Risale a pochi giorni fa la firma della convenzione che inaugura il progetto del Tecnopolo di Pietralata, un nuovo “hub” di ricerca e sviluppo promosso dalla “Fondazione Technopole” che vede coinvolti Comune di Roma, Regione Lazio, sette università pubbliche e private, enti di ricerca e una cordata di aziende e multinazionali, tra cui leader mondiali dell’industria della guerra e dell’inquinamento come Leonardo SpA, Thales Alenia ed Eni.
Con Ecir sistenze e il Coordinamento sì parco sì ospedale no stadio abbiamo già messo a fuoco gli effetti devastanti che avrà non solo il Tecnopolo, ma il complessivo ridisegno urbanistico ed economico della zona di Pietralata e della Tiburtina, mentre il presidente Rocca annuncia il dietrofront sul progetto di nuove strutture per il policlinico Umberto I.
Abbandono che dice molto sul “modello Giubileo”, un metodo di gestione della città che fa lavorare di concerto Comune, Regione e Governo nell’ottica di mettere la città al servizio del privato senza prendere in considerazione abitanti e realtà che operano nei territori.
Il Tecnopolo, finanziato da PNRR, fondi pubblici e dai privati che partecipano al progetto, sarà un esempio della tendenza che coinvolge l’intero sistema dell’università e della ricerca: enti o hub di ricerca pienamente integrati nelle filiere produttive di cui costituiscono un punto nevralgico, e un’università che nel “farsi azienda” piega la formazione e la ricerca al profitto e alla filiera bellica perdendo qualsiasi autonomia rispetto alle logiche del mercato e alle esigenze del settore privato.
Questa tendenza ha origine nella ristrutturazione produttiva interna all’Ue che vede proprio nella ricerca, nella stretta integrazione tra pubblico-privato e nel rilancio del settore bellico elementi strategici per rispondere alla competizione internazionale e per uscire dalla crisi.
La militarizzazione crescente della società e degli spazi del sapere incanala gli investimenti – privati e pubblici – sulla ricerca che “paga”, in particolare su quella impiegabile nel comparto militare.
La presenza di capofila mondiali del settore bellico certifica che i risultati del lavoro mentale e gli sviluppi della ricerca di chi sarà coinvolto nel Tecnopolo avranno diretto impiego nei conflitti, esasperando il quadro di accordi di ricerca, partnership, tirocini e bandi con cui già il settore accademico e la didattica si erano legati all’industria degli armamenti e alla guerra sul campo.
A conferma del ruolo centrale dell’università nel progetto di sempre più stretta integrazione tra ricerca pubblica, profitto e guerra c’è la presidenza della Fondazione Rome technopole della Polimeni, rettrice Sapienza e membro della Fondazione MedOr di Leonardo SpA.
Nell’ultimo anno e mezzo la Rettrice ha silenziato e condannato le mobilitazioni studentesche che chiedevano la cessazione degli accordi con Israele e con l’industria bellica, dichiarando che la ricerca “è un ponte di pace”.
Nel frattempo si rendeva complice di un genocidio e ora sponsorizza e incentiva un ulteriore passaggio di militarizzazione e privatizzazione della didattica e della ricerca.
I toni trionfalistici con cui viene presentato il progetto, dalla Polimeni fino a Gualtieri, ci dicono qual è la direzione imboccata dall’università e dalle amministrazioni locali: sotto la formula della “partnership pubblico-privato” si nasconde la privatizzazione del sistema accademico e la completa messa a servizio della città ai profitti di grandi multinazionali senza alcun riguardo agli interessi degli abitanti che vivono quei quartieri e senza rispondere in alcun modo alle condizioni sempre peggiori del sistema universitario, incapace di garantire il diritto allo studio e in preda a tagli, precariato e gestione autoritaria della governance.
Come studenti siamo pronti a ricostruire un’opposizione reale e concreta, a ribadire la funzione sociale e di emancipazione che la formazione e la ricerca devono svolgere, a essere la sabbia negli ingranaggi di chi vorrebbe distruggere ogni spazio pubblico nel nome della guerra e del profitto.
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