“Ho sparato per più di due ore! Volevo ucciderli tutti; era stato un anno di tormenti, di bombe, di fame, di sete e così quel giorno mi prese una gran furia. Avevo 17 anni, non mi occupavo di politica, ma sapevo bene che cosa erano i fascisti e i tedeschi contro i quali ho sparato a Porta Capuana”.
Sono le parole di Maria Gaudino, una delle tante donne protagoniste della Resistenza partigiana: donne che nei GAP hanno compiuto attentati nelle città, che hanno fatto parte delle formazioni partigiane sulle montagne e nelle pianure, che hanno organizzato e partecipato a scioperi e manifestazioni, che hanno prodotto stampa clandestina e trasmesso informazioni, che sono state incarcerate, torturate e uccise.
Donne della Resistenza che non sono state solo staffette, infermiere o telegrafiste, ma che hanno preso le armi e hanno scelto di combattere in prima fila contro l’occupante nazifascista.
Una scelta che parla di affermazione del proprio Ruolo nella società e nella collettività e di rottura della passività in nome di una partecipazione attiva e indispensabile al processo di liberazione del paese. Una scelta con ogni mezzo necessario, sebbene la partecipazione delle donne alla Resistenza armata sia stata spesso dimenticata o ridimensionata dietro una narrazione di uomini coraggiosi combattenti con – accanto e in supporto a loro – “anche” la partecipazione delle donne.
E questo “anche” ha accompagnato spesso l’interpretazione del rapporto tra donne e violenza agita nell’ambito delle analisi sull’esperienza femminile nelle lotte di liberazione e nelle organizzazioni rivoluzionarie. Un’interpretazione che risente di una visione delle donne che possono essere vittime di violenza ma non protagoniste attive nel suo utilizzo, in quanto soggetti “naturalmente” destinati alla cura, alla protezione e alla riproduzione di vita.
La donna come figura che, quasi per essenza, ha un modo di relazionarsi gentile, anti gerarchico e non-violento: questa è la visione che oggi infatti permea la narrazione mainstream sull’emancipazione femminile e gli ambiti della società più sensibili alle questioni di genere.
Eppure, il protagonismo delle donne nelle esperienze rivoluzionarie e di liberazione nazionale e la presenza delle donne nelle formazioni armate è stata storicamente una costante in tutto il mondo. Nella rivoluzione messicana del 1910, in quelle cinesi del 1911 e 1949, in quelle russe del 1917, nel movimento suffragista britannico, nella guerra civile spagnola, nell’Armata Rossa sovietica, nelle lotte anticoloniali di liberazione nazionali come quella Algerina, nelle lotte antimperialiste come quelle in Iran e Palestina, nei movimenti di liberazione in America Latina, nelle esperienze di lotta armata degli anni ’70 in Italia e in altri paesi europei, nelle brigate Ypj in Rojava e così via, solo per parlare dell’ultimo secolo.
E il protagonismo delle donne ha segnato profondamente il nostro paese anche nelle lotte sociali e popolari, dove spesso si è fatto utilizzo della violenza come strumento di lotta, per ottenere migliori condizioni di vita e di lavoro: dalle lotte per il pane e per il lavoro nelle campagne e nelle fabbriche tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900, alle lotte per la pace, alle battaglie per il lavoro, alle lotte per i diritti degli anni ‘70, passando per le lotte ambientali e per la difesa dei territori, in primis quella No Tav, così come per la lotta per la casa.
Ed è di queste donne che parla il numero 50 di Zapruder – Rivista di storia delle conflittualità sociale – “Faster, Pussycat! Kill! Kill!” che presentiamo il 19 aprile alle 18 in piazza dell’Immacolata a San Lorenzo, insieme alla storica e curatrice del volume Ilenia Rossini: passando dalle donne algerine nella guerra d’indipendenza, alle donne in Valsusa, alle combattenti sovietiche, ai modelli femminili del passato, il testo ci parla di donne che scelgono – come si legge nell’editoriale – di non essere più vittime di violenza (di classe, di genere, di stato, coloniale, razzista, ecc.) e prendono in mano la propria vita.
Tuttavia, lungi dall’essere una storia rinchiusa nel passato, queste donne parlano anche alle donne e alle libere soggettività di oggi, alle donne e alle ragazze delle borgate, alle studentesse, alle precarie, alle lavoratrici sfruttate, alle disoccupate, alle migranti: le donne e le libere soggettività che oggi, seguendo le orme delle partigiane, resistono e lottano per un’alternativa al sistema capitalista presente, per una società più giusta e libera dall’oppressione e dallo sfruttamento.
Ne parliamo il 19 aprile alle ore 18 in piazza dell’Immacolata a San Lorenzo, insieme alla storica e curatrice del numero 50 di Zapruder “Faster, Pussycat! Kill! Kill!”, Ilenia Rossini.
Verso il 25 aprile, ora e sempre Resistenza!
Presentazione del numero 50 di Zapruder “Faster, Pussycat! Kill! Kill!”
Mercoledì 19 aprile, ore 18, in piazza dell’Immacolata a San Lorenzo
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franca raponi
Molte donne sconosciute oggi che furono importanti nella Resistenza romana , come Idamis Bravetti responsabile della assistenza nella organizzazione della 5° Zona del PCI con sede in via Catanzaro 1/3 Roma , nel 1974 mio padre responsabile dell’organizzaione della 5° zona del PCI durante la Resistenza al nazifascismo , organizò incontri con i vecchi amici partigiani e io personalmente li registrai su cassette , che ora sono nei 10 CD in mio possesso, c’è la tesimonianza di Idamis Bravetti che racconta glia attacchi ai forni con le donne di tiburtino terzo, queste testimonianze dopo la morte di mio padre Agostino Raponi neho curato la pubblicazione nl libro “Scintilla nella Resistenza romana, memorie di AgostinoRaponi
e della 5° zona del PCI in via Catanzaro 1/3 Roma” .Il libro è terminato e vorrei ristamparlo anche in modo che sia accessibile alle giovani generazioni, mi aiutate a farlo? franca aponi