritti o si affermano insieme oppure sono privilegi.

La posizione di C.A.I.O. e delle realtà che ne fanno parte la abbiamo espressa in tante occasioni: comunicati stampa, post e, soprattutto, nella diffida che a maggio abbiamo presentato nei confronti di: Sindaca, Assessori e dirigenti.

Posizione che non fa che riprendere semplicemente la Costituzione, la quale afferma che l’unico valore che qualsiasi attività deve produrre, e in particolare le attività che si svolgono all’interno del patrimonio pubblico, è il valore sociale. Cioè quello che tutti noi esprimiamo con le nostre realtà e che già molte sentenze hanno affermato.

Patrimonio pubblico che, lo ripetiamo per l’ennesima volta, non può essere solo quello catastalmente definito indisponibile, ma tutto: disponibile, indisponibile e la Costituzione aggiunge anche quello privato che è stato abbandonato.

Questo noi sosteniamo perché consente a tutti e non soltanto ad alcuni di difendere il proprio spazio e la propria storia, e questo non solo alle realtà attive oggi ma anche a quelle che si formeranno domani. E non solo in base alle proprie idee, ma in base alla legge, anzi alla Costituzione.

Quindi solo unendosi con l’intento di trovare una soluzione giusta per tutti otterremo dei risultati. Ma affinché questo sia possibile è necessario avere una posizione di base comune, che noi di C.A.I.O. indichiamo nel contenuto della diffida, che già da tempo abbiamo messo a disposizione di tutte le realtà sociali ed alla quale a suo tempo abbiamo chiesto di aderire.

Questa è secondo noi l’occasione per trovare finalmente questa unità e portare avanti come una grande Comunità un’istanza comune, grazie alla quale nessuno vedrà distrutto il lavoro di una vita spesa per migliorare il territorio e la comunità nella quale viviamo, seguendo un modello sociale che permetta di integrare e soddisfare i bisogni personali e quelli degli altri.

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