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Savona. Aspettavamo Landini…

Ieri il segretario della CGIL Landini a Savona.

Aspettavamo lui per farci fare la lezione:

Questo uno stralcio del suo intervento:

Capitolo area di crisi complessa: l’istruttoria in corso (ormai già da diversi mesi) ha visto la bocciatura di quattro aziende; altre, invece, aspettano i finanziamenti necessari a partire. A questo proposito Landini ha commentato affermano che “ciò conferma l’assenza di una politica industriale e della presenza di lungaggini molto forti. La gestione dell’area di crisi complessa non è così solo a Savona: in Italia abbiamo diverse aree di crisi complessa per le quali sono state presentate offerte e ci sono interessi di investimento che non vengono sbloccati. Cosa che sarebbe utile in questo caso, visto che stiamo parlando di realtà che già esistono sul territorio”.

E in questo senso: “E’ singolare che si decreti un’area di crisi complessa per far venire nuove attività e quelle che ci sono e che si potrebbero sviluppare vengano fatte saltare. Siamo di fronte ad una contraddizione. Sarebbe utile che le varie funzioni del governo, dal ministero della difesa al ministero dello sviluppo economico agli altri ministeri coinvolti, avessero un momento di confronto per ragionare sullo sviluppo del territorio e come favorirlo. Poi qui c’è anche un problema che riguarda gli investimenti che i privati devono fare e confermare in questo impianto” 

 E’ necessario allora, considerata la scoperta dell’acqua calda fatta oggi dal segretario generale della CGIL, risalire all’estate del 2016 quando si era pensato di porre le organizzazioni sindacali in guardia rispetto a ciò che sarebbe potuto accadere. Analisi reiterata più volte nello sviluppo degli eventi per oltre 3 anni, al punto da ricevere una diffida da parte del segretario della Camera del Lavoro ad inviargli altri testi, ricevere la definizione di “semplice cittadino” (pur informato) senza titolo a interloquire con istituzioni e vedere i propri interventi non pubblicati da testate online timorose di “non disturbare il manovratore”.

I risultati sono quelli che ci troviamo sotto gli occhi, Landini scopre una situazione già abbondantemente compromessa, i lavoratori di Bombardier e Piaggio restano in bilico e disoccupati in provincia di Savona sono la bella cifra di 8.000, in una provincia dall’età media molto anziana e dal precariato assai sviluppato considerata la stagionalità del turismo.

Il tutto semplicemente a futura memoria, con grande amarezza.

 

Segue un testo del Luglio 2016:

Naturalmente ai sei punti posti in conclusione non è mai pervenuta alcuna risposta (nel frattempo la centrale Tirreno Power è stata chiusa e si è acuita fortemente la crisi Piaggio).

ATTENZIONE AL CONCRETO DI CIO’ CHE SIGNIFICA DICHIARAZIONE DI AREA DI CRISI COMPLESSA  (da una ricerca a cura di Franco Astengo – Luglio 2016)

Il precipitare della situazione economico – produttiva della zona centrale ligure, tra Savona, Vado Ligure e la Valbormida, acuita dalle crisi contemporanee della centrale Tirreno Power e del sito Bombardier ha creato grandi aspettative circa la possibilità che l’area sia dichiarata “di crisi complessa”.

In questo momento la soluzione appare come la panacea di tutti i mali.

Attenzione però, è necessario approfondire molti aspetti problematici sui quali sarebbe bene fare chiarezza

Prima di tutto è necessario mettere in guardia tutti i soggetti interessati di fronte ad un problema.

 Se si vogliono attivare questi strumenti si richiedono “due competenze: amministrativa e politica – istituzionale e di cittadinanza attiva, se vogliamo che i fondi non si perdano né per corruzione né per omissione”. E, mentre il ritardo della nostra città nel seguire procedure così complesse è noto, non si dimentichi che il territorio in questione è al centro di una grave questione riguardante (per quel che concerne la centrale Tirreno Power) il rapporto tra la produzione e l’ambiente con precisi risvolti di carattere giudiziario.

Andiamo quindi ad analizzare il decreto legge dell’agosto 2012 che riordina la disciplina delle aree di crisi industriale.

 Notiamo come:

–  Nel comma 2 la Regione è istituzione indispensabile e strategica di questo genere di accordi, sia nella istituzione dell’area di crisi che attraverso il cofinanziamento all’area (che non è esclusivo ma pone la regione come soggetto preminente),

– Nel comma 6 “Per la definizione e l’attuazione degli interventi del Progetto di riconversione e riqualificazione industriale, il Ministero dello sviluppo economico si avvale dell’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa, S.p.A., le cui attività sono disciplinate mediante apposita convenzione con il Ministero dello sviluppo economico”.

E’ necessario quindi avere chiari alcuni passaggi. Basta che Regione e Invitalia (questo il nome dell’agenzia) facciano sinergia, tra politiche finanziarie e scelta dei partner, e l’area interessata rischia di fatto l’imposizione di una politica dettata altrove.

Passiamo quindi a capire un attimo Invitalia. E qui c’è da vigilare moltissimo, visto che Invitalia è reduce dal sostanziale fallimento della riconversione di Termini Imerese e dai forti rilievi della Corte dei Conti, come già documentato dalla stampa quotidiana..

Viste le indicazioni che vengono dalla vicenda tarantina, che pure ha originato il decreto, cerchiamo di capire come funzionano i fondi a supporto delle aree a crisi industriale.

 Il decreto è chiaro: i fondi provenienti dalle varie istituzioni riconducibili allo stato centrale sono vincolati ai“limiti degli stanziamenti disponibili a legislazione vigente e senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”.

Non ci vuole molto a capire che di stabilità la legge di stabilità regola e, se necessario, sposta e contrae questi fondi. E proprio una misura prevista nella legge rischia di rendere lo strumento della individuazione delle aree di crisi complessa una cornice vuota, perlomeno dal punto di vista dei fondi dello stato centrale. Infatti: nella bozza legge di stabilità per soddisfare il controllo previsto dal Two Pack di Bruxelles c’è “la previsione una riduzione di investimenti per 500 milioni: concretamente si tratta di spese relative al cofinanziamento di fondi europei, che le Regioni potevano escludere dai vincoli del Patto di stabilità interno. Ora questa possibilità, appena introdotta con l’articolo 36 della legge di Stabilità, verrà meno”.

Verifichiamo allora (è bastata una piccola ricerca in via telematica) alcuni elementi di criticità già rilevati in altre situazioni:

DE IURE. L’assenza di regolazione nel decreto dei vettori finanziari, player bancari etc. che sono decisivi per l’allocazione delle risorse e per riuscita e programmazione degli interventi. Non è chiaro ad esempio, si pone a problema da capire, il DL 120 del 1989, riordinato dal decreto del 2012 in questione, effettivamente come si ordini la questione dei player finanziari. Non è poco perchè una cosa è far intervenire la cassa depositi e prestiti in progetti di riconversione, altra, con ricadute sui costi pubblici e sulla qualità dell’occupazione, l’istituto del project financing

DE FACTO

Manca la comprensione dello strumento economico complessivo di riconversione del modello di sviluppo territoriale. Oltre infatti ad un rischio commissariamento Regione-Invitalia, che va scongiurato con patti seri e certificabili, c’è la questione delle risorse strutturali disponibili. Guardiamo ad esempio il destino dei fondi ex FAS, oggi coesione e sviluppo che possono rientrare nella cornice dell’accordo sulle aree a crisi complessa. Per sbloccare questi fondi bisogna capire quando c’è “disponibilità di bilancio in conseguenza delle scelte del legislatore (Governo e Parlamento) nella determinazione delle manovre correttive di finanza pubblica e delle annuali sessioni di bilancio” .

Il rischio che si corre e che è già stato segnalato da situazioni analoghe è quindi di legarsi ad accordi di governance dove, ci venga scusato il gioco di parole, non si governa. Magari si partecipa come oggetto dell’intervento di crisi, come oggetto di intervento su fondi e politiche di immediata emergenza. Ma dove, alla lunga, i soggetti forti sono altri, come la sinergia Regione-Invitalia, e dove i fondi reali appaiono fortemente vincolati dalle politiche di tagli del governo.

Ci sono poi altre questioni di fondo che non possono essere trascurate. Questioni che non ci risultano finora essere state discusse, in modo approfondito, in sede istituzionale. Prima tra tutte: si ha un’idea dell’impatto che ha un accordo sulle aree ad industrializzazione complessa ha sull’economia complessiva del territorio?

C’è poi la questione della sinergia politica industriale-ambientale  (tema particolarmente delicato nel frangente) e politica economica complessiva del territorio e strumenti finanziari (dal macro e microcredito).  


Di conseguenza è necessario porsi alcune questioni:

  1. Se la richiesta dell’ottenimento di aree di crisi industriale complessa sia più adatta per l’emergenza, vedi questione fondi che la Regione può attivare, che non per la programmazione reale

  2. Se non ci siano delle criticità rispetto ad un ruolo subordinato degli enti locali entro questo genere di architettura istituzionale. Se l’architettura istituzionale che vede un ruolo forte della possibile sinergia Invitalia -Regione sia adatta per le esigenze della nostra città.

  3. Se ci siano effettivamente fondi adatti ad programmare in tempi certi, e da parte di chi, la riconversionee la bonifica del territorio e in quali tempi

  4. Quanto queste politiche possano produrre saldi occupazionali positivi, di lungo periodo ed economicamente significativi. Quale modello possa poi coprire il resto ovvero la parte significativa di popolazione che non verrà raggiunta dalle politiche industriali e del lavoro.

  5. Come in sede locale si possa ricavarsi un proprio incisivo spazio di governance multilivello fatto concretamente di collaborazioni, sinergie, istituzioni che cercano e indirizzano fondi bypassando lo spazio nazionale. E sterilizzando il primato dell’impresa così come è previsto dal diritto comunitario.

  6. Quale modello complessivo di territorio emerga anche su un punto non eludibile: l’uscita di Vado Ligure dalla situazione di nocività ambientali.

Alla fine rimane un interrogativo di fondo, per quel che concerne la situazione della Bombardier di Vado Ligure: in quale posizione, dal punto di vista delle prospettive di sviluppo produttivo, si trova il sito nei riguardi del complesso di attività di un gruppo multinazionale così importante?

A questo domanda le istituzioni e i sindacati dovrebbero cercare di fornire una risposta plausibile e concreta che fin’ora, al di là della retorica dei patti traditi, non si è avuta.

Oppure è sufficiente che arrivino un po’ di ammortizzatori sociali tanto per spegnere la tensione immediata senza riflettere, come è accaduto varie volte dalle nostre parti, su di una programmazione per il futuro?

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