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Al teatro Argentina va in scena una brutta farsa all’italiana

Chiunque legga Contropiano sa bene quanta antipatia e poca stima il sottoscritto nutra per Luca De Fusco. Bisogna però riconoscere che quella che sta andando in scena da ieri al Teatro Argentina, Stabile di Roma, è una farsa pecoreccia all’italiana.

La nomina di De Fusco infatti, voluta dalla maggioranza del Cda della Fondazione Teatro di Roma (che, ricordiamolo, ingloba quattro spazi: l’Argentina, il Valle, il Torlonia e l’India), espressione della stessa maggioranza di governo, non rientra probabilmente nei crismi più rigorosi delle procedure – è infatti cavillosa questione giuridica da interpretare a norma di statuto della Fondazione stessa – ma francamente il grottesco ed indigesto show messo su fuori allo Stabile capitolino dai cosiddetti “artisti de sinistra” per lo più targati Pd – principalmente i nomi che contano – capeggiati dal sindaco Roberto Gualtieri e dall’armocromista che guida i Dem, per protestare proprio contro quella nomina illegittima, è qualcosa di inaccettabile.

Ad essi si aggiunga il falsificatore storico per antonomasia, quel Miguel Gotor – assessore alla cultura al Campidoglio – che sulle balle riguardanti gli anni del conflitto armato in Italia ha costruito una lucrosa carriera politica. Senza peraltro voler dimenticare la sua presenza “istituzionale” alla celebrazione fascista di via Acca Larenzia, seppure in orario diverso…

Ad ogni modo, l’aspetto più risibile di tutta questa faccenda sono proprio le dichiarazioni politiche che, dal pomeriggio di ieri, vanno rincorrendosi freneticamente.

E così, mentre la Schlein tuona «La destra al governo, nazionale e regionale che sia, ha sempre e solo la stessa ossessione: occupare poltrone», come se i democratici non siano assillati dalla stessa smania di occupazione; a farle eco, in termini un tantinello più spudorati, è il sindaco Gualtieri che dice, riuscendo a mantenere una faccia incredibilmente seria: «Le scelte sulle istituzioni culturali devono essere compiute sulla base del merito, i partiti non si devono intromettere».

Caro sindaco, vogliamo andare a spulciare le nomine dei direttori di altri Stabili Nazionali, di poli museali o istituzioni culturali italiche per capire se e quanto chi le dirige sia legato a partiti di sinistra e soprattutto al Pd?

Quanto quelle nomine siano state fatte in considerazione di effettive capacità professionali o in ossequio a logiche di scambio? Faremmo notte…

Le amministrazioni regionali e comunali, e le loro istituzioni culturali, rappresentano d’altra parte alcuni dei piatti più succulenti da divorare per i “capibastone” trasversali locali dei partiti. Bacini di voti da coltivare e saccheggiare. È un fatto.

Non stupisce quindi il rimbalzarsi di accuse da destra e da sinistra, con la cultura ed il teatro, poveri e innocenti malcapitati, a farne naturalmente le spese.

E allora ecco  Gotor dichiarare, in piena logica neoliberista: «Siamo convinti che una fondazione complessa come quella del Teatro di Roma debba essere guidata da un manager, un tecnico puro». E sì, oggi il manager fa tanto american style anche in teatro.

Non meno grottesco del resto appare il controcanto intonato dalle sponde di destra dell’assetto istituzionale capitolino e italico.

Il funambolico Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano – che non ne imbroccherebbe una neanche se a dargli una mano arrivassero Dante, Caravaggio e Carmelo Bene – asserisce con mussoliniana determinazione: «è stata fatta una scelta meritoria. Il neo direttore generale ha una grande esperienza. E quando era giovane ha avuto una militanza politica con il partito socialista. Non è di destra, è un esperto».

E prosegue volitivo e convinto che sia «necessario consentire a chi non fa parte dei circoletti prevalentemente romani di potersi esprimere in ambito culturale».

Che De Fusco sia un esperto non c’è dubbio: ad abbassare la qualità dell’offerta teatrale degli Stabilì che dirige, certo.

Il caso Napoli, durante il periodo della sua direzione, ogni anno in ultima posizione  nelle valutazioni della Qualità Artistica redatte dal Mic, è lì a dimostrarlo.

Che non faccia parte di circoletti è però un falso. De Fusco è il Jep Gambardella del teatro italiano. Vuole avere “il privilegio di farlo fallire“.

Tutto regolare, ribadisce intanto da FdI il responsabile Cultura Federico Mollicone, che parla di «nomina legittimata dagli organi di controllo e da urgenze di bilancio». E qua si raggiunge certo l’apoteosi della falsificazione semantica ma anche della scarsa lucidità.

Perché, com’è ormai noto, la riunione del Consiglio di Amministrazione si è tenuta in assenza dei membri “di sinistra”, il Presidente Francesco Siciliano e la rappresentante del comune di Roma, Natalia De Iorio.

Dunque, con modalità quasi da golpe, benché da destra se ne invochi la legittimità. Ma soprattutto con una fretta che denuncia assoluta inconsapevolezza.

Infatti, avendo la maggioranza, il centro-destra sarebbe comunque potuto giungere alla nomina di De Fusco, anche in presenza del Cda al completo.

Gli eredi del fascismo, però, amano i colpi di mano e le forzature autoritarie. Forse fanno curriculum… E allora che il rispetto delle regole vada pure a farsi benedire, anche quando giocano a favore.  Fascisti siam repubblican

Celie a parte, quello che si delinea come un elemento veramente inaccettabile è che sia stata data delega ad un semplice consigliere per stabilire la durata dell’incarico e il cachet di De Fusco. Centocinquantamila euro (150.000) all’anno, al netto dei compensi per le regie.

Uno schiaffo alla spesa pubblica in un paese dove si tagliano tutti i giorni sanità, istruzione e servizi.

Ciò premesso però, non possiamo certo guardare con favore alle proteste, di chiara impronta politica, organizzate strumentalmente dai dem – e da alcuni artisti per lo più legati a quel sinistrato carrozzone – fuori dal Teatro Argentina.

Un’intellighenzia liberal-borghese e piuttosto privilegiata, che non muove un dito né produce un pensiero “altro” neanche con le bombe – o per le bombe sulla Palestina – se chiamata a partecipare ad iniziative “scomode” o ad esprimere un parere, un punto di vista che non sia il commediante conformismo.

Che non azzarda un parere su questioni dirimenti il destino del nostro sciagurato paese; o sulle porcate perpetrate in giro per il mondo dalle occidentali democrazie atlantiste e filo-sioniste.

Oggi quell’intellighenzia vorrebbe farci credere che scende in piazza per difendere regole, diritti, democrazia e cultura.

Diritti, cultura e democrazia dei cui valori sembrano fottersene allorquando ci sono da spartire centinaia di migliaia di euro per progetti quanto meno discutibili sul piano della produzione del pensiero critico.

Quello stesso pensiero critico che ci si aspetterebbe da registi, attori, drammaturghi, sceneggiatori, intellettuali che affermano di richiamarsi ad una tradizione politica antagonista.

Se il cinema e il teatro italiano versano in una condizione di mediocrità esasperante la colpa è anche loro.  Di chi spesso, pur non avendone necessità assoluta, non si assume la responsabilità di rifiutare progetti scadenti pur di lavorare e gratificare il proprio ego.

Di chi non recide imbarazzanti complicità partitiche pur di continuare a riproporre la propria immagine.

Di chi sbraita contro i metodi sicuramente poco democratici della destra, ma poi tace quando a riprodurre gli stessi metodi è una sedicente “sinistra” venduta al profitto e al mercato.

Perché la verità che sottende questa sceneggiata in forma di protesta è piuttosto misera.

La verità è che costoro temono soprattutto che l’Eliogabalo De Fusco possa intaccare i propri privilegi e le proprie rendite lavorative. Privilegi e rendite garantite da agganci politici, consorterie e direttori artistici della propria parte.

A scapito, s’intende, di colleghi meno raccomandati, meno capaci di farsi strada tra i corridoi dei palazzi, meno fortunati o semplicemente legati ad altre cordate politiche. Perché hai voglia a sbraitare. Lo spoil system vale a destra come a “sinistra”.

Vogliamo ricordare, per esempio, quanto è successo a Napoli con la nomina di Roberto Andò a direttore artistico dello Stabile? Con i consiglieri che di imperio, senza alcuna trasparenza o valutazione di curricula, imposero il nome del regista siciliano legato a doppio filo al Pd e a importanti lobby cinematografiche e teatrali?

In tutto questo trambusto dunque, la cultura, l’arte, il pensiero critico e la democrazia c’entrano ben poco. Molto c’entra, invece, l’interesse personale.

Ma stiano serene le star del teatro e del cinema romano e italiano. De Fusco – che personalmente, come dicevo all’inizio, ritengo un misero regista e un personaggio non brillante, diciamo così – è un vecchio democristiano, famoso per la capacità di accontentare tutti.

Nel segno imprescindibile della mediocrità e del mercato, ovviamente. A Napoli ne sappiamo qualcosa.

Tra proteste, urla e ipocrisie, anche qui, molti hanno poi finito per lavorare col direttorissimo. Chi per necessità reale, molti per mero opportunismo.

Concludo, quindi, dicendo solo che dispiace leggere tra i nomi che hanno dato vita a questo ridicolo can-can quelli di alcuni attori, registi e altre figure professionali del mondo del teatro e del cinema (pochissimi per la verità) che farebbero bene a sottrarsi a questa volgare strumentalizzazione di carattere squisitamente politico. Uno tra tutti: Elio Germano.

Gli altri sono certo che, spente le telecamere, a bocce ferme, troveranno un accordo vantaggioso con l’Eliogabalo dell’Argentina.

Riposizionandosi nel sacro nome dell’arte. E dell’italianissimo “tengo famiglia”.

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